Loghi d’Italia a Castel Sant’Angelo

loghi_italiaUn logo è il modo con il quale una brand comunica a noi potenziali consumatori la propria essenza, il proprio stile, la propria visione del mondo, le proprie qualità e peculiarità. E’ in qualche modo un occhio, uno spettro dell’anima che ci ammicca e che noi, lasciandoci sedurre, non solo siamo in grado di riconoscere con facilità, ma identifichiamo come sintesi di valori che condiviamo e che vogliamo esternare a chi ci circonda. Per questi motivi, appena ho avuto un momento libero, mi sono precipitato a visitare la mostra Loghi d’Italia – storie nell’arte di eccellere, in quell’incantevole cornice sospesa nel tempo che è Castel Sant’Angelo. Il percorso interattivo è un viaggio artistico-culturale nella creatività imprenditoriale italiana, da alcune delle più antiche aziende nostrane (Peroni, Perugina e Lagostina) ai giorni nostri (Benetton, Guzzini). Tra caroselli e oggetti di design, la mostra fotografa l’evoluzione del messaggio pubblicitario nel corso degli anni. Proprio nei loghi è infatti possibile apprezzare la fusione di arte e cultura, specchio sempre nuovo di una società in continuo mutare. E vedendo le sorpresine del Mulino Bianco, le vecchie trafile della Pasta Barilla, gli episodi con protagonisti La linea, i Caroselli del Caffé Paulista o le prime pubblicità della Vespa, una certa nostalgia non può non affiorare. Il costo per l’accesso al museo potrebbe spaventare ma in fondo la mostra e il luogo nel quale è possibile visitarla appagano appieno il prezzo del biglietto.

Le visioni interiori di Bill Viola

surrender_bill_violaLa mostra che ho potuto ammirare lo scorso martedì al Palazzo delle Esposizioni di Roma mi ha permesso di conoscere l’arte di Bill Viola, uno dei massimi esponenti di quel genere di artisti contemporanei che si esprimono tramite sequenze video e installazioni  che riescono a coinvolgere appieno gli spettatori rendendoli partecipi di un’esperienza che non risulta solamente visiva ma anche (e soprattutto) emotiva. Rallentando il ritmo delle proprie riprese, il tempo si dilata e in questo modo i sensi paiono maggiormente ricettivi, pronti a percepire ogni singolo movimento, ogni singolo cambiamento nel volto di una persona che, pian piano, frame dopo frame, mostra stupore, dolore, rabbia, e che, entrando in contatto con elementi naturali quali il fuoco o l’acqua, pare abbandonare la materialità del proprio corpo. E così volti, mani, sguardi, sospesi in sfondi adimensionali, riflessi su specchi d’acqua immobili paiono fondersi, diventano maschere, espressioni statiche eppure ogni secondo diverse  che nella loro silenziosità riescono a comunque a comunicare e a far intraprendere al pubblico che le ammira quel percorso conoscitivo di/su noi stessi che tanto sta a cuore all’artista nato a New York. Un’esperienza impegnativa (alcuni video durano davvero molto, tanto che lo stesso Viola indica in 7 ore il tempo necessario per gustare al meglio la mostra), che sicuramente avrebbe meritato una visione più tranquilla e più libera (ultimo giorno dell’esposizione, notevolissimo afflusso di gente), ma che, almeno per la parte inziale, ho apprezzato molto.

Head to Head – Political Portraits

political_portraitsNon nutro molto interesse per la politica, soprattutto per quella nostrana. Dopo aver analizzato e confrontato per un esame universitario gli speech delle campagne elettorali di Clinton e di Blair, ho però scoperto di avere una certa curiosità nei confronti del modo di comunicare le idee e i valori – al di là dell’essere o meno d’accordo sui contenuti dei messaggi politici – dei rappresentanti politici esteri che, almeno ai miei occhi di spettatore non direttamente interessato, paiono meno vittime dello sterile botta e risposta nazionale. L’oggetto del mio interesse si era però sempre limitato al linguaggio verbale, avevo inconsapevolmente lasciato da parte la comunicazione tramite immagini, componente oggi più che mai importante. Una mostra che ho recentemente avuto modo di visitare al Museo del Design di Zurigo – dal titolo Head to Head, Political Portraits – mi ha permesso di approfondire alcune delle tecniche in uso mediante le quale interagire con l’elettorato e trasmettere, attraverso delle locandine, dei messaggi circa la propria visione politica. Un interessantissimo viaggio tra le differenti strategie utilizzate per presentare sé stessi, per tentare di innalzare il proprio prestigio tra il pubblico o per denigrare l’avversario. Sezione di Berlusconi a parte – sin già troppo nota – la mostra si è rivelata un percorso tra alcune delle più noti esponenti del mondo politico, da Hitler a Obama, davvero ben fatto. Due in particolare le figure che hanno attirato la mia attenzione per quell’aspetto entertainment (grazie alle quali la politica si fonde con lo spettacolo e il gossip), del loro modo di porsi nei confronti dei cittadini: Yulia Tymoshenko e Arnold Schwarzenegger, due personaggi in grado – nel bene o nel male non risulta questo per il sottoscritto il nocciolo della questione – di presentare una personale quanto originale immagine del proprio essere e del proprio modo di intendere la funzione pubblica.

Bruno Munari all’Ara Pacis

La mia visita di ieri alla mostra di Bruno Munari alla Ara Pacis è stata davvero una sorpresa. Ho potuto ammirare le opere e l’ironia di un personaggio davvero singolare, capace di sperimentare giocando con l’arte e la tecnica. Una delle sue massime recita: “Complicare è facile, semplificare è difficile”. Forse proprio con questo spirito Munari tramite astrazioni nelle prime opere del percorso delle mostra non suggerisce una forma, uno sfondo, un davanti e un dietro, ma solo l’assoluta bidimensionalità. Poi dai disegni si passa alle sculture che permettono di “vedere l’aria”: tubi metallici che ruotano e permettono di guararci all’interno. E avanti con sperimentazioni, giochi tra linee, superfici e volumi, con oggetti che come per magia passano dalle due alle tre dimensioni. E ancora film senza storia, senza narrazione ma solo con luce, ritmo e movimento, “libri illeggibili” nei quali le parole spariscono per dare carta bianca (o meglio colorata) all’immaginazioni di chi vorrà leggervi una storia, maschere che ricordano immediatamente volti umani, rametti di legno carichi di “tensione”, forchette che comunicano a gesti, mattonelle che ingannano la vista, reperti dal secondo millennio, strane scritture, xerografie, strane sveglie, diapositive e molto altro. Un lungo – quanto intenso – viaggio tra design, stile, innovazione, immaginazione, metodo, rigore e creatività.

Le visioni di Angel Orcajo

Forse non tutti se ne sono accorti, ma lo scorso week-end a Roma 70 gallerie e luoghi d’arte hanno lasciato spazio all’arte moderna con vernissage, mostre e incontri con gli artisti (tra l’altro nel sito Roma Contemporary c’è la possibilità di un virtual tour). In extremis sono riuscito a visitare almeno un appuntamento di quelli previsti nella capitale: la mostra Soglie di incertezza all’Instituto Cervantes di Piazza Navona, sedici opere di Ángel Orcajo che spaziono dal 2003 al 2007, visitabili sino al prossimo 17 ottobre. Premetto che non sono un esperto d’arte, ma solo un appassionato di pittura e di qualunque forma d’arte che generi emozione, riflessione, introspezione. Ecco perchè la piccola mostra è riuscita a sorprendermi piacevolmente (non solo per l’ingresso gratuito): mi ha infatti permesso di scoprire un’artista la cui pittura è stata in grado di colpirmi nella inquietudine dei suoi tratti e in quel suo fascino metafisico-surrealista. In particolare un dipinto mi ha stregato: si intitola Un bosco di luci ed enigmi. Ahimè non sono riuscito a trovare un’immagine quindi proverò a descriverlo sommariamente. Si tratta di un quadro che mostra delle croci che rappresantano quasi delle rovine affiancate, sulla destra, a uno sguardo indagatore velato di tristezza. Forse la frase che Orcajo stesso utilizza per descrivere l’opera rende meglio l’idea: “…è sempre latente una bramosia irrefrenabile di decifrare l’enigma di tutto ciò che è esistente.” E’ proprio il concetto a monte della tela che ha saputo appassionarmi sin da subito: l’idea che l’uomo debba sempre trovare un senso, una spiegazione razionale per spiegare tutto ciò che lo circonda infatti mi spaventa. Spesso mi domando se per forza tutto debba avere ai nostri occhi un senso. Credo che il fascino di alcune “cose” che ci circondano sia dato appunto dalla loro patina di inconoscibilità, di unicità, alone di mistero che seduce. Ed è questo il mio approccio all’arte: quando guardo un quadro, ad esempio, non voglio “vivisezionarlo” per capire cosa l’autore avesse in mente mentre delirando lambiva un pennello intriso di colore. Voglio guardarlo per com’è, per così dire “con il cuore” più che con la sola vista, lasciandomi trasportare dalle emozioni che mi suscita. Poco importa se poi il significato originale nelle menta dell’artista sia stato da me completamente frainteso. L’arte per il sottoscritto non è un fine ma un mezzo. Per sognare a occhi aperti.

Theatre du Soleil vs Beijing

Théâtre du Soleil è forse una delle più note compagnie teatrali francesi. Le opere, che vedono alla regia Ariane Mnouchkine, sono sempre grandi successi, vengono replicate per anni e apprezzate da migliaia di spettatori. Dopo tante rappresentazioni il Théâtre du Soleil conserva ancora lo spirito provocatorio e al contempo sperimentatore che lo contraddistingue, quella forte dimensione politica del teatro che lo accompagna dagli esordi. E dopo aver lanciato il proprio messaggio di pace facendo esibire la compagnia a Kabul, il Théâtre du Soleil, in pieno clima olimpico, lancia il proprio grido. Lo fa con tre video – realizzati in collaborazione con dissidenti cinesi rifugiati tibetani e Reporters sans Frontières – che vengono pubblicati nella Rete per protestare contro la mancanza dei diritti umani in Tibet e per sostenere il boicottaggio delle olimpiadi di Pechino. Tre filmati crudi che prendono di mira anche il presidente Sarkozy. Personalmente, trovo che il migliore sia il secondo: un monaco tibetano seduto sulla pista di atletica, dagli blocchi di partenza partono a tutta velocità delle forze dell’ordine che si avvicinano minacciose all’immobile bonzo, lo bloccano e lo colpiscono con violenza. Il portavoce del Théâtre du Soleil ha sottolinato come la richiesta di boicottaggio non sia diretta al popolo cinese, ma ai dirigenti del grande stato che sui diritti umani avrebbero fatto promesse poi non mantenute. Le Olimpiadi sono un grande palcoscenico, speriamo di poter festeggiare la vittoria della libertà (e la sconfitta dei soprusi).

Quadriennale d’arte di Roma

Brain by Luisa RabbiaAmmetto di non essere un grande esperto d’arte. Di certo sono però un estimatore del bello, del particolare e, in generale, delle opere in grado di suscitarmi un’emozione. Mi sono dunque recato alla 15° edizione della Quadriennale di Roma, al Palazzo delle Esposizioni, con molta curiosità, per tuffarmi nel mondo dell’arte contemporanea italiana e per visionare da vicino alcune delle opere e delle ricerche artistiche più significative del panorama nostrano legato all’arte degli ultimi vent’anni. Capire fino in fondo tutte le opere è per me pura utopia (sto ancora pensando al legame tra Autunno e il marmo della scultura…) ma, una volta fatta chiarezza con i numeri della guida alla mostra  – un po’ confusionari – ho comunque potuto apprezzare la creatività di alcuni artisti, forse più immediati e accessibili degli altri. Manfredi Beninati con i suoi spazi inaccessibili allo spettatore e visibili solo attraverso un vetro oscurato, Fulvio Di Piazza con quel suo paesaggio che richiama la dimensione onirica del sottobosco in stile Burton, Stefania Fabrizi con il suo inquetante esercito di minacciosi soldati tutti uguali, Luisa Rabbia (vedi immagine) con la sua rappresentazione del tessuto nervoso fatta a forma di albero che tende man mano ad insecchirsi, Grazia Toderi con la sua visione notturna della città che evoca lontane costellazioni. Ma il riconoscimento all’originalità spetta, a mio modestissimo parere, a Destined for nothing di Maurizio Savini che con la sua scultura di gomma (profumata) spinge a una profonda rifessione sul rapporto tra natura e mondo materiale. Diverse approcci, diverse tecniche, diversi materiali, un percoso di un centinaio di opere per tentare di comprendere l’arte italiana di oggi.