Ho da pochi giorni finito la lettura di un libro regalatomi per Natale (quanto vorrei avere più tempo da dedicare alla lettura!) che mi ha permesso di (ri)scoprire Italo Calvino e alcuni dei suoi racconti. Appena aperto l’indice sono stato immediatamente attirato dal titolo relativo all’ultima storia, una rilettura de Il Conte di Montecristo, l’opera di Dumas che rappresenta uno dei miei libri preferiti. E così, confesso, avrei quasi voluto iniziare il libro alla rovescia, partendo dalla fine come nei manga. Ma ho poi desistito iniziando così a leggere la prima parte del libro. Che mi ha subito preso: i convolgenti racconti di Qfwfq, entità prima da cui tutto è poi scaturito che, ripercorrendo il corso dell’esistenza, narra dell’origine della vita sulla Terra, dell’evoluzione degli esseri viventi mi hanno affascinato sin dalle prime righe. La seconda parte di questi primi capitoli – una sorta di continuum con la precedente raccolta di racconti dal titolo Le Cosmicomiche – risultano davvero ben scritte e pensate. Pagina dopo pagina vengono affrontati i tre passaggi fondamentali nascita, amore e morte ma con un approccio singolare quanto avvincente. Si parte da una cellula – appunto Qfwfq – che poi attraverso una serie di processi arriva a doversi confrontare con un mondo in continuo mutamento e contraddistinto da una crescente complessità nel quale, quasi all’improvviso, spunta Priscilla. E allora tutto cambia, diventa palese la discontinuità: da organismi tutti unicellulari uguali tra loro si passa alle spugne, fughi e polipi. E poi meduse, vegetali, fiori e tutte le altre forme di vita, un trionfo della diversità sino ad arrivare a noi “duplicati” (di esseri umani) sempre diversi. Righe di poetica fantasia dalle quali traspare l’impeto della vita e, al contempo, il carattere finito dell’essere unico che rappresentiamo.
Anche la parte che da il nome alla raccolta – Ti con zero – risulta di gradevole lettura di attimi che, grazie ai pensieri “a più dimensioni” legati alle varie possibilità connesse allo sviluppo di ogni singolo istante, si espandono quasi all’infinito. Ma la prima parte è forse più accattivante. Incollato alle pagine, le le parole mi hanno riportato alla mente Fantasia e, nello specifico, l’episodio La Sagra della Primavera di Igor Stravinskij.
Art
La Passione secondo Luca e Paolo
Lo spettacolo con il quale Luca e Paolo stanno girando i teatri d’Italia ha destato molta curiosità. E anche qualche dibattito. In fondo il tema della morte – e quindi, in ultima analisi, del senso della vita – è uno dei grandi misteri che l’uomo cerca continuamente di comprendere, normale che ogni volta si generi un vespaio di polemiche. E allora perché non riflettere su fede e coscienza con una sorta di riproposizione in chiave ironica di “Aspettando Godot” che ci permette di sorridere su un tema solitamente molto delicato e che al cui solo accenno di solito ci si incupisce? Perché non porsi delle domande sulla fede, la speranza di una qualcosa oltre la morte, la nostra fragilità, la nostra incapacità di comprendere sino in fondo, di accettare la fine della vita? In fondo l’ironia è uno dei modi con i quali reagire a una mancanza, a un evento imprevisto quanto ineluttabile, al diventare improvvisamente consapevoli del proprio carattere “finito”, “limitato”. Il sorriso, invece, è sinonimo di vita: rido dunque sono. Per questo credo che sia importante anche saper ridere della morte – come si può fare grazie a Luca e Paolo – per evitare di trasformarla in un tabù, in qualcosa attorno al quale non poter proferire parola. Per affrontarla. Per prendersi una piccola rivincita.
E forse è proprio questo l’”insegnamento” degli scarafaggi – personaggi che si alternano ai due ladroni condannati alla crocifissione – che vivono sul Golgota sotto le croci: una vita semplice, senza troppi interrogativi e con il sogno di viverla appieno accettando sé stessi e il corso della propria esistenza.
Ben inteso, porsi delle domande, dubitare, mettere in discussione qualcosa non è necessariamente essere “contro”: non mi è parso uno spettacolo contro la Chiesa quanto piuttosto una sorta di testimonianza – dico una perché credo che i due ladroni siano semplicemente due facce della stessa medaglia, due aspetti del nostro essere – di un malessere che, credenti o meno, porta tutti a cercare il senso di ciò che accade attorno a noi, del “disegno” che ci vede come – consapevoli o inconsapevoli – protagonisti. In fondo, se non ricordo male, anche colui che i due ladroni aspettano, in base a quanto raccontano le Sacre scritture, disse: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Come si dice: domandare (e quindi anche domandarsi) è lecito.
Only the brave, la nuova fragranza Diesel
Only the Brave è la nuova frangranza maschile by Diesel il cui lancio mi ha davvero colpito. Il nuovo profumo – presentato un anno fa al Temporare Kunsthalle di Berlino con una festa con 900 ospiti selezionati – vuole comunicare tenacia, coraggio e forza. Come? Con una serie di iniziative multisciplinari.
Partiamo dall’oggetto nel quale è contenuto il profumo, una confezione originale, aggressiva e di impatto più che mai adatta a una fragranza che mescola sapientemente cuoio e ambra con note di limone e violetta. Un vero pugno al conformismo che molte volte finisce per rendere il packaging un elemento non così caratteristico.
Anche i visual pubblicitari, in bianco e nero, a firma del fotografo Planton, trasmettono sguardi ed espressioni di un marcato senso di determinazione e una potente forza interiore. Indipendenza, ritmo, fierezza sono anche le colonne portanti dei video che sembra riproporre moderni James Dean in cerca di riscatto e di vita senza compromessi.
In uno dei video come testimonial compare anche Common, artista hip hop di Chicago assoluto protagonista del Block Party, una jam sessione esclusiva che ha visto alternarsi sul palco numerosi artisti nel cuore di Parigi lo scorso 15 maggio (vedi “trailer” qui sotto). Una sorta di “festa di quartiere” ispirata al Block Party di Dave Chappelle (diventato poi un film di Michel Gondry) che nel 2005 è riuscito a radunare i grandi nomi del’hip hop americano come i The Roots, The Fufees, Kanye West e appunto Common. Un evento gratuito, quello di Diesel a Place Stalingrad, tenuto nascosto sino quasi all’ultimo, quando nella Rete si rincorrevano le più varie versioni circa l’evento.
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Diesel Only the Brave Italy
di ebuzzing
Per quanto riguarda la parte online la nuova fragranza si presenta su differenti canali tra loro collegati: un blog, un canale YoutTube e un profilo Twitter chiamati IsBrave attraverso i quali vengono veicolati contributi su arte, design, moda e costume. Ai social network si affianca il sito ufficiale che, nella sezione “Performance” consente all’utente di immergersi in esperienze “grafiche tridimensionali artistico-sonore” a volte un po’ inquietanti ma davvero particolari (e i cui wallpaper si possono anche scaricare in tre diverse dimensioni) in virtù delle quali è il sito – molto lontano dalla classica landing page di prodotto – è stato segnalato anche da FWA, la raccolta di siti innovativi assolutamente da visitare.
Un lavoro a tutto tondo capace di coinvolgere in maniera profonda l’utente in grado di “vivere”, anche solo in maniera virtuale, il prodotto e le sue peculiarità.
Spaghetti Western Orchestra reinterpreta Ennio Morricone
Ho avuto la fortuna di potermi gustare una delle esibizioni del tour mondiale che sta portando in giro per il mondo la Spaghetti Western Orchestra, cinque musicisti-attori-rumoristi (australiani se non ricordo male) che hanno deciso di reinterpretare, in maniera particolare quanto coinvolgente, alcuni dei più grandi successi firmati Ennio Morricone, dalle musiche de Il buono, il brutto, il cattivo a Per un pugno di dollari, da C’era una volta il West a Per qualche dollaro in più. Uno spettacolo nello spettacolo (ho sempre sognato utiilizzare questa espressione!) perchè non solo la performance è guidata da un “narratore” ma gli strumenti utilizzati sono i più diversi: bottiglie di birra, campanacci di legno per mucche, mazzo di carte, registratore a bobine, rami e ramoscelli, lattine a corda sono solo alcuni dei cento “arnesi” utilizzati per suonare e rendere ancora più singolare l’atmosfera dello show (la musica è infatti anche suonata in stile Foley: i rumori, come in alcune produzioni cinematografiche, derivano cioè dall’utilizzo di oggetti quotidiani fatti suonare come effetti sonori).
Tra i protagonisti assoluti della serata una citazione doverosa per il theremin, il più antico strumento musicale elettronico: composto da due antenne, si suona avvicinando e allontanando le mani e facendo così variare il suono a metà strada tra un violino e un timbro vocale molto acuto.
Difficile descrive le sensazioni provate – a un certo punto ci si trova tutti insieme a canticchieri divertiti – una serata davvero emozionante, una di quelle in cui esci e la musica continua a risuonarti nelle orecchie per giorni (tanananana-ua-ua-ua).
VOOM Portraits: a still life is a real life
Sempre più appassionato di videoarte, anche se solo all’ultimo giorno, sono riuscito a visitare la mostra multimediale VOOM Portraits firmata Robert Wilson. Si tratta di una serie di “ritratti” ad alcuni personaggi – da Brad Pitt a Winona Ryder, da Gao Xingjian allo scrittore William Pope – immortalati in sequenze che si ripetono in loop e che li vedono protagonisti di reinterpretazioni di famosi dipinti o come sospesi in un mondo innaturale e senza tempo. La cosa particolare, a ben vedere, è proprio quella che, nello stesso momento, ciò che vediamo tra le sale, è sia un ritratto, una foto, un gioco di luci, un’espressione, sia un susseguirsi di (quasi) impercettibili movimenti che rendono vive le immagini (perchè si tratta, anche se a volte sembrano passare secoli prima di notare un piccolo cambiamento, di una serie di immagini una dietro l’altra). Le opere che mi sono piaciute di più sono quelle riferite a due donne (poteva essere altrimenti?): la Dita Von Teese e il suo equilibrio “magico” di felliniana memoria e la principessa Carolina di Monaco in stile Grace Kelly, un’ombra più che una donna in carne ed ossa, lacerata dalla profonda “ferita” sulla schiena. La palma del più inquietante va invece a Steve Buscemi, nei panni di un macellaio che muove nervosamente mandibola e scarpe.
Probabilmente avrei apprezzato ancora di più la mostra se fosse costata un po’ di meno (capisco sia la nuova frontiera e che gli schermi ad alta risoluzione i più convenienti ma…) e se fossero state messe a disposizione delle sedie-pieghevoli-da-museo con le quali gustare senza fretta e senza patimenti le varie opere. Una nota di merito, invece, per il materiale fornito all’ingresso dal quale spicca, su tutte, una frase di Wilson che recita:
“Spesso le persone mi chiedono quale sia il significato delle mie immagini. Non do interpretazioni del mio lavoro. L’interpretazione spetta agli altri. Fissare il senso di un’opera ne limita la poesia e la possibilità di generare altre idee. Sono affermazioni personali e poetiche di personalità differenti.“
Women without men, dal libro al film
Dal romanzo di Sharnush Parsipur – il cui titolo fa forse un po’ il verso al Men without women di John Ford – a Venezia è stato presentato l’omonimo film di Shirin Neshat, opera prima della nota artista e fotografa iraniana fresca vincitrice del Leone d’argento per la regia in Laguna.
Il film è ambientato nella Teheran della metà degli anni Cinquanta – un periodo di forte subbuglio politico – e racconta la lotta quotidiana di quattro donne tra loro diverse ma unite dal senso di frustrazione, di oppressione, di crescente insoddisfazione verso un destino caustrofobico. La loro vita diventa così la ricerca di una via di fuga – nel film idealizzata in un giardino (l’Eden?) – per scappare da abusi, umiliazioni e sofferenze, nel tentativo di trovare indipendenza e serenità, conforto e calore umano.
Una fotografia impeccabile, un’atmosfera sospesa tra sogni/incubi e realtà, Women without men è un film dal retrogusto triste, delicato ma emozionante, un grido sordo che diventa un inno alla libertà. Da vedere.
La videoarte firmata Pipilotti Rist
Sono da poco tornato al lavoro ma le vacanze da poco trascorse già sembrano lontane anni luce. Tra i ricordi più vivi di uno dei miei viaggi on holiday c’è sicuramente quello relativo alla piacevole giornata trascorsa tra le mura del Centro nazionale d’arte e di cultura Georges Pompidou che, tra le molte opere proproste, mi ha permesso di conoscere anche Pipilotti Rist, celebre videoartista svizzera di fama internazionale che – ho scoperto quasi per caso – proprio questi giorni presenta come regista alla Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione “Orizzonti”, la sua opera prima, “Pepperminta“.
L’installazione audio-video, intitolata A la belle étoile, è una sorta di viaggio senza sosta tra diversi universi ricchi di colore e luci, nei quali interno ed esterno si fondono sino a sparire (difficilissimo raccontare con parole l’esperienza vivisa!). Tra l’altro, cercando nella Rete, ho trovato anche la sua bellissima galleria di scatti variopinti, capici di rilassarmi e di appagare la mia vista come pochi altri. La speranza è quella di poter ammirare presto anche in Italia le opere di questa artista che ha saputo stupirmi con la semplicità e la leggerezza delle sue visioni.
Coraggio, libertà e sberleffo a Palazzo Reale
Lo scorso week-end vagando alla ricerca di qualcosa di interessante da visitare al riparo dal caldo, mi sono trovato a passare davanti a Palazzo Reale e a notare, divertito, un centauro con le sembianze di Forattini. E’ infatti in corso a Milano (dal 3 luglio al 27 settembre 2009) una bella mostra a ingresso gratuito su Giorgio Forattini, storico vignettista che dagli anni Settenta rilegge a suo modo la scena – soprattutto quella politica – nazionale e internazionale. Sono un suo fan sin da bambino – in famiglia si leggeva Panorama – ed è grazie a lui, alle sue caricature e alle sue provocazioni che conservo un minimo di interesse per la politica nostrana (che, certo, di spunti per la satira ne regala parecchi, sob). Entrando, pensavo la mostra fosse la classica raccolta di schizzi su cornice e invece, con mia sorpresa, il percorso offre opere che, lasciata al carta, si animano diventando gigantografie e oggetti tridimensionali. Personalmente adoro l’antropoformizzazione (mamma che parolone) di alcuni personaggi quali “bruco” Veltroni, “ciappi” Ciampi, “topolino” Amato, capaci con pochi tratti di essere estremamente comunicativi. La rassegna mi ha anche permesso di riflettere sulla libertà di satira (vedi querela di D’Alema a Forattini con richiesta di risarcimento di tre miliardi delle vecchie lire, poi ritirata), sull’abilità/dovere di disegnare anche in momenti tragici, e, infine, sul fatto che alcuni vezzi del nostro paese si ripetano ciclicamente proprio come alcune vignette che mostrano personaggi diversi ma in situazioni molto molto simili tra loro. Un bel viaggio quello della mostra, grazie al quale rileggere, con il sorriso sulle labbra, gli ultimi 40 anni della nostra vita politica e sociale, raccontati da una delle matite più irreventi. Complimenti e lunga vita alla satira!
Sono pigr e post for money
Nei giorni di festa del Fuorisalone, camminando per via Tortona mi è capitato tra le mani un sottobicchiere sul quale campeggiava la scritta “Post for money?”. Incuriosito ho prontamente intascato il cartoncino ripromettendomi di visitare quanto prima lo spazio ufficiale legato all’iniziativa. Finalmente ho trovato del tempo per visitare il sito: Sono pigr risulta “minimal”, una struttura molto semplice nella quale campeggia la scritta “il primo blog/post for money dedicato al design che premia chi ne parla bene“. In estrema sintesi ogni mese viene lanciata una tematica sulla quale dire la propria. Gli utenti registrati alla community possono inserire i loro contributi circa l’oggetto del “dibattito” del mese (es. “cos’è vecchio, cos’è nuovo?), il miglior “post” si aggiudica 250 euro e le royalty della pubblicazione annuale che premierà i 12 migliori testi (peccato non poter leggere il regolamento completo prima di registrarsi!). L’idea sembra carina anche se in realtà lo slogan “post for money” è un po’ forviante: si tratta infatti, da quanto mi è parso di capire, di una sorta di contest che premia la migliore riflessione non tutti testi pubblicati dagli utenti. Comunque sia ben venga qualsiasi tipo di confronto (costruttivo) sul design non limitato ai soli “adetti ai lavori”, capace di appassionare anche semplice “simpatizzate” come il sottoscritto (tra l’altro carina l’idea che i contributi possano essere non solo testuali ma legati a concept o artwork).
FUTURISMO 1909-2009 Velocità + Arte + Azione
Ieri ho voluto approfittare di un attimo di relax pre-pasquale per festeggiare i cent’anni del Futurismo visitando la mostra Velocità + Arte + Azione allestita a Palazzo Reale di Milano. Un percorso davvero ricco di opere (alla fine lo ammetto non desideravo che l’ultima sala, per gustarsi appieno l’allestimento occorre molto tempo e molte energie) per uno dei movimenti più vitali che proprio da Milano riuscì a coinvolgere molti artisti italiani ed europei. Dal divisionismo al dinamismo plastico, dall’arte meccanica all’aeropittura, il percorso sintetizza il lo sviluppo del Futurismo dall’ultimo decennio dell’Ottocento al dopoguerra, mostrando alcune delle opere più significative di Boccioni, Carrà, Balla, Depero e gli altri artisti che furono contaminati dalle avanguardie diffuse in primi da Filippo Tommaso Marinetti. Un bel tour de force che mi ha permesso di avere un’idea più ampia rispetto a quanto ricordavo circa il Futurismo e le sue ripercussioni non solo nell’arte pittorica ma anche nel teatro, nell’architettura e nella letteratura. In particolare ha attirato la mia attenzione il fotodinamismo, corrente artistica la cui conoscenza mi sono ripromesso di approfondire (da quanto ho capito, l’avvicinamento del futurismo alla fotografia nasce dal rifiuto di rappresentazioni “passive” mirate a riprodurre cose e persone immobili nello spazio). Solitamente non provo molto interesse per la politica, ma se ora avessi un po’ più di tempo libero e meno stress lavorativo, mi piacerebbe approfondire il legame del movimento futurista con l’azione politica.