Il 16 settembre scorso ho avuto modo di partecipare all’evento Sony United, appuntamento riservato alla presentazione delle più succose novità del gruppo Sony.
Ques’anno gran parte dei lanci della casa giapponese saranno legati al mondo del 3D sul quale ormai quasi tutte le aziende legate alla sfera dell’entertainment sembrano aver puntato.
Ho così potuto ammirare – e, quando possibile, toccare con mano – i nuovi televisori Bravia, le fotocamere compatte con le quali realizzare foto (anche panoramiche) in 3D, il nuovo controller Playstation Move, gli occhialini per gustarsi appieno i titoli 3D stereoscopici e gli ebook Sony.
Due le cose che mi hanno colpito maggiormente. Da una parte sono rimasto assolutamente sconvolto da quella che all’apparenza sembrava una semplice foto sfocata ma che invece, una volta indossati gli occhialini, si è dimostrato essere uno scatto nel quale la tridimensionalità era resa perfettamente: si trattava della foto di una sorta di chiostro nella quale gli archi e tutti gli altri componenti architettoci, con gli occhiali 3D, davano all’immagine una profondità e un realismo incredibile.
La seconda novità che mi ha impressionato è la visione – in anteprima – del titolo di prossima uscita (si parla del gennaio 2011) Mondiali Fifa sudafrica 2010: anche in questo caso il blu-ray unito al 3D riesce a stupire per la sequenza di immagini – montate, con un lavorone, dalle riprese di 7 coppie di camere professionali Sony – nella quale tutto è talmente reale da spingere quasi ad allungare le mani per “toccare” quanto si vede. Nei movimenti veloci forse l’occhio ha bisogno di un po’ di tempo per abituarsi alla visione 3D, ma quando c’è qualcosa di pressochè statico – ad esempio quando Puyol alza la Coppa portato in trionfo dai compagni – tutto, compreso quello che di solito è il semplice “sfondo” degli spalti, sembra essere vivo, non una mera riproduzione visiva.
Anche guardando un altro filmato legato al mondo del mare – Oceani, ndr – ho potuto ammirare appieno la “potenza” del 3D: quando un branco di pesci o una anguilla ha puntato verso me spettatore, ho avuto la netta sensazione che qualcosa uscisse dallo schermo e si frapponesse tra me la tv.
La sezione “game” invece non mi ha riservato grandi soprese. Da possessore di Wii, Playstation Move non mi ha detto poi molto. E sinceramente, anche il gioco di tennis proposto in 3D – Virtual Tennis 4 – e lo sparatutto – Socom 4 se non ricordo male – giocato con il nuovo controller (si può davvero giocare “seriamente” uno sparattutto con il Move?!?) non mi hanno poi esaltato più di tanto. Diverso il discorso per la “demo” di Gran Turismo 5, in cui il 3D rende ancora più coinvolgente – ammesso che ce ne sia davvero il bisogno – il titolo (e la perenne fila per provare il simulatore non ha lasciato dubbi sulla bontà del connubio gt5+3D).
Un bell’appuntamento insomma, semplice quanto interessante. Per chiudere, un doveroso ringraziamento a Sony per avermi dato l’opportunità di partecipare all’iniziativa.
milano
Armando Testa, il design(er) delle idee
La retrospettiva su Armando Testa al Padiglione di Arte Contemporanea celebra il maestro “povero ma moderno” raccontando tramite stampe, oggetti, bozzetti e disegni la creatività e l’ironia della fantasia di colui che ha saputo cambiare il volto della pubblicità italiana.
Testa è infatti stato l’artefice di una rivoluzione partita dal basso, dai due emisferi della curiosità da un lato e della semplicità dall’altro, dal desiderio di sperimentare, di giocare con le immagini riuscendo a coniugare sperimentazioni artistiche e marketing, impatto espressivo e immediatezza.
Basta pensare all’astrazione della sfera e della semisfera di Punt e Mes o ai personaggi conici di Paulista, Caballero Misterioso e Carmecita, immagini capaci di vivere su manifesti come in televisione, trasformatisi da marchi in vere propri icone.
Ma la rassegna consente anche di scoprire Armando Testa in una dimensione più intima. Quella delle fotografie a spaghetti, prosciutto, verdure, scatti realizzati quasi per dare un nuovo senso al cibo oggetto delle “fredde” campagne pubblicitarie. Quella dei disegni, degli appunti e degli schizzi che fuggono alla riproducibilità dei messaggi visivi dell’advertising. Quella dei bozzetti per le campagne pubblicitarie orientate al sociale, tratti di pura inventiva realizzata a mano.
A fare da cornice alla mostra da non perdere il documentario con la regia di Pappi Corsicato dedicato ad Armando Testa, vincitore del premio della critica al Festival di Venezia 2009, una carrellata di battute, racconti, testimonzianze per scorrere l’attività di un uomo che partendo da apprendista compositore in una tipografia è diventato un poliedrico artista di fama internazionale.
Roy Lichtenstein e le sue colorate riflessioni sull’arte
La mostra Roy Lichtenstein – Meditation on Art (sino al 30 maggio alla Triennale di Milano) mi è piaciuta davvero molto. Perchè se prima conoscevo Roy Lichtenstein per le sue immagini tratte dal mondo dei fumetti, ora posso valutare meglio il percorso dell’artista di New York, inquadrandolo il suo sviluppo assolutamente personale di quel filone della Pop Art che Lichtenstein rappresenta con Andy Warhol e Jasper Johns. Il lavoro di Lichtenstein si può, in estrema sintesi, suddividere in due grandi filoni: da una parte l’artista mette in atto un processo di “copia” – da immagini tratte da riviste a quelle di dipinti di altri autori – che, in base a una propria reinterpretazione personale, porta il pittore a trasformare la riproduzione in originale. Dall’altra, con ironia, Lichtenstein attiva una semplificazione estrema del reale che lo circonda trasformando il quotidiano in immagini bidimensionali che richiamano la stampa topografica.
Tra le tante opere esposte (non solo quadri ma anche alcune sculture in bronzo), i dipinti che mi hanno affascinato di più sono le reinterpretazioni del movimento surrealista, donne dalle forme liquide sintetizzate da labbra carnose, biondi capelli e occhi azzurri che richiamano i quadri di Dalì. Anche le riletture di Matisse, Picasso e Monet sono davvero particolari, allo stesso tempo omaggi artistici e tavole velate di sarcasmo. Molto divertenti il dipinto della serie “Imperfect Painting”, un’astrazione geometrica capace di otrepassare il confini rigidi della tela, e “Brushstroke” opera nella quale Lichtenstein dipinge una pennellata, giocando con l’arte e con il pubblico (come aveva in realtà inziato a fare già nel 1962 con “Golf Ball”, il ritratto di una pallina da golf estrapolata da qualsiasi contesto e proposta come puro segno grafico). Da non tralasciare, nella visita alla mostra, la saletta dedicata alle videointerviste che, montate in un filmato di poco più di trenta minuti, regalano una panoramica sulla vita di Lichtenstein tramite le parole delle stesso artista. Chiudo con una citazione di Lichtenstein che ben riassume a sua vena artistica: Art doesn’t transform. It just plain forms.
La Passione secondo Luca e Paolo
Lo spettacolo con il quale Luca e Paolo stanno girando i teatri d’Italia ha destato molta curiosità. E anche qualche dibattito. In fondo il tema della morte – e quindi, in ultima analisi, del senso della vita – è uno dei grandi misteri che l’uomo cerca continuamente di comprendere, normale che ogni volta si generi un vespaio di polemiche. E allora perché non riflettere su fede e coscienza con una sorta di riproposizione in chiave ironica di “Aspettando Godot” che ci permette di sorridere su un tema solitamente molto delicato e che al cui solo accenno di solito ci si incupisce? Perché non porsi delle domande sulla fede, la speranza di una qualcosa oltre la morte, la nostra fragilità, la nostra incapacità di comprendere sino in fondo, di accettare la fine della vita? In fondo l’ironia è uno dei modi con i quali reagire a una mancanza, a un evento imprevisto quanto ineluttabile, al diventare improvvisamente consapevoli del proprio carattere “finito”, “limitato”. Il sorriso, invece, è sinonimo di vita: rido dunque sono. Per questo credo che sia importante anche saper ridere della morte – come si può fare grazie a Luca e Paolo – per evitare di trasformarla in un tabù, in qualcosa attorno al quale non poter proferire parola. Per affrontarla. Per prendersi una piccola rivincita.
E forse è proprio questo l’”insegnamento” degli scarafaggi – personaggi che si alternano ai due ladroni condannati alla crocifissione – che vivono sul Golgota sotto le croci: una vita semplice, senza troppi interrogativi e con il sogno di viverla appieno accettando sé stessi e il corso della propria esistenza.
Ben inteso, porsi delle domande, dubitare, mettere in discussione qualcosa non è necessariamente essere “contro”: non mi è parso uno spettacolo contro la Chiesa quanto piuttosto una sorta di testimonianza – dico una perché credo che i due ladroni siano semplicemente due facce della stessa medaglia, due aspetti del nostro essere – di un malessere che, credenti o meno, porta tutti a cercare il senso di ciò che accade attorno a noi, del “disegno” che ci vede come – consapevoli o inconsapevoli – protagonisti. In fondo, se non ricordo male, anche colui che i due ladroni aspettano, in base a quanto raccontano le Sacre scritture, disse: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Come si dice: domandare (e quindi anche domandarsi) è lecito.
Le nuove Adidas Predator X sbarcano a Milano
Il tardo pomeriggio di oggi ha visto protagoniste, all’Arena Civica di Milano, le nuove Adidas Predator X calzate da sportivi di eccezione quali gli All Blacks Dan Carter, Jimmy Cowan, Zachary Guildford, Luke McAlister e i calciatori Diego (Ribas da Cunha), Cristian Brocchi e Alessandro Matri.
I giocatori, divisi in due squadre miste, capitanate rispettivamente da Dan Carter e Diego, si sono sfidati in una competizione molto spettacolare: l’obiettivo era colpire, dalla terrazza dell’Arena, sia con il pallone ovale che con quello da calcio, un bersaglio posizionato al centro del campo a circa 70 metri di distanza (per onor della cronaca ha vinto la squadra di Carter). Un modo simpatico – e per certi versi spettacolare – con il quale testare potenza e controllo delle ultime nate in casa Adidas (pazzesco come le scarpette da calcio si siano “evolute” dal 1994!) che si basano, in estrema sintesi, su tre principali tecnologie: powerspine, predator e optifit. Spero di riuscire a spiegare queste innovazioni senza annoiare troppo: grazie alla tecnologia powerspine il piede nel colpire la palla subisce una minore deformazione e questo significa meno perdita di energia e quindi più potenza e velocità impressa alla palla; la tecnologia predator – un mix plastica-silicone a lato dalla scarpetta – permette una maggiore accuratezza nel controllo del pallone e nell’effetto del tiro, in ogni condizione metereologica (pioggia o sole) e di campo (secco, duro o bagnato); la tecnologia optifit infine punta a garantire un miglior controllo di palla: riducendo il materiale tra pallone e piede, grazie a innovativi elementi costruttivi e nuovi materiali, si ha una sensazione confortevole come se si giocasse a piedi nudi.
Altre chicche che caratterizzano le Predator X sono: la parte laterale pre-sagomata che una volta indossate rende le scarpette ergonomice al massimo, la parte del tallone dei tacchetti che è a sé stante rispetto alla tomaia della scarpa, i lacci più ampi dove si annoda e poi più fini per ridurre al minimo l’ingombro, il bordo morbido all’avampiede… Insomma se la mia (brillante?) carriera di fantastista non fosse stata prematuramente bloccata da un brutto infortunio alla caviglia destra (e nonostante il prezzo della top di gamma non sia proprio economico), avrei voluto davvero provare le nuove Predator X e sentirmi, almeno il tempo di una partita, un campione.
VOOM Portraits: a still life is a real life
Sempre più appassionato di videoarte, anche se solo all’ultimo giorno, sono riuscito a visitare la mostra multimediale VOOM Portraits firmata Robert Wilson. Si tratta di una serie di “ritratti” ad alcuni personaggi – da Brad Pitt a Winona Ryder, da Gao Xingjian allo scrittore William Pope – immortalati in sequenze che si ripetono in loop e che li vedono protagonisti di reinterpretazioni di famosi dipinti o come sospesi in un mondo innaturale e senza tempo. La cosa particolare, a ben vedere, è proprio quella che, nello stesso momento, ciò che vediamo tra le sale, è sia un ritratto, una foto, un gioco di luci, un’espressione, sia un susseguirsi di (quasi) impercettibili movimenti che rendono vive le immagini (perchè si tratta, anche se a volte sembrano passare secoli prima di notare un piccolo cambiamento, di una serie di immagini una dietro l’altra). Le opere che mi sono piaciute di più sono quelle riferite a due donne (poteva essere altrimenti?): la Dita Von Teese e il suo equilibrio “magico” di felliniana memoria e la principessa Carolina di Monaco in stile Grace Kelly, un’ombra più che una donna in carne ed ossa, lacerata dalla profonda “ferita” sulla schiena. La palma del più inquietante va invece a Steve Buscemi, nei panni di un macellaio che muove nervosamente mandibola e scarpe.
Probabilmente avrei apprezzato ancora di più la mostra se fosse costata un po’ di meno (capisco sia la nuova frontiera e che gli schermi ad alta risoluzione i più convenienti ma…) e se fossero state messe a disposizione delle sedie-pieghevoli-da-museo con le quali gustare senza fretta e senza patimenti le varie opere. Una nota di merito, invece, per il materiale fornito all’ingresso dal quale spicca, su tutte, una frase di Wilson che recita:
“Spesso le persone mi chiedono quale sia il significato delle mie immagini. Non do interpretazioni del mio lavoro. L’interpretazione spetta agli altri. Fissare il senso di un’opera ne limita la poesia e la possibilità di generare altre idee. Sono affermazioni personali e poetiche di personalità differenti.“
Coraggio, libertà e sberleffo a Palazzo Reale
Lo scorso week-end vagando alla ricerca di qualcosa di interessante da visitare al riparo dal caldo, mi sono trovato a passare davanti a Palazzo Reale e a notare, divertito, un centauro con le sembianze di Forattini. E’ infatti in corso a Milano (dal 3 luglio al 27 settembre 2009) una bella mostra a ingresso gratuito su Giorgio Forattini, storico vignettista che dagli anni Settenta rilegge a suo modo la scena – soprattutto quella politica – nazionale e internazionale. Sono un suo fan sin da bambino – in famiglia si leggeva Panorama – ed è grazie a lui, alle sue caricature e alle sue provocazioni che conservo un minimo di interesse per la politica nostrana (che, certo, di spunti per la satira ne regala parecchi, sob). Entrando, pensavo la mostra fosse la classica raccolta di schizzi su cornice e invece, con mia sorpresa, il percorso offre opere che, lasciata al carta, si animano diventando gigantografie e oggetti tridimensionali. Personalmente adoro l’antropoformizzazione (mamma che parolone) di alcuni personaggi quali “bruco” Veltroni, “ciappi” Ciampi, “topolino” Amato, capaci con pochi tratti di essere estremamente comunicativi. La rassegna mi ha anche permesso di riflettere sulla libertà di satira (vedi querela di D’Alema a Forattini con richiesta di risarcimento di tre miliardi delle vecchie lire, poi ritirata), sull’abilità/dovere di disegnare anche in momenti tragici, e, infine, sul fatto che alcuni vezzi del nostro paese si ripetano ciclicamente proprio come alcune vignette che mostrano personaggi diversi ma in situazioni molto molto simili tra loro. Un bel viaggio quello della mostra, grazie al quale rileggere, con il sorriso sulle labbra, gli ultimi 40 anni della nostra vita politica e sociale, raccontati da una delle matite più irreventi. Complimenti e lunga vita alla satira!
WOM Summit parte prima, riflessioni a caldo
Ho avuto modo ieri di essere presente al convegno Word of mouth summit 2009, una raccolta di testimonianze sulle varie attività legate direttamente o indirettamente al “mondo” del passaparola on e offline. Nel bene e nel male, ormai credo di potermi considerare “uno del settore” perchè, nonostante i miei due soli anni di lavoro nell’ambito del buzz, ho potuto saggiare “con mano” oneri e onori di iniziative online per alcuni importanti player. Il mio punto di vista sull’incontro non è quindi forse quello del pubblico di riferimento di questo genere di appuntamento vuoi perchè i relatori per la gran parte mi erano già noti, vuoi perchè, rappresentando alcuni dei player più importanti, sono diventati nel corso del tempo, almeno per il sottoscritto, delle figure di riferimento dalle quali la mia crescita professionale risulta quasi imprescindibile (dopo questa ode ai relatori, avanzo un cocktail da ciascuno dei presenti ieri in sala).
Il mio giudizio quindi non può che essere di parte, non può non considerare la mia funzione e il mio ruolo (marginale) all’interno del panorama wom/buzz italiano. Fatta questa (doverosa) premessa, passo a raccontare quanto del summit ho trovato più interessante.
Prima la notizia buona o prima quella cattiva? Dato che il passaparola che nella rete si diffonde con più vigore è quello legato a esperienze negative, a criticità del prodotto/servizio, con un volo pindarico, parlo in primis di una sensazione che puntualmente mi assale dopo ogni incontro come quello del wom summit: l’autorefenzialità. Spesso infatti chi presenta una realtà, un servizio, una propria riflessione – parlo in generale, le eccezioni per fortuna non mancano – tende inconsciamente a portare acqua al proprio mulino. Ho notato come spesso piuttosto che offrire degli spunti di riflessione “neutri”, si tenda involontariamente a convincere il pubblico della bontà della propria realtà lavorativa – o della “non sufficienza” dell’operato dei competitor – quasi chi fosse con il microfono in mano diventesse improvvisamente non tanto un relatore quanto un vero proprio account. Nel caso del WOM SUMMIT poi questo fenomeno risultava forse ancora più evidente vista la mancanza pressochè totale – non solo tra i relatori – di “pareri altri”, di testimonianze diverse da quelle fornite da operatori/consulenti lato agenzia (peccato, in sala c’era una rappresentanza fiat e peroni…).
Nonostante questo però, l’incontro – a parte due interventi nel finale a mio giudizio non propriamente in tema e troppo “spot” – è risultato essere decisamente interessante: offrendo la possibilità di confrontare in una giornata diverse modalità di approccio e di confronto attorno al passaparola, sono molti i spunti degni di nota emersi. A ben guardare poi, nonostante i differenti player in campo – da hagakure a zzub, da promodigital a frozen frogs – i punti di contatto tra le diverse presentazioni non sono stati pochi e probabilmente possono essere riassunti in quello che ormai è un motto: ascoltare, interagire, coltivare relazioni.
Sarà il fatto che il confronto sul codice etico di attività di passaparola e sulla opportunità di certe operazioni sul cosiddetto web 2.0 su friendfeed era già iniziato prima del summit, sarà il “fascino dello straniero”, sta di fatto che probilmente l’intervento più coinvolgente è stato quello di Willem Sodderland di buzzer, capace di suggerire un paradigma creativo legate al passaparola, capace di coinvolgere direttamente il potenziale consumatore non solo nella prova del prodotto, ma nella creazione di una vera e propria conversazione attorno a un brand capace forse di rendere meno “commerciale” l’approccio.
La pubblicità è servita: incontro con Philip Kotler
Il 17 giugno scorso ho avuto il piacere di partecipare al convegno – organizzato dalla School of Management del Politecnico di Milano – dal titolo: “La pubblicità è servita“. Guest star dell’incontro (spero di non risultare irrispettoso usando questa espressione), Philip Kotler che, parlando di fronte a una nutrita platea, ha parlato di marketing del 3° millennio, anticipando alcune delle riflessione contenute nel suo ultimo libro (scritto con John A. Caslione) Chaotics. Nonostante la levataccia (le registrazioni al convegno sono partite alle 8.30 anche se poi la discussione è cominciata dopo le 10), poter assistere dal vivo alle analisi di Kotler risulta sempre molto interessante e costruttivo. Dall’intervento è emerso come quello di oggi sia un periodo di “turbolenza” sconvolto da due macrofenomeni: da una parte la globalizzazione e dall’altra la digitalizzazione. In quest’ottica risulta quindi ancora più importante l’aspetto comunicativo-conversazionale del rapporto con il potenziale consumatore online che dovrebbe/potrebbe portare – come ultimo step – alla co-creazione del prodotto, come accaduto con i brand Lego e Harley Davidson. Ciò significa innanzitutto porre maggiore attenzione all’ascolto degli utenti ma anche comprendere come, nel momento di crisi attuale, l’acquisto di auto e, in generale, di beni costosi/complessi, vengano ridotti o procrastinati. Occorre quindi sviluppare un media mix più efficiente in grado di rinnovare, innovare e rendere più “fresh” il marketing. Significativo in questo senso la case history P&G che ha portato negli USA, in un momento non proprio brillante dell’azienda, ad una riorganizzazione pressoché totale: standardizzazione dei prodotti, riduzione del numero di variazioni di prodotto in temini di formati e tipologie, vendita e/o ridimensionamento dei “rami secchi” non più remunerativi. Illuminante, per un attimo ho avuto l’illusione (appagante) di essere (più giovane) in un campus universitario statunitense.
Anch’io al Media Running Challenge
Attenzione, questo è un post autocelebrativo. Sì perchè correre con l’afa e la calura che ieri soffocavano Milano è stata in fin dei conti una piccola-grande impresa degna di nota. Se poi pensiamo che il sottoscritto da sole 3 settimane di stava allenando (due volte a settimana quindi non certo con assiduità), i 5 km percorsi ieri per la corsa promossa dalla Fondazione Coca-Cola HBC Italia sono decisamente una cosa di cui vantarsi. Ok, la corsa non era competitiva, ma l’intero incasso sarà devoluto a In-Oltre, onlus che dà supporto ai ragazzi con disabilità, motivo che mi ha spinto ad aderire da subito all’inziativa (il mio pettorale era il numero 64 su oltre mille iscritti!) rispolverando le scarpette da running da (troppo) tempo relegate inutilizzate nell’armadio. Per essere il secondo “capitolo”, la corsa mi è sembrata davvero ben organizzata: deposito borse, spogliatoi, pettorina con chip, maglia Adidas realizzata ad hoc, pacco gara con omaggi degli sponsor, stretching pre-gara, possibilità di partecipazioni aziendali, pranzo post-corsa offerto da Barilla, insomma una bella occasione per fare attività fisica all’aria aperta (nella sempre spendida cornice di Parco Sempione) aiutando al contempo i meno fortunati. Ho appena letto i dati circa la mia posizione finale: 335esimo su 1200 partecipanti (5 km percorsi in 29 minuti), la corsa è insomma stata un successo. In tutti i sensi.