Nokia N96, il web ora fatto a mano

Nokia N96Finalmente, dopo tanto leggere nei forum, ho potuto toccare con mano quello che più che un cellulare sembrava un miraggio: il nuovo Nokia N96. Le caratteristiche che mi sono subito saltate all’occhio – e che differenziano il cellulare dagli altri Nokia – sono da una parte la memoria che parte da 16 GB e con una miniSD card da 8GB può arrivare a 24 GB già subito al momento dell’acquisto, dall’altra la possibilità di ricezione della TV digitale (grazie al ricevitore DVB-H integrato) e di registrazione dei programmi sulla memoria interna. Caratteristiche non certo secondarie in virtù del fatto che il cellulare sta sempre più diventando non solo un mezzo con il quale chiamare e ricevere sms, ma una vera e propria postazione multimediale. In questo senso, inoltre, gli autoparlanti integrati con tencologia stereo 3D, la possibilità di navigare, cercare e acquistare online attraverso il Nokia Music Store le proprie canzoni preferite, l’A-GPS integrato con il quale consultare Nokia Maps con i dettagli urbani e le guide (con modalità per la navigazione automobilistica) e la fotocamera da 5 megapixel con ottica Carl Zeiss, fanno dell’N96 un cellulare per così dire “a tutto tondo”, capace di assecondare le esigenze di chi desidera un mini-computer tascabile. Come recita lo slogan che campeggia ovunque si comunichi l’uscita del cellulare, il web (fatto a mano) per N96 è come il cacio sui maccheroni: gli utenti con l’ultimo nato in casa Nokia possono caricare e scaricare contenuti dalla e sulla Rete grazie all’innovazione che consente di fruire ed effettuare l’upload di video. E’ stato anche rinnovato OVI Share il portale di condivisione di contenuti come accesso unico a tutti i servizi integrati Nokia (Nokia Music Store, N-Gage, Nokia Video Center, Nokia Maps, Photo Imaging). Per quanto riguarda i dati sul processore forse è un po’ prestino per valutare la “potenza” del cellulare, con i prossimi aggiornamenti al firmware dovrebbero essere più chiare le reali potenzialità circa la velocità del telefonino e del suo chip video dedicato. Altro tema delicato è quello relativo alla batteria anche se fonti ufficiali Nokia mi hanno rassicurato dicendomi che N96 è dotato di una serie avanzata di sistemi di gestione che permettono di diminuire i consumi energetici. Sulla qualità dell’oggetto non discuto, il prezzo invece mi richiede qualche riflessione in più.

p.s.=esiste anche un Nokia N96 Bruce Lee edition (ecco il video di uno spot che sta spopolando nel web) contiene accessori esclusivi e ha il pannello posteriore sul quale sono disegnate le arti marziali di Bruce Lee. All’interno della confezione ci sono un pupazzo, un cinturino con il nome di Bruce Lee e un portachiavi a forma di nunjaku. Nel software inoltre sono precaricati alcuni contenuti sempre a lui dedicati.

La banda Baader Meinhof

Baader MehinofIn occasione della Festa del Cinema di Roma ho potuto vedere in anteprima, pochi giorni prima dell’uscita nelle sale italiane (nella triplice versione in tedesco con sottotitoli in inglese con sottosottotitoli in italiano) il film Der Baader Meinhof komplex (La banda Baader Meinhof). La pellicola racconta la storia della nascita della RAF, un gruppo terroristico che a cavallo degli anni Settanta con le sue azioni scovolse la Germania Occidentale (sempre sul medesimo oggetto, quasi in contemporanea, è stato presentato anche il film Schattenwelt). Il regista Uli Edel narra le vicende di un gruppo di uomini e donne impegnati nel sensibilizzare, con i loro atti, l’opinione pubblica contro il neocolonialismo consumista made in Usa. Lo fa tramite un film che, anche in virtù della durata, risulta tutt’altro che leggero. Tuttavia, forse per evitare di prendere una posizione netta e dar luogo a polemiche, la sceneggiatura pecca un po’ nell’analisi della psiche dei vari componenti del gruppo: molta azione e tensione ma poco spazio ai conflitti interni a ognuno dei protagonisti che forse avrebbero permesso di capire più nel dettaglio da cosa nascesse il disprezzo e risentimento nei confronti dei militanti verso una società nella quale non si riconoscevano. D’altra parte, l’obiettivo di raccontare tutti i fatti accaduti nel decennio di attività della RAF risulta compito improbo e, in ultima analisi, alcune parti sembrano a mio giudizio “romanzate”, troppo lontane dall’ideale di guerriglia urbana e di azione di liberazione che invece immaginavo prima di entrare in sala. La parte che mi ha affascinato di più è stata quella relativa al rapporto tra i fondatori della RAF in regime di isolamento e le generazioni che a loro si ispiravano mettendo in atto una lotta terroristica ugualmenente provocatoria ma, almento da quanto emerge dal film, assai diversa nelle modalità di azione. Una pellicola coraggiosa che però non è riuscita ad entrare nella classifica dei miei film preferiti forse anche in virtù del fatto che la storia, nonostante i possibili parallelismi con le Brigate Rosse, mi è apparsa un lontata, incapace di coinvolgermi appieno.

Bruno Munari all’Ara Pacis

La mia visita di ieri alla mostra di Bruno Munari alla Ara Pacis è stata davvero una sorpresa. Ho potuto ammirare le opere e l’ironia di un personaggio davvero singolare, capace di sperimentare giocando con l’arte e la tecnica. Una delle sue massime recita: “Complicare è facile, semplificare è difficile”. Forse proprio con questo spirito Munari tramite astrazioni nelle prime opere del percorso delle mostra non suggerisce una forma, uno sfondo, un davanti e un dietro, ma solo l’assoluta bidimensionalità. Poi dai disegni si passa alle sculture che permettono di “vedere l’aria”: tubi metallici che ruotano e permettono di guararci all’interno. E avanti con sperimentazioni, giochi tra linee, superfici e volumi, con oggetti che come per magia passano dalle due alle tre dimensioni. E ancora film senza storia, senza narrazione ma solo con luce, ritmo e movimento, “libri illeggibili” nei quali le parole spariscono per dare carta bianca (o meglio colorata) all’immaginazioni di chi vorrà leggervi una storia, maschere che ricordano immediatamente volti umani, rametti di legno carichi di “tensione”, forchette che comunicano a gesti, mattonelle che ingannano la vista, reperti dal secondo millennio, strane scritture, xerografie, strane sveglie, diapositive e molto altro. Un lungo – quanto intenso – viaggio tra design, stile, innovazione, immaginazione, metodo, rigore e creatività.

Astropia, dall’Islanda con furore

Tento di descrivere la situazione nella quale sono stato involontario protagonista la scorsa domenica. Ore 17, Casa del Cinema di Roma. Riesco ad essere tra i “fortunati” che potranno assistere alla proiezione di Astropia. Età media, contro tutte le mie aspettative, sulla 50ina. Un signore dopo aver mostrato il suo disappunto per l’impossibilità da parte sua di tenere accanto a sé un posto occupato per un’amica non presente nell’edificio e che, con le entrate bloccate, non avrebbe potuto godersi lo spettacolo, lascia la sala spazientito. La signora accanto mi chiede se siano le 18.30 perchè lei in tv ha sentito che per l’ora solare è necessario spostare le lancette in avanti. Le rispondo che invece grazie al nuovo orario abbiamo dormito un’ora in più, domandandomi tra me e me che film si aspetti di vedere sul grande schermo. Se queste sono le premesse, si preannuncia un pomeriggio niente male. La pellicola per la quale sono lì è l’opera prima di un registra islandese e racconta la storia di una ragazza “molto pin-up” che, improvvisamente senza lavoro, trova occupazione in un negozio di fumetti/dvd/giochi vari. La cosa divertente è che le viene assegnato il reparto “giochi di ruolo” che non conosce per nulla. Il responsabile della rivendita la invita così a partecipare a una “sessione” per rendersi conto in prima persona di cosa sia un role playing. E così il film si sdoppia: la realtà diventa virtuale, fumetto e al contempo gioco di ruolo con la protagonista che assume i panni di una principessa in lotta contro orchi brutti e cattivi in pieno stile Signore degli Anelli. La pellicola – un sucessone in Islanda – corre via veloce e leggera tra varie gag alle quali la platea risponde con grasse (alle volte eccessivamente grasse) risate e citazioni comprese solo da pochi. Il film mi ricorda vagamente Hot Fuzz e Shaolin Soccer, altre due pellicole “demenziali”. Quando si accendono le luci in sala regna un misto tra stupore e incredulità. Arriva il regista, Gunner Bjorn Gudmunsson, e raccoglie un caloroso applauso rendendosi disponibile per rispondere alle domande e alle osservazioni del pubblico. Una delle prime è: “cos’è un nerd?” (ahia, allora forse la vena ironico-parodistica del film non è proprio così chiara….). Poi all’improvviso una gentile nonnina prende la parola per ringraziare il regista per averla aiutata a comprendere (finalmente, meglio tardi che mai!) i giochi dei nipoti: un tripudio da pelle d’oca e calde lacrime. Che pomeriggio indimenticabile.

Moo card: moosì che sono cool

Da oggi finalmente posso vantarmi anch’io di possedere le MOO MiniCard. Dopo un’attesa (snervante) durata poco più di una settimana sono entrato in possesso dei miei agognati mini biglietti da visita personalizzati (con tanto di contenitore in plastica dove conservarli senza farli rovinare). E’ normale esaltarsi per così poco? Forse no. Ma le minicard sono davvero carine: di pellicola opaca di cartonico (di spessore 350 g/mq), possiedono la particolarità di essere di dimensioni ridotte (28 mm x 70 mm) e per questo di sicuro impatto. Al di là del fatto che siano diventate tra i blogger un oggetto ricercatissimo (e quasi indispensabile), apprezzo le MOO card perchè mi rappresentano in maniera decisamente migliore rispetto a qualunque altro biglietto da visita legato alla mia mansione lavorativa. Mi piace molto infatti l’idea di poter lasciare ad una nuova persona che conosco una card con i miei contatti tra i quali spicca anche l’indirizzo del mio blog. Perchè in fondo il mio spazio è, almeno in parte, ciò che sono: un non-luogo pluritematico dove esprimere semplicemente me stesso lasciando fluire i miei pensieri, ciò che sento/provo. D’ora in poi, a (quasi) chiunque incontrerò fuori dall’orario lavorativo, potrò lasciargli un mio mini bigliettino, superando in un baleno l’aspetto formale di una (fredda) card che comunica il proprio status lavorativo, la propria specialità, l’indirizzo della propria sede, ma che poco a che fare con l’individuo che la consegna al di là della sua occupazione. E poi adesso, con i miei mini biglietti sempre a portata di mano, mi sento “grande”, mi sento entrato a tutti gli effetti nel mondo degli adulti, pronto ad assumere le mie responsabilità e ad affrontare di petto la vita. Speriamo bene…

User generated content 2009

Lo scorso giovedì ho partecipato all’incontro «User generated content 2009: contenuti, pubblicitá, forme partecipative», un forum di discussione organizzato da Current Italia e Warner Home Video che ha avuto luogo alla Casa del Cinema di Roma. Diversi gli ospiti, da Luca Sofri a Marco Pratellesi, da Layla Pavone a Paolo Lorenzoni. Il tema centrale sono stati i contenuti generati dagli utenti e la rivoluzione (sinora potenziale) che potrebbe avvenire nel cambiamento dei modi di produrre e distribuire il materiale informativo (qui inteso in un’accezione decisamente ampia).
Un esempio in questo senso è proprio quello che ha aperto la discussione: l’iniziativa di Current chiamata VCam (Viewer Created Ad Message). In estrema sintesi si tratta di uno spot realizzato dal pubblico. Il brand sponsor concorda gli obiettivi e il brief, mette a disposione del materiale (es. audio), verifica e in caso premia i contributi trasmettendoli e utilizzandoli per comunicare il proprio messaggio.
Resta da capire se questa bramosia di contenuti dal “basso” rappresenti una necessità in quanto la sola pubblicità tradizionale non è più sufficiente o se questo tipo di advertising sia un’astuta mossa per coinvolgere gli utenti risparmiando sui costi (spesso esosi) delle agenzie pubblicitarie.
Certo, come detto da Layla Pavone con il web la relazione con i media si modifica, oggi il consumatore risulta più mobile e dinamico, molto più propenso a una fruizione entertainment che a una fruizione di sola ricerca dell’informazione. Ma forse ha ragione Sofri quando ci invita a riflettere sull’eventualità che un mondo dove tutto e tracciabile, tutto è contato (view, impression, click…), possa portare a un coinvolgimento “economico” degli utenti e a una commercializzazione eccessiva dei prodotti informativi, notizie che assecondano il vouyerismo dell’utente invece di risultare “imparziali” vetrine della realtà del mondo. Forse proprio per questo, nonostante possa risultare bizzarro e anacronistico rispetto al tema dell’incontro, per quanto mi riguarda il contenuto che della serata più mi è rimasto è proprio quello che lo stesso giornalista ha riproposto a proposito di Sara Palin, vice di McCain: “capire la gente non significa essere (inevitabilmente) la gente.”

Le visioni di Angel Orcajo

Forse non tutti se ne sono accorti, ma lo scorso week-end a Roma 70 gallerie e luoghi d’arte hanno lasciato spazio all’arte moderna con vernissage, mostre e incontri con gli artisti (tra l’altro nel sito Roma Contemporary c’è la possibilità di un virtual tour). In extremis sono riuscito a visitare almeno un appuntamento di quelli previsti nella capitale: la mostra Soglie di incertezza all’Instituto Cervantes di Piazza Navona, sedici opere di Ángel Orcajo che spaziono dal 2003 al 2007, visitabili sino al prossimo 17 ottobre. Premetto che non sono un esperto d’arte, ma solo un appassionato di pittura e di qualunque forma d’arte che generi emozione, riflessione, introspezione. Ecco perchè la piccola mostra è riuscita a sorprendermi piacevolmente (non solo per l’ingresso gratuito): mi ha infatti permesso di scoprire un’artista la cui pittura è stata in grado di colpirmi nella inquietudine dei suoi tratti e in quel suo fascino metafisico-surrealista. In particolare un dipinto mi ha stregato: si intitola Un bosco di luci ed enigmi. Ahimè non sono riuscito a trovare un’immagine quindi proverò a descriverlo sommariamente. Si tratta di un quadro che mostra delle croci che rappresantano quasi delle rovine affiancate, sulla destra, a uno sguardo indagatore velato di tristezza. Forse la frase che Orcajo stesso utilizza per descrivere l’opera rende meglio l’idea: “…è sempre latente una bramosia irrefrenabile di decifrare l’enigma di tutto ciò che è esistente.” E’ proprio il concetto a monte della tela che ha saputo appassionarmi sin da subito: l’idea che l’uomo debba sempre trovare un senso, una spiegazione razionale per spiegare tutto ciò che lo circonda infatti mi spaventa. Spesso mi domando se per forza tutto debba avere ai nostri occhi un senso. Credo che il fascino di alcune “cose” che ci circondano sia dato appunto dalla loro patina di inconoscibilità, di unicità, alone di mistero che seduce. Ed è questo il mio approccio all’arte: quando guardo un quadro, ad esempio, non voglio “vivisezionarlo” per capire cosa l’autore avesse in mente mentre delirando lambiva un pennello intriso di colore. Voglio guardarlo per com’è, per così dire “con il cuore” più che con la sola vista, lasciandomi trasportare dalle emozioni che mi suscita. Poco importa se poi il significato originale nelle menta dell’artista sia stato da me completamente frainteso. L’arte per il sottoscritto non è un fine ma un mezzo. Per sognare a occhi aperti.

Welcome to my world

Benvenuti nel mio nuovo blog, l’appendice Umbazar di spaces.live.com è forse diventata – almeno così mi è stato fatto notare – troppo limitata/limitante e troppo teenager, insomma un po’ obsoleta.
E così eccomi a sperimentare altri territori con intatta però la voglia di far diventare questo (ancora potenziale) insieme di post un non-luogo di condivisione (in pieno stile web 2.0) di tutto ciò che, nel bene o nel male, mi sento quasi in dovere di raccontare agli altri. D’altra parte, essendo ormai diventato uno dei paladini del buzz (marketing) avrei forse potuto rinunciare a realizzare delle pagine in cui riverso le emozioni di ciò che leggo, sento, vedo, vivo? Ammetto che l’idea del “diario digitale” non sia proprio originalissima ma per me scrivere è terapeutico. L’auspicio è che questa sia un’isoletta felice lontana dallo stress lavorativo e dal viavai quotidiano dove potersi rilassare – e magari al contempo riflettere – almeno per qualche minuto.
Buona lettura!