Pinspire, la risposta italiana a Pinterest

Non molto tempo fa avevo presentato in un post le mie prime osservazioni su Pinterest. Il fenomeno da allora – e nel giro di pochissimo tempo – è esploso: le ultime notizie parlano di un incremento di traffico del 429% nell’ultimi tre mesi, tanto che per il settore retail al momento la bacheca social sembra uno strumento più adatatto del colosso Google+.

Il successo si misura anche nella misura in cui l’idea iniziale genera varianti locali. Ed ecco che quasi per caso mi sono imbattuto in Pinspire, un social network del tutto analogo a Pinterest, attualmente in versione beta e la cui iscrizione non necessita di invito: una volta registrati al servizio si possono segnalare nel proprio profilo/bacheca – attraverso delle puntine virtuali, le pin citate nel nome – le immagini che più ci piacciono, organizzandole per categorie. Si possono seguire profili,  essere informati sulla propria attività (i propri album, i pin, i mi piace e le mentions) e interagire nelle varie immagini cliccando mi piace sul cuoricino in alto a destra, commentando o effettuando il repin, una sorta di risegnalazione nel proprio album (la bacheca è formata da tanti album quante solo le categorie con le quali abbiamo deciso di organizzare le nostre immagini preferite).  E’ possibile condivedere le proprie segnalazione e, grazie all’utilizzo della @ nei commenti, anche consigliare l’immagine ad altri membri di Pinspire. L’aspetto probabilmente più interessante anche in questo caso è legato all’associazione tra prodotti – ad esempio di un canale e-commerce – e il bottone Pin It che presenta caratteristiche e funzioni del tutto simili ai pulsanti di Facebook e Twitter e che quindi può contribuire a diffondere e promuovere gli oggetti “vittime” delle pin (e quindi dell’attenzione degli utenti).

La parte Premi non mi è ancora del tutto chiara: la differenza sta nel fatto che gli oggetti “pinnati” hanno il prezzo ma non capisco l’associazione con la parola “premi” (e in ogni caso, rispetto a Pinterest, manca al momento una ricerca dei prodotti in base all’eventuale prezzo segnalato). La cosa particolare è che, nelle note legali, la società di riferimento per Pinspire è una certa Pinpire S.r.l. con sede a Milano. Scegliendo la bandierina italiana compaiono solo utenti “nostrani” – in maggior numero rispetto ai miei inizi su Pinterest – con i quali forse, almeno inizialmente, potrebbe essere più semplice interagire (nella homepage, giusto per farsi un’idea del social network, anche senza essere regisrati al servizio è possibile vedere i contenuti della sezione I più interessanti).

Armati di puntine non ci resta che corredare i nostri album con le immagini che preferiamo: fotogrammi di film, vestiti, dolci o paesaggi, coloriamo il nostro mondo e condividiamone i dettagli che più ci appassionano. Buon divertimento!

Mobile Marketing, il futuro nelle nostre mani

Quando sono all’estero e decido di non navigare in roaming mi rendo effettivamente conto di quanto ormai la mia vita sia scandita dall’utilizzo dello smartphone che porto sempre con me. Consultare Twitter, utilizzare Google Maps, caricare foto con instagr.am sono solo tre esempi di azioni diventate ormai – almeno per il sottoscritto – routine.
Ecco perchè quando mi è stato offerta la possibilità di leggere a pochi giorni dalla sua uscita Mobile Marketing: la pubblicità in tasca – libro edito da Fausto Lupetti, autori: Paolo Mardegan, Massimo Pettiti, Giuseppe Riva, prefazione Layla Pavone) sono stato ben contento di approfondire una tematica i cui sviluppi mi interessano molto e che, da utente, tocco letteralmente tutti i giorni con mano.
In effetti in un momento – quello attuale, i cui contorni sono stati ben delineati, ad esempio, nell’evento Google Think Mobile – nel quale il mobile (smartphone + tablet) ha superato i PC (desktop + notebook) e che fa registrare solo in Italia 20 milioni di smartphone (dovremmo orami essere prossimi al sorpasso degli smartphone sui cellulari), non parlare di opportunità legate al mondo della telefonia mobile sempre connessa sembrerebbe ingenuo.
L’emergere di una nuova tecnologia modifica gli assetti “mediali” del mondo dal quale emerge. Diventa allora fondamentale riflettere sui segnali che il mercato sta lanciando per tentare se possibile di comprendere come questa ennesima evoluzione degli strumenti a disposizione possa creare valore sia per gli utenti che per le aziende.
Il testo, con un’analisi teorica molto approfondita (soprattutto in relazione alla “giovinezza” del mezzo smartphone), analizza i nuovi paradigmi del marketing (in the moment) presentando l’orizzonte del nuovo scenario attraverso lo studio del mobile advertising, della geolocalizzazione, del mondo applicazioni e del mobile payment, offrendo al lettore dati di mercato, valutazioni e, nella parte finale, anche casi concreti e testimonianze di alcuni tra coloro che per lavoro quotidianamente si confrontano con un fenomeno in continua dilagante evoluzione.
Visto che ci sono ne approfitto per complimentarmi con gli autori del libro e per ringraziarli pubblicamente per la “citazione” – nella parte relativa al marketing conversazione e al buzz marketing – al libro del quale sono co-autore.

The Artist, la vita è un set

Non avrei mai pensato di iniziare il mio nuovo “anno cinematografico” vedendo un film muto girato tutto bianco e nero.
E invece sono stato felicissimo di averlo fatto. The Artist – questo il nome della pellicola alla quale mi riferisco – è un film scritto e diretto da Michel Hazanavicius, interpretato magistrarlmente da Jean Dujardin, Berenice Bejo e dal cagnolino Uggie. La storia è quella di George Valentin un divo del cinema muto, osannato dalle folle che adorano le sue interpretazioni (fatte soprattutto di mimiche facciali) e quelle del suo simpatico amico a quattro zampe. Ma si sa, il mondo dello show biz si regge su colonne assai fragili: l’acclamato attore passa nel giro di poco tempo dalle copertine delle riviste ad una vita di stenti, sconforto e anonimato. La rivoluzione del sonoro, la crisi finanziaria e una buona dose di orgoglio trasformano in breve tempo un campione di incassi dal sorriso magnetico in un cittadino qualunque alle prese con restrittezze economiche e con la rassegnazione di una persona che non si riconosce in un mondo in vertiginoso cambiamento che improvvisamente non ha più bisogno di lui.
Alla discesa di George corrisponde però l’ascesa di Peppy Miller, nuova starlette del cinema, ironia del caso portata alla ribalalta – anche se in maniera del tutto involontaria – proprio da Valentin.
Un film davvero bello, una piacevolissima sorpresa capace, nonostante la mancanza di audio e colore, di risultare in ogni scena delicatamente appassionante. Una storia dal fascino retrò capace di commuovere per semplicità e tenerezza, per quell’atmosfera speciale nella quale, senza alcun suono, gesti, sguardi, espressioni colpiscono al cuore dello spettatore.
Un sentimento di amore tanto forte da accettare senza pretendere di cambiare, questo il vero soggetto della pellicola. Stupendo, non c’era modo migliore di inizare il 2012.

Be Chic, per un Natale glamorous

Il Natale, almeno negli ultimi anni, per il sottoscritto arriva all’improvviso. E mi coglie inesorabilmente impreparato. Per svariati motivi (alcuni a ben vedere indipendenti dalla mia volontà), infatti, mi riduco, per ciò che concerne l’acquisto dei regali per le persone care, ben oltre quella soglia limite che gli inglesi chiamano panic saturday, il sabato che precede le festività natalizie. Quest’anno però ho avuto la fortuna di avere dalla mia un validissimo alleato con il quale ho potuto superare con agilità ed eleganza quell’ostacolo insuperabile che mi sembrava fino a pochi giorni fa la lista dei regali. Si tratta della linea Be Chic, un nuovo marchio di collezioni di bijoux dal design veramente particolare. Braccialetti, collanine, orecchini e spille confezionati in scatolette nere con fiocchettino rosa antico da sapore retrò, gioiellini eleganti dal taglio ironicamente trendy. Appena scoperto il mondo Be Chic mi sono studiato i vari bijoux e alla fine ho optato per due braccialetti (uno argentato con un cuoricino, uno nero con tanto di pendagli sul quali campeggia un gattino nero) e una semplicissima collana con chiama angeli.

Il sito in realtà non presenta solo la collezione di bijoux (prezzi più che accessibili) ma possiede anche proposte make-up e una linea di prodotti per il bagno in vendita nelle migliori profumerie (nella sezione dove siamo, compilando il campo con, ad esempio il CAP, è possibile scoprire i punti vendita Be Chic più vicini). Registrandosi, inoltre, è possibile stilare la propria wishlist.
Quella sorta di give away interno all’ufficio che ho messo in piedi si è rivelato un sucessone e grazie a Be Chic quest’anno potrò vivere i giorni che precedono il Natale in maniera più rilassata. Tanti auguri di buone feste a tutti!

Quel che resta dei Pumpkins…

Recensire un concerto degli Smashing Pumpkins – la mia band preferita – è per il sottoscritto impresa ardua. Non solo perchè, nonostante tutto, la gioia di vederli suonare dal vivo (o per meglio dire, di sentire suonare dal vivo Billy Corgan, ultimo “superstite” della band) è sempre moltissima sia perchè mi è difficile non lasciare spazio alla gratudine nei confronti di un gruppo che è stato e continua ad essere la colonna sonora della mia vita. Mi sforzerò, comunque, di essere obiettivo.
Da dove partire? Iniziamo dalla tracklist, un mix di vecchie tracce (come le definisco io, early beginnings) e di quelle canzoni che coinfluiranno nel nuovo lavoro, Oceania, in uscita la prossima primavera.
Premessa: sono da poco uscite le ri-edizioni dei primi due album della band (Gish e Siamese Dream, disco quest’ultimo che amo alla follia), per forza di cose il tour ha tentato di trainare le vendite delle nuove edizioni proponendo al pubblico dei pezzi “storici” lasciando da parte le famose ballate di pumpkinsiana memoria conosciute ai più (anche perchè magari associate a videoclip musicali). Questo può forse in parte spiegare l’assenza di una partecipazione “corposa” da parte del pubblico verso canzoni non solitamente parte del reportorio live della band e spesso accompagnate da interminabili soli di “chitarre disorte” (scelta molto Nineteens, un salto indietro agli anni più psicadelici del gruppo). Partenza lieve con le nuove tracce Quasar e Panapticon. Ma poi piede sull’acceleratore con il trittico Starla, Geek U.S.A., Muzzle che mi fa subito perdere la voce. E poi ancora vecchi brani – per tra i quali brilla secondo me il delirio sonoro di Silverf**k – intervvallate dalle canzoni ancora inedite. Tutto scorre senza infamia nÈ lode sino all’atto finale dello show nel quale Corgan riaccende l’entusismo dei presenti proponendo nell’ordine: Tonight, tonight, For Martha, Zero e Bullet with Butterfly Wings. Improvvisamente tutti cantano, tutti si muovono all’unisono, tutti urlano, il forum sembra ribollire di energia. Tutto troppo bello: chiudo gli occhi e volo indietro con gli anni. Rivedo gli Smashing Pumpkins prima della serie di eccessi legati all’abuso di eronina (che portò alla morte del tastierista Jonathan Melvoin e a far rischiare al batterista Jimmy Chamberlin una fine analoga) che portarono la band nel giro di pochissimo dai trionfi mondiali al rischio di una fine prematura. Billy indossa la sua t-shirt Zero, James Iha di lato, con una camicia di raso e il suo enigmatico sorriso orientale tra il divertito e il sarcastico, D’Arcy dalla parte opposta suonando in maniera sensuale il basso agita i suoi capelli biondo-ossigenato, Jimmy nonostante il volto “consumato” suona divinamente la batteria senza troppo scomporsi. Un secondo dilatatosi nel tempo. Poi però riapro gli occhi. E sul palco dei quattro vedo solo lui, Corgan. Circondato da volti semisconosciuti. E per un attimo mi pare di assistere a uno di quei concerti nei quali la coverband ha come guest-star della serata uno dei membri del gruppo al quale si ispira.
Gli Smashing Pumpkins di oggi non sono e non possono essere quelli di ieri (il batterista è poco più che maggiorenne, in pratica ha la stessa età del primo album della band), meglio farcene una ragione. Sono cambiati loro, sono cambiato io, il mondo intero è cambiato molto dai tempi del pluripremiato Mellon Collie and Infinite Sadness, doppio album con il quale formazione di Chicago ha conosciuto fama mondiale. La nostalgia c’è stata e c’è tuttora verso un glorioso passato destinato (molto probabilmente) a non ripetersi. Ma in definita il concerto non mi è dispiaciuto: il nuovo materiale non mi entusiasma, le date del tour europeo mi sono parse da subito una serie ravvicinatissima (quanto, immagino, massacrante) di esibizioni, Corgan è rimasto il solo a credere nel progetto ma la tracklist è stata a suo modo originale (forse influenzata da una sorta di sondaggio lanciato nella pagina ufficiale su facebook della band): ammetto di aver temuto quel peggio che fortunamente poi non ha avuto seguito. Lunga vita alle Zucche allora. Fantastiche, non spappolate, mi raccomando.

L’arte del passaparola, teoria e pratica del word-of-mouth

L’arte del passaparola di Andy Sernovitz è una sorta di manuale che racconta, in maniera semplice e con una miriade di esempi concreti cosa sia il marketing del passaparola, gli strumenti, gli ingredienti e le tecniche per stimolare le conversazioni online e offine attorno a un brand.
Di cosa si tratta? In estrema sintesi – e senza la necessità di anticipare troppi temi trattati nel testo – il marketing del passaparola riguarda le interazioni tra persone, tra consumatore-a-consumatore attorno a prodotti, servizi, iniziative. Conversazioni che spesso scaturiscono in maniera spontanea dall’emozione che deriva, ad esempio, dall’utilizzo di un prodotto piuttosto che dalle sue caratteristiche.
Grazie anche alla Rete – e in particolare ai social media – comunicare le proprie impressioni, i proprio giudizi ad altri utenti è diventato semplice quanto immediato: “siamo diventati una comunità di critici in poltrona” come certifica l’autore del libro.
Gli utenti, con le loro voci, soprattutto se autorevoli in un determinato ambito (che non significa necessariamente vip) possono con le loro opinioni avere un notevole impatto sugli altri consumatori (l’autore si lancia anche nell’affermazione forse un troppo di parte: “più di qualsiasi pubblicità”).
Se da un lato quindi resta fondamentale realizzare buoni prodotti, dall’altro è oggi indispensabile capire cosa spinga le persone a parlare di un determinato argomento e imparare a interagire, a prendere parte a una conversione in corso. Come? Beh, dipende da caso a caso. Il consiglio che viene dal libro è quello di analizzare quanto si discute per poi creare un modo per dare alla conversazione un carattere di eccezionalità, esclusività e divertimento dimenticando l’imperativo categorico “vendere”. E tutti – ma davvero tutti – con pochi semplici passaggi possono iniziare un percorso che permetta loro di creare del passaparola attorno alla propria attività, dall’aggiungere il semplice bottone “tell a friend” nel sito o nelle newsletter a iniziative ben più articolate e complesse.
Andy Sernovits è CEO di GasPedal, un’agenzia specializzata nel word-of-mouth e ha creato Word of Mouth Marketing Association, l’associazione internazionale che raduna tutti gli operatori del settore e che si occupa di trovare metriche e prassi condivise alle quali attenersi: un vero guru del wom la cui passione si percepisce leggendo il testo che però, a dirla tutta, risulta un po’ datato (pochissimi riferimenti alle evoluzioni più recenti dei social media, titolo arrivato probabilmente troppo tardi in versione italiana anche se ha una sua appendice online). Gli esempi, seppur numerosissimi, sono tutti made in US e quindi forse un po’ troppo distanti dalla nostra realtà. Il libro è assolutamente consigliato per chi voglia avere un’infarinatura dell’argomento ma per chi invece mastica già le tematiche legate al passaparola forse risulterà un po’ troppo generico e ripetitivo. A tratti infatti il testo sembra la raccolta degli speech dell’autore senza però un’analisi “scientifica” e realmente strategica con dati, numeri, grafici e considerazioni dettagliate. Sicuramente una scelta voluta per evitare di appesantire la lettura ma che almeno per quanto mi riguarda avrebbe reso ancora più accattivante il testo.
Per concludere un piccolo aneddoto: ho saputo dell’uscita del libro attraverso il profilo twitter dell’autore. Incuriosito ho subito scritto a lui e alla sua casa editrice (la Corbaccio che lo ha inserito, non so per quale motivo, nella collana de I libri del benessere) per sapere se fosse possibile avere una copia da leggere e recensire per generare un po’ del più volte citato passaparola attorno al nuovo volume. Niente, nessuna risposta. Disappunto, speravo che almeno stavolta non fossero solo parole su carta.

Pay a Blogger Day, il giorno dopo…

Lo scorso 29 novembre è stato il Pay a Blogger Day una bella iniziativa che ha saputo attirare le attenzioni di molti utenti. If you enjoy reading blogs, give a little back – at least one day a year pay a blogger: questa l’idea alla base della campagna che, in estrema sintesi, si proponeva di sensibilizzare i lettori di blog a esprimere il loro apprezzamento verso i contenuti di uno spazio con un’azione concreta capace di superare i semplici commenti, i like e il generico sharing nei vari social network. Quale? Una donazione. O meglio una microdonazione. Ideatori della campagna sono i ragazzi del team di Flattr, realtà di Malmo specializzata nel cosiddetto social micro-payment system che ha elaborato una modalità tramite la quale supportare chi crea contenuti di valore (il termine flatter in inglese significa adulare ma anche donare). Lo strumento è utile sia per gli editori (siano essi blogger, musicisti, programmatori, fotografi, eccetera) che possono aggiungere un bottone tramite il quale raccogliere delle donazioni sia ai lettori che avranno così modo di premiare i loro autori preferiti. Ovviamente la stessa persona può vestire i panni sia del creatore sia quelli del fruitore di contenuti.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=9zrMlEEWBgY&w=440&h=360]

Il funzionamento è davvero elementare: registarsi al sito equivale ad aprire una sorta di conto virtuale nel quale depositare del denaro. Alla fine di ogni mese poi, la quota che l’utente avrà indicato come totale delle sue donazioni, verrà equamente distribuita in base alle volte in cui ha cliccato sul pulsante Flattr dimostrando l’intenzione di riconoscere all’autore del contenuto un piccolo corrispettivo in denaro (l’esempio della torta del video ufficiale qui sopra rende benissimo l’idea).
Da blogger non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione e così mi sono subito registrato al sito e ho fatto in modo di aggiungere, sotto ogni mio post (quindi anche questo), vicino ai tasti di condivisione, anche il bottone Flattr dando così modo ai miei “venticinque lettori”, nel caso volessero premiarmi, l’opportunità di riconoscermi una piccola donazione. Non mi illudo di certo sulle cifre ma sono molto interessato allo sviluppo dello strumento che non propone una sorta di “vendita con libera donazione” come successo, ad esempio, con i Radiohead per l’uscita di In Rainbows ma invece rovescia la prospettiva permettendo al fruitore di esprimere con una microdonazione il proprio apprezzamento verso il materiale proposto comunque free senza alcuna richiesta.
Qualcuno ci tiene a precisare come un blog si aggiorni con contributi audio-foto-video per passione non (solo) per lucro. Ma fare in modo che chi legge possa dimostrare concretamente il gradimento verso l’operato di chi ha realizzato il contenuto, senza alcun obbligo e in maniera decisamente democratica, mi sembra una bella opportunità. Support web great content!

[update: dopo un solo giorno dall’installazione del pulsante flattr ho ricevuto la mia prima donazione, che bello!]

Marketing in the Groundswell, il libro giallo del web marketing

Proprio a cavallo della Social Media Week ho terminato la lettura di Marketing in the Groundswell, il piccolo libro di Charlene Li e Josh Bernoff che tenevo da molto tempo (troppo?) sul mio comodino accanto al letto.

Un testo, quello della Harvard Business Press, davvero molto interessante che, pur non essendo recentissimo (è datato 2009) riesce a sintetizzare alcune tra le strategie più attuate online.

Your brand is whatever your customer say it is“: questo l’assunto di partenza che consiglia di ascoltare prima di agire. Un ascolto non solo finalizzato ad individuare la cosiddetta percezione di marca ma anche a capire il cambiamento in atto nel modo di interagire degli utenti con un brand, ad individuare nuovi aspetti influenti agli occhi dei consumatori o a recepire loro eventuali suggerimenti e considerazioni.
Ma come giustamente ricorda il testo, in una conversazione l’aspetto di ascolto, pur importante, non può essere sufficiente, occorre anche instaurare un dialogo. E qui gli autori, con dovizia di esempi pratici, propongono le loro quattro alternative:

  • la realizzazione di un video (potenzialmente) virale (la campagna citata è quella di Blendtec);
  • l’engagement tramite social network e, più in generale, circuiti UGC (si parla già di Facebook ma vengono spesso citati MySpace e siti di review);
  • il blog aziendale;
  • la creazione di una community tramite la quale coinvolgere i propri (potenziali) consumatori (la case in questo caso è quella di beinggirl.com by Procter & Gamble).

Un testo sintetico quanto interessante, ricco di dati e di massime che nonostante la costante evoluzione degli strumenti online restano quanto mai valide ancora oggi sebbene in certi casi vadano chiaramente attualizzate (una delle mie preferite resta questa: “Much of money is spent on television commercials. This is not talking, this is shouting“). Un libro che sin dalle prime pagine mette in chiaro come i processi in atto portino a una radicale rivoluzione dell’intera industria, non solo in ambito comunicativo ma che organizzativo, produttivo e gestionale.

Ecco spiegato forse perchè il richiamo sin dal titolo alle onde (lunghe e profonde), al moto perpetuo che rappresentano oggi gli utenti online con i loro continui scambi di valutazioni e giudizi attorno a prodotti, servizi, iniziative e contenuti. Ormai impossibile ignorarli o considerarli come semplici consumatori passivi da colpire solo con il classico advertising.

 

 

A Milano torna la Social Media Week!

A partire dal prossimo lunedì, a Milano tornerà a pulsare il cuore del mondo digital&web italiano e internazionale. E’ infatti ormai imminente la partenza dell’e-festival che, in occasione della Social Media Week (evento che connette non solo virtualmente in contemporanea 11 metropoli del mondo), dal 19 al 23 settembre, proporrà una serie di appuntamenti l’obiettivo di diffondere e divulgare la cultura digitale. Occasione di confronto quanto mai importante in un Paese come il nostro che ha la necessità colmare il cosiddetto digital divide e di investire in tecnologia per tentare di uscire dalla attuale crisi.

Democratizing Technology è il concetto scelto per riassumere le iniziative legate al “Festival della Rete”: la tecnologia per tutti. Quattro i focus nei quali sono stati raggruppati gli oltre 130 tra convegni, seminiari e incontri: green, safe, smart, qualità (vedi il programma completo).

All’interno dell’ampia agenda dell’e-festival trova spazio anche la prima edizione dello StartUp Festival, un’opportunità unica per presentare la propria startup entrando in contatto con investitori e potenziali partner.

Centro informativo della manifestazione sono i Chiostri dell’Umanitaria in via San Barnaba che, oltre ad essere il centro di coordinamento degli eventi presso le altre location, sarà la sede di molte delle attività in programma.

E proprio di fianco al quartier generale, nei chiostri di San Barbaba (via San Barbana 48), il prossimo 21 settembre dalle 19, sarò sicuramente presente al Late summer social party, aperitivo con dj set. Ci vediamo là, giusto?

Le lezioni di Schweppes per migliorare l’appeal della propria voce

Uno dei miei sogni nel cassetto è quello di diventare un doppiatore. Ho sempre pensato che doppiare un film fosse, facendolo bene, in fondo come recitare. Solo, dietro un microfono. Certo dovrei seguire un po’ di lezioni di dizione, ad oggi forse mi potrei proporre solo per il ruolo di voce di Carl Carlson dei Simpons.
Ma fortunatamente ho trovato online qualcosa che può aiutarmi a fare un po’ di pratica. Si tratta dell’applicazione facebook Improve your Schweppes appeal. Una divertente serie di lezioni per migliorare il fascino della propria voce e attirare le persone come “api al miele”.
Accesa la webcam e attivato il microfono bisognerà dimostrare passione e tecnica per superare brillantemente i tre livelli (oltre il test iniziale) che portano al fatidico punteggio finale. Le prove sono più complicate di quanto sembrino all’apparenza. Per carità nulla di impossibile ma si vuole puntare ad una alta percentuale complessiva occorre porre molta attenzione a tono e ritmo della propria parlata.
Al countdown infatti dovremmo ripetere la frase il nostro “mentore” – Guy Gadbois – facendo in modo che la vostra voce segua quanto più possibile i grafici indicati.

La prima delle tre prove per quanto mi riguarda risulta la più ostica, quella che più pregiudica il mio risultato finale. Mi incarto sempre nella parte iniziale della frase e finisco per guadagnarmi un bel “deprimente” (non esattamente la sensualità del rumore dello stappo di una bottiglietta Schweppes).
Ma poi mi riprendo e nonostante tutto alla fine bene o male riesco comunque a diventare la secondo persona più Schweppesy del mondo. Almeno secondo il mio insegnate (mi pare quasi di dover doppiare Il discorso del re, ecco qui sotto il video introduttivo dell’iniziativa).

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=nFYyKyZ7Olo&w=440&h=390]

Un’applicazione simpatica con la quale giocare a sfidare i propri amici e scoprire in che misura la nostra voce possa essere considerata un’arma di seduzione. Personalmente al primo tentativo ho raggiunto quota 58%, vetta superata di pochissimo (59%) nonostante i successivi tentativi. E voi?

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