Gli ultimi giorni dall’anno, almeno per quel che concerne il panorama editoriale italiano, sono stati movimentati dall’annuncio dell’imminente lancio del paywall per il Corriere della Sera. Da anni si ricorrono le voci sull’esordio di questo tipo di strategia da parte dei principali quotidiani nazionali (su Twitter, per esempio, io stesso ho rilanciato un articolo datato ottobre 2013 che annunciava scelte che ad oggi non hanno avuto seguito) ma, in occasione della presentazione del piano industriale del Gruppo RCS, si è data molta enfasi alla decisione che dovrebbe concretizzarsi entro la fine del prossimo gennaio.
Alla base del progetto, tre (macro)obiettivi che il Gruppo si è dato: sostenibilità economica, trasformazione del proprio business, crescita futura. Tra le azioni che la Direzione ha deciso di intraprendere quella chiamata “Oltre il digitale” cita espressamente il paywall quale “nuovo modello di abbonamento per monetizzare in modo adeguato i contenuti, conoscere e fidelizzare il lettore”.
Dalle (poche) parole di chi ha presentato l’ambizioso progetto ancora non emergono i dettagli. Si è sottolineata la necessità di pagare i contenuti di qualità, l’importanza della sperimentazione anche in Italia, la flessibilità della formula che prevederà più combinazioni e lo spessore di un’iniziativa che ha attinto dalle best practice internazionali.
Il punto di riferimento, pare assodato, sarà il metered paywall, una soglia di sbarramento agli articoli gratuitamente fruibili non rigidissima che, nelle sue forme di maggiore successo, consente, ad esempio, di leggere gli articoli anche una volta superato il limite definito se si arriva ai contributi da un link condiviso nei social media o di preservare l’accesso alle gallery multimediali – foto e video – senza limitazioni. Un muro non completamente “impermeabile” dunque che potrebbe prevedere un numero massimo di articoli (10 articoli al mese?) da leggere gratuitamente, richiedendo la registrazione per aumentare senza spese il numero di articoli gratis di alcune unità (10 + 5 al mese?) superati i quali sarà invece necessario sottoscrivere un abbonamento al giornale.
In questo modo il passaggio da una lettura completamente gratuita a una formula più restrittiva risulterebbe probabilmente meno brusco e, almeno in linea teorica, eviterebbe un crollo degli accessi al sito della testata preservando al contempo la raccolta pubblicitaria digitale.
Non si tratta certo dell’unico elemento di “cambiamento” prospettato, altre azioni a programma sono, ad esempio, il ritrovato interesse per hyperlocal oltre al focus sulla trasformazione data-centrica per conoscere e interpretare al meglio il bacino di utenti. Ma forse sarà proprio il paywall quello che, almeno nell’immediato, avrà l’impatto più rilevante sui lettori e sugli altri “attori” del panorama giornalistico nazionale.
Quanto recentemente accaduto con il Toronto Star e con il Sun, quotidiani che hanno rivisto la propria strategia abbandonando il paywall sul quale avevano deciso di puntare, sembrano prospettare un inizio in salita per il quotidiano milanese, soprattutto in considerazione del prestigioso quanto impegnativo ruolo di “rompighiaccio”, prima testata italiana a sperimentare il paywall.
In questo senso, un dettaglio mi ha dato da pensare. Degli otto punti elencati per raggiungere quanto stabilito dal Piano Industriale, il messaggio ufficiale di RCS liquida piuttosto sbrigativamente il primo punto che rispetto agli altri, pur aprendo l’elenco, risulta fumoso. In maniera generica si fa riferimento all’obiettivo di “ridurre i costi, preservando investimenti e qualità”. Ecco, forse mi sarei aspettato un più audace quanto netto riferimento ad un ulteriore aumento della qualità rispetto a una “difesa” dell’attuale approccio che mi sembra emergere tra le righe del comunicato. Perché per convincere i visitatori di corriere.it ad abbonarsi al quotidiano rinunciando alle notizie gratuite di altri spazi informativi è probabilmente necessario far loro percepire ancora meglio il valore aggiunto che solo il Corriere delle Sera può offrire. In termini di obiettività, di approfondimento delle analisi, di autorevolezza. Lo status quo da solo non è sufficiente.