Social Media ROI, la mia recensione

Sono convinto che misurare il ROI dei social media sia una sfida difficilissima e forse, alla fine, nemmeno così costruttiva se banalmente si tenta di trasferire online una formula utilizzata in un contesto del tutto differente.
Ecco perché quando ho sentito della pubblicazione di Social Media ROI di Vincenzo Cosenza ho dapprima scaricato l’anteprima in pdf e poi ho acquistato il testo, curioso di conoscere il punto di vista di una di quelle persone le cui analisi e osservazioni seguo sempre con molto interesse.

Dopo una bella panoramica sul perché ogni azienda non possa oggi permettersi di ignorare la Rete, il libro entra nel vivo e inizia a presentare un programma di misurazione che consente il passaggio da una sperimentazione legata alla novità degli strumenti quali Facebook, Twitter, Flickr, LinkedIn, all’integrazione di questi nella strategia con la quale affrontare il mercato.

E qui sorge il primo problema: l’idea che Internet sia il più misurabile dei media – come ricordato dall’autore – finisce per essere una sorta di dogma da prendere per vero vista l’assenza di metriche accettate in maniera diffusa con le quali stabilire il successo o meno di attività di marketing.

Un’evoluzione, ad essere sinceri, c’è comunque stata: dalle impression, si è passati ai click e ora con l’assumere di sempre maggiore importanza del mondo social è emersa l’esigenza di parametri di valutazione differenti, focalizzati in maniera più precisa sulle caratteristiche di tali strumenti e sul tipo di interazioni che consentono agli utenti.

Diventa allora importante porsi sin dall’inizio degli obiettivi ai quali associare dei KPI (key performance indicators) per poter così iniziare a rendersi conto dei progressi realizzati nell’utilizzo di strumenti social che si è deciso di presidiare.

Uno degli aspetti che ho più apprezzato del libro è il continuo insistere sull’adozione di un modus operandi che preveda l’ascolto, la successiva pianificazione e poi, ad ogni singola azione, la misurazione di ciò che da essa è scaturito e la cui analisi finirà con l’influenzare gli step successivi.

Questo credo sia il punto centrale per il quale il testo vada letto. Al di là delle tante informazioni, delle tante metriche, dei tanti strumenti di analisi e di comunicazione analizzati.

Anche perché, d’altra parte, come lo stesso Vincenzo specifica, se possiamo dare per scontato che ogni azienda opera – perdonate la brutalità – per vendere di più, è altrettanto vero che non tutte le attività realizzate attraverso i social media devono essere misurate in termini di ritorno finanziario sull’investimento.

Il libro quindi, a ben vedere, nonostante il titolo ammiccante, non cade nel tranello di dare per scontato nulla ma anzi offre al lettore – dover aver presentato diverse chiavi di lettura – quella che rappresenta per tutti gli addetti ai lavori una sfida non da poco: la misurazione.

L’altro punto focale, a mio modo di vedere, che deriva da un metodo di lavoro improntato sulla misurazione di ogni singolo aspetto della propria presenza online è il rendersi conto di come il mondo del social non sia un’entità a sé rispetto alle dinamiche e ai modelli di gestione di un’azienda e di come questo “nuovo mondo” non rappresenti una minaccia ma un’opportunità. E che quindi, proprio per questi motivi, vada non solo accettato ma programmato con l’adozione, ad esempio, di un modello organizzativo ben preciso, di una social media policy e un programma di formazione multilivello.

Un libro davvero ricco di suggerimenti, analisi, esempi per capire come misurare la propria attività online e ottimizzarne la gestione, consigliatissimo.

L’unico piccolo neo risulta, a voler cercare l’ago nel pagliaio, è forse il prezzo di copertina: non ho avuto modo di acquistare il testo in versione ebook (da quanto ho capito molto più conveniente), il costo del libro in cartaceo mi pare elevato non tanto per i contenuti presentanti (ripeto: moltissimi gli spunti, davvero complimenti per il lavoro fatto) ma in relazione a un mondo, quello dell’online nel generale, dei social network in particolare, in continua evoluzione che rischia di far invecchiare rapidamente qualsiasi testo sull’argomento.

Fopping.com, l’e-commerce si veste di social…

Non chiedetemi come ma non molto tempo fa mi sono imbattuto in un marketplace indiano davvero particolare. Si tratta di Fopping.com uno shop online a suo modo geniale. Perché? Offre agli utenti capi di abbigliamento, calzature e accessori a prezzi competitivi con la possibilità di ulteriori ribassi: basta, una volta selezionato ciò che ci interessa, condividere il link al prodotto su Facebook o Twitter guadagnando così dei Fopps, monete virtuali da utilizzare per ottenere un prezzo ancora più conveniente. Visibilità nei canali social in cambio di sconti che, per alcuni prodotti (pochi per la verità), possono anche arrivare sino al 50% della cifra inizialmente proposta (tra l’altro proprio a fine mese si concluderà all’interno di Fopping.com un contest che mette in palio un’Harley 883 per chi arrivi ad accumulare almeno 15.000 Fopps).

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=hzrOXb8aUbI&w=440&h=360]

L’idea alla base del servizio mi pare ottima (anche se, per esempio, una volta ottenuto lo sconto ho cancellato il tweet con il quale avevo condiviso il prodotto di mio interesse pur conservando i Fopps) e potrebbe rappresentare una sorta di avanguardia per quel che concerne il cosiddetto social commerce, acquisti in un ambiente che permette di interagire direttamente o indirettamente con il proprio network ottenendo magari anche quale beneficio. Il futuro è già qui?

Un sms al 45596 in favore di Alice for Children

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=TK0pGXBAgpQ&w=440&h=360]

Non capita tutti i giorni di avere l’opportunità di essere testimoni diretti dei sacrifici e della passione che un gruppo di volontari (donne e uomini) ogni giorno riversa nel proprio piccolo-grande tentativo di migliorare il mondo con il proprio contributo. Proprio per questo quando Valentina e Elena mi hanno chiesto il loro supporto non ho esitato un attimo a farmi portavoce della campagna sms solidale di Alice for Children tramite la quale l’associazione Twins International punta a raccogliere fondi a supporto di tre progetti nel cuore di Nairobi in Kenya. Alice for School, Alice Home, Alice Village sono tre realtà consolidate situate rispettivamente nelle baraccopoli di Korogocho, Kariobangi e nel distretto di Utawalla che hanno bisogno del nostro aiuto per far fronte all’emergenza alimentare e garantire così almeno un pasto al giorno ai bambini orfani delle baraccopoli di Nairobi. L’alimentazione, una dieta sana ed equilibrita, è requisito fondamentale per la salute e la crescita dei bambini. Ecco perché fino al prossimo 15 marzo dobbiamo tutti insieme impegnarci, coinvolgendo quante più persone possibili, donando 1 euro con un sms al numero 45596, oppure 2/5 euro chiamando da telefono fisso e diventando fan della pagina facebook del progetto.

Un semplice gesto per sostenere delle iniziative che regalano un sorriso a centinaia di bambini.

Grazie ragazze, continuate così, un abbraccio a voi e i tutti i bimbi, facciamo il possibile affinché i loro occhi non perdano mai la luce della speranza.

PeerIndex, Klout e autorevolezza online…

PeerIndex è uno strumento con il quale misurare il proprio livello di autorevolezza online. Il sistema parte da un assunto molto semplice: non ci può essere autorevolezza senza un pubblico recettivo. E questo lo è nel momento in cui non si limita solo ad ascoltare ma partecipa attivamente alla discussione. Il punteggio di PeerIndex – che va da 1 a 100 – è quindi una sorta di metrica per misurare l’attenzione delle persone che ci seguono.

I parametri alla base del numero assegnato al nostro profilo sono tre: authority, audience, activity:

Authority is the measure of trust; calculating how much others rely on your recommendations and opinion in general and on particular topics […]

Your Audience Score is a normalised indication of your reach taking into account the relative size of your audience to the size of the audiences of others […]

Your Activity Score is the measure of how much you do that is related to the topic communities you are part of […]

Il numero assegnato al mio profilo Twitter è 36 esattamente lo stesso di Klout, altro strumento utilizzato per tentare di valutare il proprio livello di autorevolezza online. Quest’ultimo permette di valutare non solo il canale Twitter ma anche il proprio profilo Facebook, Google+, LinkedIn e Foursquare (si possono connettere anche altri profili social ma che al momento non influenzano il punteggio finale).

Klout ha realizzato una matrice – chiamata appunto Klout’s Influence Matrix – associando dei parametri (sharing, creating, broad, focused, consistent, casual, listening, partecipating) tramite i quali identificare 16 diversi profili di utenti (il mio profilo viene posizionato nel mezzo, leggermente in basso a destra rispetto al centro, come socializer).

Di tale lista – decisamente complessa – ne è stata proposta una versione semplificata che con soli cinque profili riesce a mio avviso nell’intento di proporre un valido modello.

Gli utenti si potrebbero infatti dividere in:

  • The networker (social butterfly): colui che possiede la più grande lista di contatti, conosce tutti e tutti lo conoscono;
  • The opinion leader (thought leader): il più ricercato dai brand, è noto per la sua autorevolezza e credibilità;
  • The discoverer (trendsetter): è il primo ad utilizzare un nuovo strumento, costantemente alla ricerca di nuovi trend da anticipare;
  • The sharer (reporter): distribuisce le notizie amplificando i messaggi più rilevanti;
  • The user (everyday customer): rappresenta il consumatore standard, non possiede un network molto ampio.

Personalmente mi sento vicino al profilo reporter (visto anche il mio alto numero di re-tweet) ma, diciamo così, con ambizioni a quello di trendsetter, almeno per quanto riguardo il mondo dei social media.

Forse però prima di tutte queste considerazioni, bisognerebbe mettersi d’accordo sulla definizione stessa di “influenza/autorevolezza” che certo non va confusa con, ad esempio, la popolarità di un personaggio. Un spunto di riflessione molto interessante è l’articolo When Bieber tops the list, is influence dead? nel quale vengono paragonati Bieber, Obama e Amstrong, personaggi molto diversi e con differenti livelli di popolarità e di influenza.

La vera sfida non risiede nel leggere i feedback dei strumenti quali Klout e PeerIndex ma nel saper leggere, nel saper interpretare correttamente il valore che ci consegnano.

[update: ho trovato altri due strumenti per misurare l’autorevolezza online tramite il proprio profilo Twitter: TweetLevel e Twitter Reach]

Timeline dentro e fuori Facebook

La Timeline è considerata da molti tra gli addetti ai lavori una delle più salienti novità sinora realizzate (e pubblicamente diffuse) dal colosso Facebook. Il nostro nuovo diario ha rivoluzionato il profilo di milioni di utenti generando commenti entusiastici e feroci critiche. Ma da dove nasce l’idea della timeline? Uno dei primi esperimenti commercialmente diffusi risale al 2004 quando Nokia lanciò il progetto Lifeblog, una sorta di diario multimediale (con relativo strumento di gestione dei contenuti per PC) in grado di raccogliere foto, video, suoni, sms e mms creati attraverso il cellulare organizzandoli in base a informazioni quali ora, luogo, tag, descrizione e rendendo i vari contenuti ricercabili. Grazie all’applicazione per computer l’utente poteva inviare a servizi quali LifeLogger, TypePad, LiveJournal e Flickr i propri contenuti.

Il passo successivo, alcuni anni dopo, viene sintetizzato in maniera impeccabile da Paul Buccheit, uno dei fondatori di FriendFeed il servizio poi acquisito da Facebook nel 2009: “FriendFeed is trying to go beyond simply aggregating to actually creating a pleasant social experience around the content.” Credo sia proprio questa la chiave di lettura della timeline: superare il concetto del semplice “hub di status” per proporre i contenuti degli utenti in una veste più social e più facilmente consultabile. Ecco allora la copertina per personalizzare al meglio il nostro spazio, la possibilità di mettere in evidenza i post più popolari, le foto di avvenimenti importanti, le applicazioni più utilizzate.

Ma forse non tutti sanno che il concetto di timeline è stato sviluppato non solo da Facebook e dalla Nokia. Due delle più note alternative all’ultima novità del social network firmato Zuckerberg sono Memolane e Timekiwi.

La prima è una start-up che punta ad essere a superare Facebook in virtù della possibilità di organizzare in una semplice ed elegante timeline non solo post ma molteplici servizi che vanno da Twitter a SoundCloud, da Tripit a Picasa. Il bordo orizzontale in basso della pagina diventa una sorta di righello temporale che si può scorrere visualizzando i vari contenuti organizzati – sviluppo verticale a cascata – per giorno per giorno.

La seconda è invece balzata ultimamente agli onori della cronaca per essere stata acquisita da Overblog (la piattaforma europea più diffusa per aprire blog gratuitamente) e offre la possibilità di creare con semplicità ed immediatezza (non serve registrarsi, basta accedere con il proprio profilo Twitter o Facebook) una timeline intuitiva capace di raccogliere in un unico spazio i più noti social network. Lo sviluppo dello strumento in ottica blog mi pare di notevole interesse, non ci resta che attendere per scoprire quali ulteriori novità proporrà lo sviluppo nell’organizzazione dei nostri contenuti multimediali online secondo l’asse temporale.

Pinspire, la risposta italiana a Pinterest

Non molto tempo fa avevo presentato in un post le mie prime osservazioni su Pinterest. Il fenomeno da allora – e nel giro di pochissimo tempo – è esploso: le ultime notizie parlano di un incremento di traffico del 429% nell’ultimi tre mesi, tanto che per il settore retail al momento la bacheca social sembra uno strumento più adatatto del colosso Google+.

Il successo si misura anche nella misura in cui l’idea iniziale genera varianti locali. Ed ecco che quasi per caso mi sono imbattuto in Pinspire, un social network del tutto analogo a Pinterest, attualmente in versione beta e la cui iscrizione non necessita di invito: una volta registrati al servizio si possono segnalare nel proprio profilo/bacheca – attraverso delle puntine virtuali, le pin citate nel nome – le immagini che più ci piacciono, organizzandole per categorie. Si possono seguire profili,  essere informati sulla propria attività (i propri album, i pin, i mi piace e le mentions) e interagire nelle varie immagini cliccando mi piace sul cuoricino in alto a destra, commentando o effettuando il repin, una sorta di risegnalazione nel proprio album (la bacheca è formata da tanti album quante solo le categorie con le quali abbiamo deciso di organizzare le nostre immagini preferite).  E’ possibile condivedere le proprie segnalazione e, grazie all’utilizzo della @ nei commenti, anche consigliare l’immagine ad altri membri di Pinspire. L’aspetto probabilmente più interessante anche in questo caso è legato all’associazione tra prodotti – ad esempio di un canale e-commerce – e il bottone Pin It che presenta caratteristiche e funzioni del tutto simili ai pulsanti di Facebook e Twitter e che quindi può contribuire a diffondere e promuovere gli oggetti “vittime” delle pin (e quindi dell’attenzione degli utenti).

La parte Premi non mi è ancora del tutto chiara: la differenza sta nel fatto che gli oggetti “pinnati” hanno il prezzo ma non capisco l’associazione con la parola “premi” (e in ogni caso, rispetto a Pinterest, manca al momento una ricerca dei prodotti in base all’eventuale prezzo segnalato). La cosa particolare è che, nelle note legali, la società di riferimento per Pinspire è una certa Pinpire S.r.l. con sede a Milano. Scegliendo la bandierina italiana compaiono solo utenti “nostrani” – in maggior numero rispetto ai miei inizi su Pinterest – con i quali forse, almeno inizialmente, potrebbe essere più semplice interagire (nella homepage, giusto per farsi un’idea del social network, anche senza essere regisrati al servizio è possibile vedere i contenuti della sezione I più interessanti).

Armati di puntine non ci resta che corredare i nostri album con le immagini che preferiamo: fotogrammi di film, vestiti, dolci o paesaggi, coloriamo il nostro mondo e condividiamone i dettagli che più ci appassionano. Buon divertimento!

Mobile Marketing, il futuro nelle nostre mani

Quando sono all’estero e decido di non navigare in roaming mi rendo effettivamente conto di quanto ormai la mia vita sia scandita dall’utilizzo dello smartphone che porto sempre con me. Consultare Twitter, utilizzare Google Maps, caricare foto con instagr.am sono solo tre esempi di azioni diventate ormai – almeno per il sottoscritto – routine.
Ecco perchè quando mi è stato offerta la possibilità di leggere a pochi giorni dalla sua uscita Mobile Marketing: la pubblicità in tasca – libro edito da Fausto Lupetti, autori: Paolo Mardegan, Massimo Pettiti, Giuseppe Riva, prefazione Layla Pavone) sono stato ben contento di approfondire una tematica i cui sviluppi mi interessano molto e che, da utente, tocco letteralmente tutti i giorni con mano.
In effetti in un momento – quello attuale, i cui contorni sono stati ben delineati, ad esempio, nell’evento Google Think Mobile – nel quale il mobile (smartphone + tablet) ha superato i PC (desktop + notebook) e che fa registrare solo in Italia 20 milioni di smartphone (dovremmo orami essere prossimi al sorpasso degli smartphone sui cellulari), non parlare di opportunità legate al mondo della telefonia mobile sempre connessa sembrerebbe ingenuo.
L’emergere di una nuova tecnologia modifica gli assetti “mediali” del mondo dal quale emerge. Diventa allora fondamentale riflettere sui segnali che il mercato sta lanciando per tentare se possibile di comprendere come questa ennesima evoluzione degli strumenti a disposizione possa creare valore sia per gli utenti che per le aziende.
Il testo, con un’analisi teorica molto approfondita (soprattutto in relazione alla “giovinezza” del mezzo smartphone), analizza i nuovi paradigmi del marketing (in the moment) presentando l’orizzonte del nuovo scenario attraverso lo studio del mobile advertising, della geolocalizzazione, del mondo applicazioni e del mobile payment, offrendo al lettore dati di mercato, valutazioni e, nella parte finale, anche casi concreti e testimonianze di alcuni tra coloro che per lavoro quotidianamente si confrontano con un fenomeno in continua dilagante evoluzione.
Visto che ci sono ne approfitto per complimentarmi con gli autori del libro e per ringraziarli pubblicamente per la “citazione” – nella parte relativa al marketing conversazione e al buzz marketing – al libro del quale sono co-autore.

L’arte del passaparola, teoria e pratica del word-of-mouth

L’arte del passaparola di Andy Sernovitz è una sorta di manuale che racconta, in maniera semplice e con una miriade di esempi concreti cosa sia il marketing del passaparola, gli strumenti, gli ingredienti e le tecniche per stimolare le conversazioni online e offine attorno a un brand.
Di cosa si tratta? In estrema sintesi – e senza la necessità di anticipare troppi temi trattati nel testo – il marketing del passaparola riguarda le interazioni tra persone, tra consumatore-a-consumatore attorno a prodotti, servizi, iniziative. Conversazioni che spesso scaturiscono in maniera spontanea dall’emozione che deriva, ad esempio, dall’utilizzo di un prodotto piuttosto che dalle sue caratteristiche.
Grazie anche alla Rete – e in particolare ai social media – comunicare le proprie impressioni, i proprio giudizi ad altri utenti è diventato semplice quanto immediato: “siamo diventati una comunità di critici in poltrona” come certifica l’autore del libro.
Gli utenti, con le loro voci, soprattutto se autorevoli in un determinato ambito (che non significa necessariamente vip) possono con le loro opinioni avere un notevole impatto sugli altri consumatori (l’autore si lancia anche nell’affermazione forse un troppo di parte: “più di qualsiasi pubblicità”).
Se da un lato quindi resta fondamentale realizzare buoni prodotti, dall’altro è oggi indispensabile capire cosa spinga le persone a parlare di un determinato argomento e imparare a interagire, a prendere parte a una conversione in corso. Come? Beh, dipende da caso a caso. Il consiglio che viene dal libro è quello di analizzare quanto si discute per poi creare un modo per dare alla conversazione un carattere di eccezionalità, esclusività e divertimento dimenticando l’imperativo categorico “vendere”. E tutti – ma davvero tutti – con pochi semplici passaggi possono iniziare un percorso che permetta loro di creare del passaparola attorno alla propria attività, dall’aggiungere il semplice bottone “tell a friend” nel sito o nelle newsletter a iniziative ben più articolate e complesse.
Andy Sernovits è CEO di GasPedal, un’agenzia specializzata nel word-of-mouth e ha creato Word of Mouth Marketing Association, l’associazione internazionale che raduna tutti gli operatori del settore e che si occupa di trovare metriche e prassi condivise alle quali attenersi: un vero guru del wom la cui passione si percepisce leggendo il testo che però, a dirla tutta, risulta un po’ datato (pochissimi riferimenti alle evoluzioni più recenti dei social media, titolo arrivato probabilmente troppo tardi in versione italiana anche se ha una sua appendice online). Gli esempi, seppur numerosissimi, sono tutti made in US e quindi forse un po’ troppo distanti dalla nostra realtà. Il libro è assolutamente consigliato per chi voglia avere un’infarinatura dell’argomento ma per chi invece mastica già le tematiche legate al passaparola forse risulterà un po’ troppo generico e ripetitivo. A tratti infatti il testo sembra la raccolta degli speech dell’autore senza però un’analisi “scientifica” e realmente strategica con dati, numeri, grafici e considerazioni dettagliate. Sicuramente una scelta voluta per evitare di appesantire la lettura ma che almeno per quanto mi riguarda avrebbe reso ancora più accattivante il testo.
Per concludere un piccolo aneddoto: ho saputo dell’uscita del libro attraverso il profilo twitter dell’autore. Incuriosito ho subito scritto a lui e alla sua casa editrice (la Corbaccio che lo ha inserito, non so per quale motivo, nella collana de I libri del benessere) per sapere se fosse possibile avere una copia da leggere e recensire per generare un po’ del più volte citato passaparola attorno al nuovo volume. Niente, nessuna risposta. Disappunto, speravo che almeno stavolta non fossero solo parole su carta.

Pay a Blogger Day, il giorno dopo…

Lo scorso 29 novembre è stato il Pay a Blogger Day una bella iniziativa che ha saputo attirare le attenzioni di molti utenti. If you enjoy reading blogs, give a little back – at least one day a year pay a blogger: questa l’idea alla base della campagna che, in estrema sintesi, si proponeva di sensibilizzare i lettori di blog a esprimere il loro apprezzamento verso i contenuti di uno spazio con un’azione concreta capace di superare i semplici commenti, i like e il generico sharing nei vari social network. Quale? Una donazione. O meglio una microdonazione. Ideatori della campagna sono i ragazzi del team di Flattr, realtà di Malmo specializzata nel cosiddetto social micro-payment system che ha elaborato una modalità tramite la quale supportare chi crea contenuti di valore (il termine flatter in inglese significa adulare ma anche donare). Lo strumento è utile sia per gli editori (siano essi blogger, musicisti, programmatori, fotografi, eccetera) che possono aggiungere un bottone tramite il quale raccogliere delle donazioni sia ai lettori che avranno così modo di premiare i loro autori preferiti. Ovviamente la stessa persona può vestire i panni sia del creatore sia quelli del fruitore di contenuti.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=9zrMlEEWBgY&w=440&h=360]

Il funzionamento è davvero elementare: registarsi al sito equivale ad aprire una sorta di conto virtuale nel quale depositare del denaro. Alla fine di ogni mese poi, la quota che l’utente avrà indicato come totale delle sue donazioni, verrà equamente distribuita in base alle volte in cui ha cliccato sul pulsante Flattr dimostrando l’intenzione di riconoscere all’autore del contenuto un piccolo corrispettivo in denaro (l’esempio della torta del video ufficiale qui sopra rende benissimo l’idea).
Da blogger non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione e così mi sono subito registrato al sito e ho fatto in modo di aggiungere, sotto ogni mio post (quindi anche questo), vicino ai tasti di condivisione, anche il bottone Flattr dando così modo ai miei “venticinque lettori”, nel caso volessero premiarmi, l’opportunità di riconoscermi una piccola donazione. Non mi illudo di certo sulle cifre ma sono molto interessato allo sviluppo dello strumento che non propone una sorta di “vendita con libera donazione” come successo, ad esempio, con i Radiohead per l’uscita di In Rainbows ma invece rovescia la prospettiva permettendo al fruitore di esprimere con una microdonazione il proprio apprezzamento verso il materiale proposto comunque free senza alcuna richiesta.
Qualcuno ci tiene a precisare come un blog si aggiorni con contributi audio-foto-video per passione non (solo) per lucro. Ma fare in modo che chi legge possa dimostrare concretamente il gradimento verso l’operato di chi ha realizzato il contenuto, senza alcun obbligo e in maniera decisamente democratica, mi sembra una bella opportunità. Support web great content!

[update: dopo un solo giorno dall’installazione del pulsante flattr ho ricevuto la mia prima donazione, che bello!]

E’ arrivato un Natale carico di… specie da adottare

Di solito in questo periodo dell’anno sono solito pubblicare appelli alle donazioni verso realtà che si occupano di aiutare i più deboli e sfortunati.

Quest’anno però lo spunto per la segnalazione mi è arrivato da una dichiarazione letta alcuni giorni fa da parte dell’attuale CEO di The Coca-Cola Company che spiegava come dal mese di novembre, almeno in America, l’ormai storica lattina rossa si sarebbe colorata di bianco per la nuova campagna, realizzata in collaborazione con il WWF (3 milioni di dollari la donazione dell’azienda di bibite gassate) per la ricerca e la conservazione dell’orso polare, icona utilizzata da Coca-Cola sin dal 1922.

Indagando un po’ più a fondo ho scoperto inoltre che, in collaborazione con 7-Eleven, Coca-Cola ha distribuito nei fastfood dei bicchieri bianchi con un QR Code che richiama un’applicazione – Snowball Effect, purtroppo non scaricabile da noi – con la quale sfidare gli amici a suon di palle di neve e donare ulteriori fondi al WWF.

E in Italia, cosa possiamo fare? Anche nel nostro Paese il WWF è attivo con una campagna che sensibilizza su temi quali la distruzione degli habitat naturali, i cambiamenti climatici e il bracconaggio che rischiano di far scomparire per sempre dal nostro pianete animali quali tigri, orsi, elefanti, panda, oranghi e molti altri animali (una delle ultime dichiarazioni della IUCN, l’Unione Internazionale per la salvaguardia della natura, da questo punto di vista è allarmante: un quarto dei mammiferi è a rischio estinzione).

adozioni

Dare il proprio contributo è molte semplice: basta andare nella sezione Adozioni del sito del WWF Italia scegliere una delle dodici specie simbolo (ci sono anche tre specie italiane) e devolvere quanto ci sembra opportuno per fare in modo che la ONG-Onlus possa essere sempre più agguerrita nel contrastare il commerciali illegale e nell’aumentare il numero delle riserve naturali.

Le tipologie di donazioni sono tre: la donazione semplice (a partire da 30 euro), l’azione con peluche (peluche WWF realizzati senza PVC, a partire da 50 euro) e l’adozione Trio dedicata alla salvaguardia di quattro grandi habitat condivisi da più specie a rischio. Il trittico italiano propone orso bruno, lupo e delfino: con una donazione a partire da 125 euro, si riceveranno tre peluche e tre kit con planisfero e certificati personalizzabili.

Per chi volesse essere a impatto zero anche nella proprio donazione, inoltre, è possibile scegliere l’adozione digitale I WWF you che consentirà di ricevere uno sfondo per il desktop e  uno screensaver.

Tutto può essere anche una originale idea regalo: potremmo infatti realizzare una ecard che verrà consegnata il giorno da noi scelto al destinatario del nostro dono.

Forse è un po’ prematuro scambiarsi gli auguri di Natale. Ma non siamo certo in anticipo per augurare ai nostri “amici animali” un futuro migliore. Anche grazie al nostro aiuto, noi che troppo spesso siamo stati per loro – e continuiamo ad esserlo – una minaccia.

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