Video e live streaming: la frontiera è oltre la TV

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Quando nelle scorse settimane ho approfondito la questione dell’arrivo in Italia del paywall (pare proprio ufficiale: dal 27 gennaio su corriere.it), leggendo il piano presentato dai vertici di RCS MediaGroup ho appreso anche la notizia della chiusura di Gazzetta TV. Non sono mai stato uno spettatore del canale 59 del digitale terrestre, ma in quanto accaduto alla redazione guidata da Claudio Arrigoni ho ritrovato un’analogia con le ultime decisioni in merito a HuffPost Live, progetto di notizie in live streaming attorno al quale recentemente si è discusso in termini di ridimensionamento e ripensamento del progetto. Si tratta di due realtà molto diverse, sia dal punto di vista “anagrafico” – Gazzetta TV è nata nel febbraio 2015, HuffPost Live è stato lanciato nel 2012 – sia in merito a audience (mentre HuffPost Live ha contribuito non poco alla crescita dello spazio informativo di Arianna Huffington, Gazzetta TV è rimasta lontana dai 0,7% punti di share che erano stati indicati come traguardo per il 2015) ma i due progetti sembrano avere alcuni aspetti in comune.

In un periodo nel quale è il video il formato più in crescita, sembra quasi un controsenso che canali con approfondimenti in diretta raccolgano invece così pochi favori. Viene da chiedersi, insomma, come mai Facebook (con Live Mentions) e Twitter (con Periscope) abbiamo deciso di investire anche sul live streaming quando invece per le redazioni, le dirette sembrano risultare troppo esose rispetto ai ritorni generati.

La risposta credo si possa trovare nel memo scritto dalla direzione di Huffington Post per annunciare al team l’unione delle varie unità dedite alla realizzazione di contenuti video (HuffPost Live, HuffPost News, HuffPost Originals e HuffPost Rise) in un unico team. Il testo, dopo aver sottolineato l’importanza di HuffPost Live nel consolidamento della social experience della testata (32.000 ospiti di oltre 100 Paesi, 3 miliardi di visualizzazioni totali), pone l’accento – senza troppi giri di parole – sui cambiamenti intercorsi negli ultimi anni riguardo alle modalità di consumare e diffondere i video che hanno portato alla decisione di sostituire alle quotidiane 8 ore live, la realizzazione di video “singoli” più facilmente oggetto di condivisione da parte degli utenti. Ciò non certifica la fine delle dirette, che continueranno a seguire i principali avvenimenti politici e culturali, ma di certo evidenzia come il mondo dei video sia tanto in rapida ascesa quanto in veloce evoluzione.

Uno degli ultimi esempi di successo firmato HuffPost è il video 48 Things Women Hear in A Lifetime (That Men Just Don’t), un contributo di un minuto e mezzo, diffuso su Facebook, capace di raccogliere oltre 28 milioni di visualizzazioni e oltre 10 mila commenti. Questo dimostra come sia importante considerare anche le specificità della piattaforma per fare in modo che il contenuto possa ambire a diventare “virale”. Ecco perché la nota su HuffPost Live cita espressamente la necessità di creare video tailor-made per i vari strumenti: la comunicazione su Snapchat e YouTube, piuttosto che su Facebook e Twitter, è differente e, per rispondere a un diverso pubblico, non può risultare indifferenziata.

A ben vedere, i fattori critici non riguardano esclusivamente aspetti quali la “durata” o la ”compatibilità” rispetto a una determinata piattaforma. La questione probabilmente è più profonda ed è legata al linguaggio e, in generale, al format dei video delle dirette. Uno studio, ospiti più o meno noti a commentare quanto accade… forse è proprio il proporre online la grammatica dalla TV il principale ostacolo al successo di video che risultano interessanti ma non a tal punto da innescare meccanismi di passaparola e diffusione rapida e a macchia d’olio dei contributi.

La sfida, in altre parole, è quella di pensare al formato video online (anche) oltre e lontano dalla TV che conosciamo.

Il ruolo di web e tv nella campagna elettorale 2014

Mentre gli echi della tornata elettorale della scorsa domenica paiono ancora lontani dall’esaurirsi, una volta diffusi i dati del voto, forse per deformazione professionale, mi é venuto spontaneo riflettere sul ruolo della Rete nella (brutta) campagna elettorale appena conclusasi.
Rispetto alle elezioni politiche del 2013 (l’appuntamento con i seggi più vicino in termini temporali), mi è parso che il ruolo del web sia rimasto “stabile” se non addirittura in discesa.
Con questo non voglio intendere che la Rete abbia avuto un ruolo marginale nel dibattito politico, ma parlando in termini di media, ad averla fatta da padrona mi è sembrata essere (nuovamente) la televisione.
E questo non solo perché anche il Movimento 5 Stelle, precedentemente molto lontano dalle dinamiche televisive, non è riuscito ad esimersi dai confronti tv, quanto perché al di là dei post di Grillo, dei tweet di Renzi e degli status su Facebook di Matteo Salvini (giusto per citare 3 protagonisti della scena politica italiana), il consenso mi sembra essersi costruito soprattutto sul vecchio “tubo catodico”.
In altre parole, benché cresca – tra politici e non – l’uso del web e la dieta informativa di ognuno di noi sia ormai formata da una molteplicità di stimoli provenienti da strumenti e fonti differenti, la tv continua ad essere nel nostro Paese il medium per eccellenza.

Nell’analisi del rapporto web-tv mi è stato di supporto un interessante libro di Lella Mazzoli dal titolo Cross-news. L’informazione dai talk show ai social media. Un testo che, sulla base delle interviste ad alcuni dei più autorevoli professionisti della tv, tenta di tracciare i cambiamenti in atto nel mondo televisivo sulla scia delle nuove modalità di fruizione delle informazioni che il web consente. La scelta dello studio, nello specifico, dei talk show non è stata per nulla casuale: sono proprio questi programmi quelli che (probabilmente assieme ai talent) più tentano di far proprie le dinamiche della comunicazione interattiva online rimettendosi in gioco, almeno parzialmente, per superare il dogma dello spettatore passivo che per anni ha caratterizzato l’informazione televisiva.

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Non si tratta di un vero e proprio cambiamento di paradigma, quanto piuttosto di un’ibridazione di tecnologie che rende il panorama più frastagliato. Basti pensare, per esempio, al fenomeno del cosiddetto second screen per il quale gli spettatori non concentrano più le proprie attenzioni verso un solo schermo ma, pressoché in tempo reale, commentano ciò che vedono/sentono attraverso i social network. Un nuovo pubblico che se forse non rappresenta ancora la maggioranza di chi guarda la tv, sta sicuramente contribuendo a riscrivere le regole che sottendono ai palinsesti televisivi.

In questo senso, i talk show, una delle principali forme di approfondimento e formazione dell’opinione pubblica, non poteva certo esimersi dal testare nuove forme di creazione dei contenuti, di conduzione dei dibattiti, di partecipazione del pubblico.

In realtà, senza poi svelare troppo circa le conclusioni alle quali arriva il libro, sebbene il processo di rinnovamento sia inevitabilmente partito, la Rete (e quindi gli utenti online) non è ancora riuscita ad entrare nel vivo dei programmi. L’interazione, ad esempio, per molte trasmissioni non è tanto tra la redazione e gli utenti, quanto tra spettatori e spettatori il cui confronto anima il dibattito solo online.

Da questo punto di vista, mi pare emblematico il caso del profilo @RaiBallaro che pur potendo contare su oltre 134.000 follower e oltre 5.200 tweet, non “segue” nessuno e non interagisce con gli altri utenti.
Nulla di sbagliato, per carità, legittima scelta. Solo, mi pare, un utilizzo riduttivo – una sorta di mera cassa di risonanza – di uno strumento che ha profondamente cambiato il panorama informativo.

Social King 2.0, il web sposa la tv

Con la partenza del Grande Fratello, di Amici e di XFactor si è ufficialmente aperta la stagione dei reality e dei talent show. Il programma musica, nella versione statunitense, permette un interazione diretta dello spettatore tramite twitter: seguendo il profilo @thexfatctorusa mandando un Direct Message, si potrà votare il proprio artista preferito comodamente seduti sul divano o con un semplice click su computer o tramite smartphone.

E in Italia? Un interessante esperimento tra web e tv è quello portato avanti da Social King 2.0, “l’unico programma dedicato ai Social Network e ai suoi protagonisti” in onda su Rai2 (domenica ore 9.20) e RaiGulp (domenica ore 18.25). Scaricando l’applicazione checKinG – nata da una collaborazione tra Rai e Telecom Italia – si può fare il “mobile check-in” in occasione dei vari momenti del programma esprimendo i propri giudizi su video, esibizioni, concorrenti (check-in che ovviamente poi si possono condividere nei social network). Il programma, nel corso della trasmissione, inoltre, mostrerà il codice QR che consentirà di gustarsi online contenuti esclusivi.

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Alla base del programma vi è la sfida, a colpi di web-voti, tra i “wip” (web important person) del programma e gli sfidanti che si possono candidare proprio dalla Rete: attraverso esibizioni di canto, ballo, recitazione, comicità, i concorrenti dovranno riuscire ad attirare l’attenzione del pubblico da casa che potrà scegliere chi far rimanere nella trasmissione e chi estromettere.

Conduttore del programma Ruggero Pasquarelli volto della versione italiana di XFactor prima e di Disney Channel poi.

Il programma, che strizza l’occhio a un pubblico giovane e sempre connesso, è un interessante esperimento di crossmedialità e di sviluppo di un prodotto editoriale, Social King appunto, che prevede come parte integrante il dialogo – tra web e tv – continuo con il pubblico che diventa co-partecipe, in studio dal web e dal web in studio, dello show.

Complimenti a tutti coloro che collaborano al programma e in bocca al lupo per il proseguo delle puntate (la pagina facebook della trasmissione conta già oltre 39.000 fan!).

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