PeerIndex, Klout e autorevolezza online…

PeerIndex è uno strumento con il quale misurare il proprio livello di autorevolezza online. Il sistema parte da un assunto molto semplice: non ci può essere autorevolezza senza un pubblico recettivo. E questo lo è nel momento in cui non si limita solo ad ascoltare ma partecipa attivamente alla discussione. Il punteggio di PeerIndex – che va da 1 a 100 – è quindi una sorta di metrica per misurare l’attenzione delle persone che ci seguono.

I parametri alla base del numero assegnato al nostro profilo sono tre: authority, audience, activity:

Authority is the measure of trust; calculating how much others rely on your recommendations and opinion in general and on particular topics […]

Your Audience Score is a normalised indication of your reach taking into account the relative size of your audience to the size of the audiences of others […]

Your Activity Score is the measure of how much you do that is related to the topic communities you are part of […]

Il numero assegnato al mio profilo Twitter è 36 esattamente lo stesso di Klout, altro strumento utilizzato per tentare di valutare il proprio livello di autorevolezza online. Quest’ultimo permette di valutare non solo il canale Twitter ma anche il proprio profilo Facebook, Google+, LinkedIn e Foursquare (si possono connettere anche altri profili social ma che al momento non influenzano il punteggio finale).

Klout ha realizzato una matrice – chiamata appunto Klout’s Influence Matrix – associando dei parametri (sharing, creating, broad, focused, consistent, casual, listening, partecipating) tramite i quali identificare 16 diversi profili di utenti (il mio profilo viene posizionato nel mezzo, leggermente in basso a destra rispetto al centro, come socializer).

Di tale lista – decisamente complessa – ne è stata proposta una versione semplificata che con soli cinque profili riesce a mio avviso nell’intento di proporre un valido modello.

Gli utenti si potrebbero infatti dividere in:

  • The networker (social butterfly): colui che possiede la più grande lista di contatti, conosce tutti e tutti lo conoscono;
  • The opinion leader (thought leader): il più ricercato dai brand, è noto per la sua autorevolezza e credibilità;
  • The discoverer (trendsetter): è il primo ad utilizzare un nuovo strumento, costantemente alla ricerca di nuovi trend da anticipare;
  • The sharer (reporter): distribuisce le notizie amplificando i messaggi più rilevanti;
  • The user (everyday customer): rappresenta il consumatore standard, non possiede un network molto ampio.

Personalmente mi sento vicino al profilo reporter (visto anche il mio alto numero di re-tweet) ma, diciamo così, con ambizioni a quello di trendsetter, almeno per quanto riguardo il mondo dei social media.

Forse però prima di tutte queste considerazioni, bisognerebbe mettersi d’accordo sulla definizione stessa di “influenza/autorevolezza” che certo non va confusa con, ad esempio, la popolarità di un personaggio. Un spunto di riflessione molto interessante è l’articolo When Bieber tops the list, is influence dead? nel quale vengono paragonati Bieber, Obama e Amstrong, personaggi molto diversi e con differenti livelli di popolarità e di influenza.

La vera sfida non risiede nel leggere i feedback dei strumenti quali Klout e PeerIndex ma nel saper leggere, nel saper interpretare correttamente il valore che ci consegnano.

[update: ho trovato altri due strumenti per misurare l’autorevolezza online tramite il proprio profilo Twitter: TweetLevel e Twitter Reach]

Timeline dentro e fuori Facebook

La Timeline è considerata da molti tra gli addetti ai lavori una delle più salienti novità sinora realizzate (e pubblicamente diffuse) dal colosso Facebook. Il nostro nuovo diario ha rivoluzionato il profilo di milioni di utenti generando commenti entusiastici e feroci critiche. Ma da dove nasce l’idea della timeline? Uno dei primi esperimenti commercialmente diffusi risale al 2004 quando Nokia lanciò il progetto Lifeblog, una sorta di diario multimediale (con relativo strumento di gestione dei contenuti per PC) in grado di raccogliere foto, video, suoni, sms e mms creati attraverso il cellulare organizzandoli in base a informazioni quali ora, luogo, tag, descrizione e rendendo i vari contenuti ricercabili. Grazie all’applicazione per computer l’utente poteva inviare a servizi quali LifeLogger, TypePad, LiveJournal e Flickr i propri contenuti.

Il passo successivo, alcuni anni dopo, viene sintetizzato in maniera impeccabile da Paul Buccheit, uno dei fondatori di FriendFeed il servizio poi acquisito da Facebook nel 2009: “FriendFeed is trying to go beyond simply aggregating to actually creating a pleasant social experience around the content.” Credo sia proprio questa la chiave di lettura della timeline: superare il concetto del semplice “hub di status” per proporre i contenuti degli utenti in una veste più social e più facilmente consultabile. Ecco allora la copertina per personalizzare al meglio il nostro spazio, la possibilità di mettere in evidenza i post più popolari, le foto di avvenimenti importanti, le applicazioni più utilizzate.

Ma forse non tutti sanno che il concetto di timeline è stato sviluppato non solo da Facebook e dalla Nokia. Due delle più note alternative all’ultima novità del social network firmato Zuckerberg sono Memolane e Timekiwi.

La prima è una start-up che punta ad essere a superare Facebook in virtù della possibilità di organizzare in una semplice ed elegante timeline non solo post ma molteplici servizi che vanno da Twitter a SoundCloud, da Tripit a Picasa. Il bordo orizzontale in basso della pagina diventa una sorta di righello temporale che si può scorrere visualizzando i vari contenuti organizzati – sviluppo verticale a cascata – per giorno per giorno.

La seconda è invece balzata ultimamente agli onori della cronaca per essere stata acquisita da Overblog (la piattaforma europea più diffusa per aprire blog gratuitamente) e offre la possibilità di creare con semplicità ed immediatezza (non serve registrarsi, basta accedere con il proprio profilo Twitter o Facebook) una timeline intuitiva capace di raccogliere in un unico spazio i più noti social network. Lo sviluppo dello strumento in ottica blog mi pare di notevole interesse, non ci resta che attendere per scoprire quali ulteriori novità proporrà lo sviluppo nell’organizzazione dei nostri contenuti multimediali online secondo l’asse temporale.

Mobile Marketing, il futuro nelle nostre mani

Quando sono all’estero e decido di non navigare in roaming mi rendo effettivamente conto di quanto ormai la mia vita sia scandita dall’utilizzo dello smartphone che porto sempre con me. Consultare Twitter, utilizzare Google Maps, caricare foto con instagr.am sono solo tre esempi di azioni diventate ormai – almeno per il sottoscritto – routine.
Ecco perchè quando mi è stato offerta la possibilità di leggere a pochi giorni dalla sua uscita Mobile Marketing: la pubblicità in tasca – libro edito da Fausto Lupetti, autori: Paolo Mardegan, Massimo Pettiti, Giuseppe Riva, prefazione Layla Pavone) sono stato ben contento di approfondire una tematica i cui sviluppi mi interessano molto e che, da utente, tocco letteralmente tutti i giorni con mano.
In effetti in un momento – quello attuale, i cui contorni sono stati ben delineati, ad esempio, nell’evento Google Think Mobile – nel quale il mobile (smartphone + tablet) ha superato i PC (desktop + notebook) e che fa registrare solo in Italia 20 milioni di smartphone (dovremmo orami essere prossimi al sorpasso degli smartphone sui cellulari), non parlare di opportunità legate al mondo della telefonia mobile sempre connessa sembrerebbe ingenuo.
L’emergere di una nuova tecnologia modifica gli assetti “mediali” del mondo dal quale emerge. Diventa allora fondamentale riflettere sui segnali che il mercato sta lanciando per tentare se possibile di comprendere come questa ennesima evoluzione degli strumenti a disposizione possa creare valore sia per gli utenti che per le aziende.
Il testo, con un’analisi teorica molto approfondita (soprattutto in relazione alla “giovinezza” del mezzo smartphone), analizza i nuovi paradigmi del marketing (in the moment) presentando l’orizzonte del nuovo scenario attraverso lo studio del mobile advertising, della geolocalizzazione, del mondo applicazioni e del mobile payment, offrendo al lettore dati di mercato, valutazioni e, nella parte finale, anche casi concreti e testimonianze di alcuni tra coloro che per lavoro quotidianamente si confrontano con un fenomeno in continua dilagante evoluzione.
Visto che ci sono ne approfitto per complimentarmi con gli autori del libro e per ringraziarli pubblicamente per la “citazione” – nella parte relativa al marketing conversazione e al buzz marketing – al libro del quale sono co-autore.

Nella testa di Steve Jobs, il libro

Da tempo volevo leggere qualcosa circa la vita di Steve Jobs. Non l’ho fatto subito perchè in qualche modo la “corsa alla biografia” subito dopo la morte di un personaggio famoso non mi attira per nulla. Alla vigilia della vacanze di Natale però, sprovvisto di una libro da leggere, mi è capitato tra le mani Nella testa di Steve Jobs di Leander Kahney Leander Kahney – edito da  Sperling – e così ho deciso di approfondire la vita dell’uomo sotto la cui guida la Apple ha sfornato un successo dietro l’altro.
Il testo, riproposto in una nuova edizione apliata e aggiornata, racconta l’epopea lavoritiva di Jobs dalla nascita di Apple sino ai giorni nostri, passando per il periodo alla NeXT e quello alla Pixar.
Una serie di testimonianze, racconti, aneddoti, di una delle figure più osannate delle storia recente capace, con le sue scelte (alle volte animatamente discusse anche dei suoi seguaci più fedeli) di rivoluzionare il mondo della tecnologia e dell’entertainment in senso ampio.
Dal suo ritorno in azienda infatti la Apple è cresciuta anno dopo anno arrivando ad essere quasi sinonimo di innovazione.
Scorrendo tra le pagine si può rivivere la ristrutturazione dell’azienda e il nuovo corso impresso da Jobs al proprio team. E ci si può rendere conto di quanto Jobs proietasse, con le sue visioni, verso una pressoché costante rivoluzione la Apple. Think different non è solo uno slogan ma una vera e propria mission che Jobs ha deciso di cavolcare. In questo senso pensare a prodotti come iTunes, l’iPod, l’iPhone o l’iPad è riduttivo. Dietro le quinte Jobs ha suputo leggere meglio di chiunque altro i cambiamenti sapendo far tesoro delle nuove abitudini e delle nuove esigenze degli utenti.
Concetti come “hub digitale” e “connected entertainment” forse ora sono paradigmi scontati ma in realtà hanno rappresentato, in un mercato abbastanza statico come quello dell’IT, dei profondi punti di discontinuità ai quali poi tutti si sono adeguati.
Tra le pagine del libro emerge poi anche il coraggio di Jobs e del suo team: USB, wi-fi, la scelta di una integrazione verticale, la drastica riduzione dei modelli, l’attenzione verso l’unpacking e la cura del design, gli Apple Store, sono tutti esempi che dimostrano come l’azienda sia stata in grado di scuotere in profondità le fondamenta di un mondo che nel giro di pochi anni ha modificato direttamente o indirettamente il nostro approccio a strumenti quali pc e cellulari.
E allora non resta che sorridere di fronte agli “errori” di Jobs: il Power Mac Cube e la scelta di non dotare i primi Mac di masterizzatore (all’inizio Jobs si fece quasi sfuggere la rivoluzione legata agli mp3; poi però si “riprese” ampiamente grazie ad iTunes e iPod).
Un libro che sebbene non rappresenti una biografia autorizzata a mio modo di vedere ben presenta Jobs e alcuni dei suoi colleghi più stretti, aiutando il lettore a delineare la complessa personalità di un personaggio che con il suo credo ha fatto della propria vita un romanzo costellato di successi. Riposa in pace Steve. E grazie di tutto.

Social King 2.0, il web sposa la tv

Con la partenza del Grande Fratello, di Amici e di XFactor si è ufficialmente aperta la stagione dei reality e dei talent show. Il programma musica, nella versione statunitense, permette un interazione diretta dello spettatore tramite twitter: seguendo il profilo @thexfatctorusa mandando un Direct Message, si potrà votare il proprio artista preferito comodamente seduti sul divano o con un semplice click su computer o tramite smartphone.

E in Italia? Un interessante esperimento tra web e tv è quello portato avanti da Social King 2.0, “l’unico programma dedicato ai Social Network e ai suoi protagonisti” in onda su Rai2 (domenica ore 9.20) e RaiGulp (domenica ore 18.25). Scaricando l’applicazione checKinG – nata da una collaborazione tra Rai e Telecom Italia – si può fare il “mobile check-in” in occasione dei vari momenti del programma esprimendo i propri giudizi su video, esibizioni, concorrenti (check-in che ovviamente poi si possono condividere nei social network). Il programma, nel corso della trasmissione, inoltre, mostrerà il codice QR che consentirà di gustarsi online contenuti esclusivi.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=gQCHH9fuMB0&w=440&h=360]

Alla base del programma vi è la sfida, a colpi di web-voti, tra i “wip” (web important person) del programma e gli sfidanti che si possono candidare proprio dalla Rete: attraverso esibizioni di canto, ballo, recitazione, comicità, i concorrenti dovranno riuscire ad attirare l’attenzione del pubblico da casa che potrà scegliere chi far rimanere nella trasmissione e chi estromettere.

Conduttore del programma Ruggero Pasquarelli volto della versione italiana di XFactor prima e di Disney Channel poi.

Il programma, che strizza l’occhio a un pubblico giovane e sempre connesso, è un interessante esperimento di crossmedialità e di sviluppo di un prodotto editoriale, Social King appunto, che prevede come parte integrante il dialogo – tra web e tv – continuo con il pubblico che diventa co-partecipe, in studio dal web e dal web in studio, dello show.

Complimenti a tutti coloro che collaborano al programma e in bocca al lupo per il proseguo delle puntate (la pagina facebook della trasmissione conta già oltre 39.000 fan!).

Articolo sponsorizzato

Cloud e condivisione, due concetti per il futuro del web

Lo scorso 18 ottobre ho partecipato, a Casa Kinect presso le Officine Stendhal, alla presentazione di un’interessante ricerca attorno al mondo del cloud e della condivisione (Il futuro degli italiani su Internet è all’insegna di Cloud e Condivisione), temi diventati di ordinaria quotidianità per quel che concerne Internet. Anche se, come mette in risalto l’indagine condatta da Nextplora, non per tutti in maniera consapevole: la stragrande maggioranza degli utenti (81%) infatti utilizza i servizi a “nuvola” senza rendersene conto. Abituati a supporti fisici, materiali, non associamo ancora con immediatezza un servizio, ad esempio, come quello dello storage online, dell’archiviazione cloud. Ma, volenti o nolenti, come ha sottolineato Alessandra Costa – Direttore Ricerche e Partner Nextplora – siamo ormai passati dalla società dell’informazione a quella della condivisione: le idee di cloud e condivisione non sono solo dei comportamenti utilizzati al lavoro o nello studio, diventano aspetti della nostra identità sempre più “collettiva”, servizi sempre più utilizzati anche nel mondo “consumer” grazie a spazi illimitati, accessibilità da diversi luoghi/device e possibilità di partecipazione allargata.

La seconda parte dell’incontro si è invece focalizzata sulle novità di Windows Live Hotmail, il servizio di posta nato ben 15 anni fa. Hotmail – anche in virtù di MSN – è stata la mia prima casella di posta, ricordo che ancora non era disponibile la versione .it.
Da allora il web è cambiato moltissimo e anche la versione di Hotmail si è rinnovata parecchio puntando, con la nuova release, su velocità, riduzione dello spam, sicurezza, usabilità e spazio di archiviazione praticamente illimitato.
Con una prova pratica ci hanno presentato il muovo modo di organizzare le nostre mail, di creare regole che ci permettano di rendere più pulita la casella o di creare un alias nel momento in cui ci serva un indirizzo alternativo da comunicare in maniera pubblica.
Per finire è stata mostrata la possibilità di sincronizzazione tra la casella di posta e un Windows Phone che, con estrema semplicità, rende disponibili sullo smartphone e su pc, messaggi, calendari e contatti (mi ha incuriosito molto la navigazione orizzontale delle mail da smartphone). E chiaramente anche documenti che, in ottica di cloud, tramite SkyDrive, possono essere archiviati online e condivisi con un click. Il futuro, insomma, è già presente.

Pinterest, la bacheca virtuale ora è anche social

Grazie alla segnalazione di zilvi4 ho scoperto Pinterest, un nuovo social network from Palo Alto, California. Si tratta di un sistema di social bookmarking che nasce sulla scia di digg, reddit o del.icio.us con però alcune peculiarità. L’idea alla base è quella di dare l’opportunità agli utenti di creare della loro bacheche (assolutamente personalizzabili) sulle quali “attaccare” virtualmente delle pin, delle puntine in corrispondenza di contenuti che trovano interessanti e che decidono di condividere (si tratta principalmente di immagini e video).

Io, ad esempio, ho creato – su suggerimento del sistema automatico che segue la registrazione – una categoria chiamata Product I love nella quale ho inserito la pin relativa a un prodotto vintage che ho trovato navigando in Rete (basta entrare nel proprio profilo e cliccare su add o scaricare un plug-in per aggiungere il link direttamente dal browser). Due cose in particolare hanno attirato la mia attenzione: la prima è che di un profilo si possono seguire tutte le bacheche ma si può anche optare per una sola lavagna, seguendo quindi i soli aggiornamenti di una particolare sezione creata da un utente; la seconda è che, nella descrizione, aggiungendo il valore in dollari (esempio $7.00 USD), appare nell’immagine in alto a sinistra una banda con l’indicazione del prezzo. Tra le ricerche dei contenuti infatti c’è anche quella per prezzo (basta scegliere in alto Gifts) che quindi può diventare uno strumento da collegare – come nel mio caso – a etsy o a qualsiasi altro canale di e-commerce, potenzialità da non sottovalutare per i brand come per tutti coloro che cercano un modo semplice e veloce per dare visibilità ai propri prodotti (non sono ancora riuscito a capire se si possa e in caso come inserire i prezzi in euro… e come si riesca ad eliminare la scrittina relativa al prezzo senza dover cancellare la pin ma forse devo semplicemente spendere un po’ più di tempo su Pinterest).

Per il resto funzioni simili agli altri social network dal repin al like, dal commento all’embed. Particolare anche la disposizione orizzontale dei contenuti che permette organizzare le varie segnalazioni in un’unica schermata che raggruppa i contributi dei vari utenti, commenti e like immediatamente visualizzabili.

Scoppierà un nuovo caso di successo? Difficile dirlo ma nonostante la communiy italiana sia ancora ridotta, anche grazie all’applicazione per iPhone, il numero dei/delle pinterest addicted è in costante crescita.

[update: Upim è stata una delle prime realtà italiane ad inserire il pulsante Pin it nelle immagini dei propri prodotti]

A Milano torna la Social Media Week!

A partire dal prossimo lunedì, a Milano tornerà a pulsare il cuore del mondo digital&web italiano e internazionale. E’ infatti ormai imminente la partenza dell’e-festival che, in occasione della Social Media Week (evento che connette non solo virtualmente in contemporanea 11 metropoli del mondo), dal 19 al 23 settembre, proporrà una serie di appuntamenti l’obiettivo di diffondere e divulgare la cultura digitale. Occasione di confronto quanto mai importante in un Paese come il nostro che ha la necessità colmare il cosiddetto digital divide e di investire in tecnologia per tentare di uscire dalla attuale crisi.

Democratizing Technology è il concetto scelto per riassumere le iniziative legate al “Festival della Rete”: la tecnologia per tutti. Quattro i focus nei quali sono stati raggruppati gli oltre 130 tra convegni, seminiari e incontri: green, safe, smart, qualità (vedi il programma completo).

All’interno dell’ampia agenda dell’e-festival trova spazio anche la prima edizione dello StartUp Festival, un’opportunità unica per presentare la propria startup entrando in contatto con investitori e potenziali partner.

Centro informativo della manifestazione sono i Chiostri dell’Umanitaria in via San Barnaba che, oltre ad essere il centro di coordinamento degli eventi presso le altre location, sarà la sede di molte delle attività in programma.

E proprio di fianco al quartier generale, nei chiostri di San Barbaba (via San Barbana 48), il prossimo 21 settembre dalle 19, sarò sicuramente presente al Late summer social party, aperitivo con dj set. Ci vediamo là, giusto?

La storia di Facebook. Raccontata da Kirkpatrick.

Il libro Miliardari per caso (e poi il sucessivo film The Social Network) ha presentato al grande pubblico una determinata versione di Mark Zuckerberg.

Non ho la fortuna di conoscere personalmente Mark ma credo che i media non corso di questi anni abbiano probabilmente proposto la parte di Zuckerberg che più strizza l’occhio ai caratteri ticipi dei personaggi “da cinema”: astuto, spietato, smanioso di successo è stato dipinto un po’ come una simpatica canaglia, stravagante nei modi quanto determinato nel credere in un progetto che sta rivoluzionando l’idea stessa di web.

Ma ciò non mi bastava, volevo scavare più a fondo nella storia del fondatore di Facebook per capire cosa ci fosse alla base del progetto, quali fossero state le fasi salienti della sua ascesa e – se possibile – quali gli scenari futuri.

Pensavo la mia fosse un’esigenza esagerata ma fortunatamente, grazie a Luca Conti, ho avuto modo di conoscere (dal vivo, con tanto di autografo!) David Kirkpatrick che con il suo Facebook la storia – Mark Zuckerberg e la sfida di una generazione, ha raccontato la “vera” storia dietro il social network più famoso (qui un’anteprima del libro). Vera perchè basata su interviste, racconti, aneddoti verificati, tutti riportati con dovizia di particolari e sfumature che permettono davvero di capire come dietro Facebook non ci sia banalmente un’azienda e il suo amministratore delegato ma milioni di utenti uniti da una precisa visione del mondo.

Una lettura davvero appassionante che parte Harvard e arriva a Wall Street seguendo le tracce di un ragazzino che all’età di diciannove anni fonda una delle startup di maggior successo della storia. Le pagine scorrono e pian piano si delinea in maniera più nitida il progetto Facebbok e non si possono che apprezzare la caparbietà e la determinazione con le quali Mark ha rifiutato facili compromessi puntando inizialmente tutto sulla crescita a discapito del profitto.
Con un unico obiettivo: trasformare, semplificando, le interazioni sociali e in generale la comunicazione online.

Alcune parti mi hanno davvero lasciato a bocca aperta: gli inizi, poi Palo Alto, gli investitori, gli utenti che continuano a crescere, la privacy, l’advertising, la rivalità con Google, il rapporto con Microsoft, le prime critiche, i cambi di personale, tutta una serie di accadimenti che rendono lo stardinario successo di Facebook e del suo fondatore quasi astratti.

L’uomo, l’impresa, il successo recita il libro in copertina. Bello e avvincente complimenti davvero, lettura consigliatissima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spotify, un (nuovo) mondo di musica

E’ di pochi giorni fa la notizia dello sbarco di Spotify negli Stati Uniti grazie ad un accordo con le quattro grandi etichette Universal, Warner, EMI e Sony. L’informazione forse qui da noi non ha avuto molta rilevanza ma a mio modo di vedere è quanto mai degna di nota.

Cos’è Spotify? Il sito ufficiale lo annuncia come una libreria, all-the-music-all-the-time, di oltre 15 milioni di tracce utilizzabile da PC, Mac, da mobile senza bisogno di dowload o di spazio nell’HD (nella versione premium si può anche connettere all’impianto audio di casa attraverso la digital tv). Si tratta semplicemente di registarsi, creare un account e poi condividere liberamente – connettendo ad esempio Spotify con Facebook, qui si parla di un accordo da parecchi milioni di dollari, Sean Parker ex di Napster e Facebook non a caso è board member della società – la propria musica preferita.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=CvYX_P_c__8&w=440&h=390]

Con Spotify si possono creare playlist, creare top list, librerie, comprare musica, accedere al proprio account (e quindi alla propria musica) da qualsiasi computer connesso alla Rete, scoprire nuovi artisti. L’aspetto social è notevolmente spinto: con un click è possibile condividere con i propri amici le nostre tracce (il servizio consente anche l’import dei nostri contatti su facebook) scoprendo anche chi poi ha deciso di ascoltare la nostra playlist.

Spotify ha anche la possilibità, nella sezione “local music”, di caricare i brani della propria collezione di mp3 e, nella versione premium, di ascoltarli anche tramite smartphone (installata l’applicazione lo scambio dei local file tra cellulari via wifi è invece gratuito).

Semplificando, quindi, si tratta di un software – nato in Svezia e lanciato nel febbraio 2009 in Inghilterra – per l’ascolto di musica digitale in streaming peer-to-peer.

Cos’ha di nuovo? Per ascoltare non è necessario l’acquisto.

Il servizio si può usufruire secondo tre modalità: la free che permette di ascoltare delle tracce intervallate da interruzioni pubblicitarie (oggi ad invito) per un massimo di 10 ore mensili (e cinque ascolti per traccia), la unlimited che, previa abbonamento, permette di ascoltare musica illimitata su desktop, e premium anche consente di ascoltare la propria musica preferita anche su dispositivi mobili (5 e 10 dollari mensili i costi).

Il costo degli abbonamenti ad oggi è leggermente più alto rispetto ad iTunes ma la possibilità di accedere ad ogni traccia del vastissimo database di Spotify potrebbe attrarre molti utenti.

E in Italia? Ancora nulla (se non utilizzando espedienti, ai limiti del lecito, per “ingannare” il sistema), per il momento non ci resta che iscriverci a gruppi su facebook tipo We want SPOTIFY in Italy too.

Spotify potrà contribuire a salvare la musica dalla pirateria? I numeri sembrano incoraggianti, sono già 10 miliomi gli utenti registrati (anche se pare che l’aver ridotto da 20 a 10 le ore per mese le ore di libero ascolto abbia ridotto il numero di utilizzatori prima del grande sbarco in America) e molti solo coloro che hanno espresso elogi sul servizio (anche se ovviamente non convince tutti, ecco un articolo non proprio positivo circa il servizio by HBR).

Tra i primi, Billy Corgan ha così scritto su twitter (offrendo anche inviti a Spotify):

I support Spotify for the same reason I supported Napster back in the day! Visionary music models that encourge sharing and artist loyalty. As as artist I believe very deeply that when fans connect with the overall quality and intigrity in ALL our music we prosper, poseurs lose. Loyal fans means new opportunities, new ways of interacting, new partnership in technology and the arts. Freedom from music biz bs.”

L’impresa non è semplice. Ma… in music we trust!