Il fenomeno dei blog nacque nella metà degli anni Novanta e più precisamente quando, nel 1994, Justin Hall, allora studente dello Swarthmore College, iniziò a raccontare la propria vita e le proprie avventure nella Rete in una sorta di diario online. Justin’s Links from the Underground, questo il nome dello spazio Web, è comunemente accettato quale primo rudimentale prototipo di blog.
Per le versioni più simili a quelle attualmente in uso occorrerà tuttavia attendere sino al 1999 quando Evan Williams e Meg Hourihan lanciarono Blogger, società poi acquistata nel 2003 da Google.
I blog, nel corso degli anni, hanno fatto registrare un notevole successo, contribuendo non poco all’evoluzione della Rete e, di riflesso, del giornalismo e della professione giornalistica. L’esempio forse più eclatante in questo senso è l’Huffington Post ma, in generale, tutte le testate hanno attinto a piene mani dalla blogosfera, sia in termini di forma che di sostanza.
Alcune settimane fa però, uno tra i più autorevoli giornali ha in realtà fatto un passo indietro. Il New York Times ha infatti annunciato la decisione di diminuire (gradatamente) il numero di blog della testata, unendo quelli che affrontano tematiche più simili ed eliminando quelli non ritenuti più interessanti. Che cosa si cela dietro la decisione di uno degli spazi informativi più all’avanguardia di ridimensionare la propria componente blog? Immagino che la scelta derivi da una serie di considerazioni, non da un’unica causa scatenante, ma resta il fatto che mi ha davvero colpito leggere della decisione del NYT. Cercando maggiori informazioni, ho capito che alla base vi siano delle valutazioni sul traffico generato (per alcuni blog le visite erano poche se paragonate a quelle fatte registrare dagli spazi più seguiti), sulla frequenza di pubblicazione (non tutti i blog erano così frequentemente aggiornati) e sulla qualità dei post (diminuendo il numero dei blog ci si può concentrare su un numero complessivo minore di articoli qualitativamente migliori). Altra discriminante potrebbe essere stata quella dei link di arrivo ai blog: a quanto pare, gli utenti, per la stragrande maggioranza dei casi, visitano i blog tramite click sui link della homepage o vi giungono da collegamenti condivisi, pochissimi sono gli utenti che nella lettura partono direttamente dai blog. Infine, dal punto di vista tecnico, il software utilizzato per i blog del giornale pare non sia perfettamente compatibile con il design utilizzato per gli articoli della testata.
Il cambiamento intrapreso rappresenta l’inizio di un ridimensionamento dei blog da parte delle redazioni storiche?
Stando alle parole di Ian Fisher – assistant managing editor al NYT – il giornale non vuole rinunciare all’aspetto conversazionale dei post. Solo, per ottimizzare le risorse, sta vagliando nuove modalità attraverso le quali inserire i contributi del proprio network di blog all’interno del flusso delle notizie, evitando così l’isolamento dei weblog a qualcosa di “altro” rispetto agli articoli del quotidiano online.
Obiettivo più che legittimo, resta da capire però come (e se) sia possibile sfruttare al meglio i blog senza snaturarne gli aspetti salienti che li differenziano, per tono, linguaggio e modalità di scrittura, dalle storie comunemente raccontate in un giornale.