News via Whatsapp, ci prova l’Oxford Mail

theguardian.com

Uno dei fronti più caldi degli ultimi anni è quello della cosiddetta “internet in mobilità”. Tra coloro che si occupano di comunicazione e advertising, il mobile rappresenta, almeno potenzialmente, una delle opportunità più ghiotte sulle quali scommettere. Smartphone e tablet sono sempre più diffusi, le connessioni proposte dagli operatori sempre più veloci, i costi mediamente accessibili, ormai per molte persone il web non è più unicamente sinonimo di personal computer. Ovviamente anche il mondo del giornalismo osserva con attenzione gli sviluppi del comparto, tentando di individuare le eventuali possibilità per adattarsi ai nuovi strumenti e sfruttarne appieno le caratteristiche.
Alle applicazioni delle varie testate sui circuiti Google Play, iTunes o sviluppate in maniera indipendente, gratuite o a pagamento, da alcune settimane si è affiancato un interessante esperimento del quotidiano locale Oxford Mail.
Dallo scorso 2 giugno è infatti attivo un servizio tramite il quale la testata inglese comunica con i propri lettori anche tramite WhatsApp, la app di messaggistica istantanea che, sfruttando la connessione alla Rete, consente di scambiare messaggi con i propri contatti senza dover pagare il costo degli SMS.
Il lettore interessato, aggiungendo alla propria rubrica il numero del giornale e indicando NEWS o SPORT (o entrambe le tematiche), riceverà le notizie della testata nel proprio telefonino. Al momento, per non risultare troppo invasivi, la comunicazione si limita a un messaggio di prima mattina contenente le 5/6 storie principali (titoli e link) e l’immagine della prima pagina, al quale seguono eventualmente, nel corso della giornata, le breaking news più rilevanti.
L’esperimento, nelle previsioni dei responsabili della testata, punta ad entrare in contatto più diretto con i lettori utilizzando uno strumento nel quale la concorrenza – a differenza di Twitter e Facebook – è al momento sicuramente meno agguerrita se non del tutto inesistente. Il superamento dei 250 contatti con i quali chattare contemporaneamente, invece, è un problema facilmente risolvibile creando un nuovo gruppo di utenti.

Nulla di nuovo, sistemi di alert che diffondono le notizie o ci informano di nuovi contenuti sono già molto utilizzati (dalle email agli RSS, dagli SMS alle notifiche).

Due però gli aspetti che mi hanno incuriosito: la comunicazione delle notizie via WhatsApp mira a raggiungere i lettori in un luogo (virtuale) nel quale sono soliti comunicare con amici e conoscenti. Le redazioni, quindi, seguono gli utenti in un terreno “incontaminato”, sarà interessante capire come i contenuti e le modalità comunicative si adatteranno a questo nuovo canale.
In secondo luogo, i responsabili del progetto dell’Oxford Mail, hanno tenuto a precisare che WhatsApp non rappresenta un’alternativa agli altri social media utilizzati dalla testata quanto uno strumento che si aggiunge a quelli già in uso e che dimostra la dinamicità del giornale nel far proprie le diverse possibilità tecnologiche offerte oggi agli utenti.

Un esperimento simile è stato messo in pratica dalla BBC News in India nel corso delle elezioni di aprile/maggio per le quali la redazione, oltre a WhatsApp, ha utilizzato anche WeChat allo scopo di raccogliere le opinioni degli elettori e di distribuire al contempo informazioni (video, grafici, interviste) sulla tornata elettorale.

I numeri sono ancora ridotti ma si intravedono buone potenzialità: se è vero che il numero dei messaggi al giorno per non essere considerato spam è da considerarsi nell’ordine delle poche unità, il tasso di interazione degli utenti con i link proposti risulta piuttosto elevato e quello di abbandono del servizio basso.

Il prossimo passo, già tracciato, sarà quello di utilizzare WhatsApp non solo per inviare le notizie ma per raccogliere con maggiore semplicità ed immediatezza le segnalazioni degli utenti rendendoli più partecipi del flusso informativo.

[update: il 9 gennaio 2015 anche la Repubblica ha lanciato un servizio di breaking news via WhatsApp]

L’innovazione del giornalismo secondo il New York Times

Img: mashable.com

Da un mese a questa parte uno dei documenti più discussi tra coloro che occupano di media è l’Innovation Report del New York Times, un pdf di 97 pagine che traccia lo status attuale del famoso quotidiano statunitense identificando le nuove sfide che il giornale dovrà affrontare sin da subito per rispondere alla sempre più agguerrita concorrenza su web.

Se l’obiettivo della testata resta sempre quello di produrre il miglior giornalismo, sin dalle prime righe appare chiaro come il Times necessiti di una nuova strategia, un moderno atteggiamento che possa far fronte alla diminuzione del bacino di lettori (non solo del sito ma anche della app) fatta registrare i primi mesi del 2014.

Il successo del paywall offre la stabilità economica necessaria per continuare a rinnovare il giornale proseguendo la ricerca di un nuovo equilibrio lontano dalla tradizione carto-centrica sulle cui basi la testata ha costruito i suoi più rilevanti successi. Si tratta di una transizione che, adottando l’approccio del digital first porta, ad esempio, ad utilizzare per il giornale a stampa i migliori contenuti digitale, non viceversa.

Il nuovo modus operandi si basa su tre concetti fondamentali: discovery, promotion e connection. In sintesi: studiare come proporre e distribuire i contenuti, come attirare l’attenzione degli utenti, come creare relazioni durature e continuative con i lettori.

Lettori che in percentuali sempre più alte utilizzano tablet e smartphone per informarsi, e che arrivano alle notizie più dai social network che dalla hompege del sito (nonostante i vari restyling, solo 1/3 dei lettori visita la “prima pagina” su web del giornale).
L’audience va quindi cercata, l’edizione cartacea funge sono in pochissimi casi da traino per il sito online. I giovani lettori, in particolare, stanno abbandonando la navigazione a favore dei social media: “se qualcosa è importante, mi troverà”, lasciano siano le notizie a raggiungerli piuttosto che operarsi per trovare il contenuto a loro più adatto.

Focalizzarsi sui lettori è condizione necessaria ma non sufficiente, occorre infatti ripensare anche i contenti e alle modalità con le quali le notizie sono proposte. Ancora troppo spesso i giornalisti pensano che il proprio compito si esaurisca con la pubblicazione del pezzo. In realtà, come dimostra il successo Huffington Post (e l’attenzione posta dalla redazione alla fasi successive la messa online dell’articolo), la vita di un contributo inizia con la diffusione pubblica su web, non si esaurisce semplicemente con l’upload.

In generale, quindi, va ripensato il modo di proporre le news. Il traffico generato da una notizia scema drammaticamente dopo un solo giorno dalla pubblicazione. Occorre vagliare nuove soluzioni per allungare il “tempo di interesse” delle informazioni proposte, facendo in modo che gli articoli siano più utili, più rilevanti, più propensi alla condivisione da parte degli utenti.

Senza dimenticare gli aspetti legati alla personalizzazione delle notizie, sulla cui tecnologia molti sono i player (da Facebook Paper al Washington Post) che stanno investendo.

Che si tratti o meno della versione definitiva del documento presentato al management della New York Times Company, il testo raccoglie molti spunti interessanti che dimostrano come la sfida del web non sia ancora vinta appieno e non vi siano molte certezze nemmeno per un gruppo solido come quello del Times chiamato ogni giorno a rimettersi in gioco continuamente.

Il ruolo di web e tv nella campagna elettorale 2014

Mentre gli echi della tornata elettorale della scorsa domenica paiono ancora lontani dall’esaurirsi, una volta diffusi i dati del voto, forse per deformazione professionale, mi é venuto spontaneo riflettere sul ruolo della Rete nella (brutta) campagna elettorale appena conclusasi.
Rispetto alle elezioni politiche del 2013 (l’appuntamento con i seggi più vicino in termini temporali), mi è parso che il ruolo del web sia rimasto “stabile” se non addirittura in discesa.
Con questo non voglio intendere che la Rete abbia avuto un ruolo marginale nel dibattito politico, ma parlando in termini di media, ad averla fatta da padrona mi è sembrata essere (nuovamente) la televisione.
E questo non solo perché anche il Movimento 5 Stelle, precedentemente molto lontano dalle dinamiche televisive, non è riuscito ad esimersi dai confronti tv, quanto perché al di là dei post di Grillo, dei tweet di Renzi e degli status su Facebook di Matteo Salvini (giusto per citare 3 protagonisti della scena politica italiana), il consenso mi sembra essersi costruito soprattutto sul vecchio “tubo catodico”.
In altre parole, benché cresca – tra politici e non – l’uso del web e la dieta informativa di ognuno di noi sia ormai formata da una molteplicità di stimoli provenienti da strumenti e fonti differenti, la tv continua ad essere nel nostro Paese il medium per eccellenza.

Nell’analisi del rapporto web-tv mi è stato di supporto un interessante libro di Lella Mazzoli dal titolo Cross-news. L’informazione dai talk show ai social media. Un testo che, sulla base delle interviste ad alcuni dei più autorevoli professionisti della tv, tenta di tracciare i cambiamenti in atto nel mondo televisivo sulla scia delle nuove modalità di fruizione delle informazioni che il web consente. La scelta dello studio, nello specifico, dei talk show non è stata per nulla casuale: sono proprio questi programmi quelli che (probabilmente assieme ai talent) più tentano di far proprie le dinamiche della comunicazione interattiva online rimettendosi in gioco, almeno parzialmente, per superare il dogma dello spettatore passivo che per anni ha caratterizzato l’informazione televisiva.

Img: codiceedizioni.it

Non si tratta di un vero e proprio cambiamento di paradigma, quanto piuttosto di un’ibridazione di tecnologie che rende il panorama più frastagliato. Basti pensare, per esempio, al fenomeno del cosiddetto second screen per il quale gli spettatori non concentrano più le proprie attenzioni verso un solo schermo ma, pressoché in tempo reale, commentano ciò che vedono/sentono attraverso i social network. Un nuovo pubblico che se forse non rappresenta ancora la maggioranza di chi guarda la tv, sta sicuramente contribuendo a riscrivere le regole che sottendono ai palinsesti televisivi.

In questo senso, i talk show, una delle principali forme di approfondimento e formazione dell’opinione pubblica, non poteva certo esimersi dal testare nuove forme di creazione dei contenuti, di conduzione dei dibattiti, di partecipazione del pubblico.

In realtà, senza poi svelare troppo circa le conclusioni alle quali arriva il libro, sebbene il processo di rinnovamento sia inevitabilmente partito, la Rete (e quindi gli utenti online) non è ancora riuscita ad entrare nel vivo dei programmi. L’interazione, ad esempio, per molte trasmissioni non è tanto tra la redazione e gli utenti, quanto tra spettatori e spettatori il cui confronto anima il dibattito solo online.

Da questo punto di vista, mi pare emblematico il caso del profilo @RaiBallaro che pur potendo contare su oltre 134.000 follower e oltre 5.200 tweet, non “segue” nessuno e non interagisce con gli altri utenti.
Nulla di sbagliato, per carità, legittima scelta. Solo, mi pare, un utilizzo riduttivo – una sorta di mera cassa di risonanza – di uno strumento che ha profondamente cambiato il panorama informativo.

Il Los Angeles Times e il mobile first design

Img: digiday.com

Lo scorso 6 maggio la versione online del Los Angeles Times ha cambiato pelle. Non si è trattato di un semplice aggiustamento grafico (l’ultimo sostanzioso restyling risaliva al 2009) quanto di un vero e proprio cambiamento di prospettiva. Il nuovo spazio del quotidiano del gruppo Tribune & Co., infatti, ha deciso di scommettere sul mobile, ripensando il proprio spazio web per fare in modo che le informazioni veicolate possano essere fruite in maniera semplice e completa da ogni piattaforma, con un particolare riguardo per coloro i quali si informano tramite smartphone e tablet.
Se ad oggi questi utenti non rappresentano ancora la maggioranza dei lettori, è pur vero che la percentuale di chi consuma news da dispositivi mobili è in crescita costante. Che il mobile first rappresenti il passo successivo al digital first già adottato da alcune testate giornalistiche? Sicuramente si tratta di una scelta lungimirante che però comporta un quasi totale ripensamento dell’esperienza informativa. In realtà, nel caso del latimes.com, non si tratta di un cambiamento radicale quanto dell’inizio di un percorso di sviluppo che mette al centro la dinamicità dei nuovi device (sempre in evoluzione) piuttosto che la maturità forse ormai acquisita del classico personal computer.

In questo senso, esemplificativo del nuovo approccio della testata, è la possibilità di navigazione “visuale” (basta cliccare, in alto a sinistra, su “Visual Browse”) dei contenuti pensata appositamente per dispositivi in mobilità: i titoli quasi spariscono lasciando spazio alle immagini che sintetizzano i diversi contenuti navigabili – sullo stile di Flipboard – sia scorrendo la pagina che spostandosi orizzontalmente tra i contenuti.

Anche la scelta di optare per un menu laterale sempre visibile e che, cliccata una voce, mostra le relative sottosezioni, rende l’accesso alle notizie molto veloce e intuitivo. Da segnalare anche la sintesi (alle volte disponibile anche in più versioni) di ogni articolo che consente la condivisione – su Twitter o Facebook – davvero rapidissima: non si tratta della banale ripetizione del titolo, quanto piuttosto di un sunto di pochi caratteri che rappresenta una valida alternativa agli improbabili status con link lunghissimi che contengono simboli non di uso comune, che alle volte vengono proposti in alcuni siti informativi.

Altri due aspetti di sicuro interesse sono: l’unico scroll che non presenta più un solo articolo anche ma anche tanti altri contenuti (in sostanza non esiste più la paginetta contenente una sola notizia) in un unico flusso informativo e, in secondo luogo, “Neighborhoods”, la voce che, dalla sezione “Local” della homepage, permette di visualizzare una mappa dei diversi quartieri di Los Angeles cliccando i quali è possibile scegliere una particolare comunità non solo per leggerne le notizie correlate (dalle breaking news alle recensioni dei ristoranti, un’opportunità per lettori e inserzionisti) ma anche per verificare lo status della zona selezionata sulla base di 3 parametri (2 legati al crimine e 1 al ranking delle scuole) identificati come unità di misura.

Per i primi tre giorni dalla messa online, il sito è stato visibile completamente e senza limiti (anche il Los Angeles Times adotta la formula del paywall) di modo che chiunque potesse visionare le novità del giornale. Questa sorta di anteprima “trasversale” è stata possibile grazie alla sponsorizzazione della compagnia aerea Etihad Airways.

I pareri sulla nuova versione del Los Angeles Times sono piuttosto contrastanti (molte le critiche soprattutto per la parte dedicata ai commenti, non visibilissima di lato a metà articolo che non permette di scrivere avendo la notizia sotto gli occhi e che, quindi, pare disincentivare l’interazione piuttosto che promuoverla) ma la scommessa del puntare sul mobile non sembra del tutto azzardata. Resta da capire se nel breve questa sia la scelta più azzeccata.

Il sito, secondo gli ultimi dati di ComScore, a marzo ha incrementato il proprio numero di visitatori online del 30% rispetto allo stesso mese dello scorso anno ma la redazione cartacea continua a soffrire e si prospettano nuovi tagli al personale dopo i licenziamenti della scorsa estate.

Slate lancia Slate Plus, l’alternativa freemium al paywall

Img: wikimedia.org

Nella puntata dello scorso 28 aprile di Eta Beta, programma radiofonico condotto da Massimo Cerofolini e dedicato nell’occasione ai cambiamenti in atto nel mondo del giornalismo, ho avuto modo di citare la pratica del paywall tramite la quale i quotidiani online hanno iniziato a proporre i propri contenuti (per chi non lo conoscesse, si tratta di un monte articoli al mese, di solito compreso nella sua forma più soft tra 10 e 20 pezzi gratuitamente fruibili, superato il quale le notizie per essere lette necessitano di una forma di abbonamento). Non si tratta dell’unico approccio adottato ma sicuramente di quello che, nonostante i detrattori non lo vedano come soluzione valida a lungo termine, sta contribuendo ad arginare le perdite del comparto editoria.

Un’iniziativa di sicuro interesse in questo senso è quella proposta dal magazine statunitense Slate. I contenuti del sito restano free per tutti ma ai lettori è anche offerta l’opportunità di sottoscrivere l’abbonamentp a Slate Plus.

Slate Plus is an all-access pass for readers who support our journalism and want a closer connection to it. For $5 a month or $50 a year, a richer Slate experience awaits you.

Diventando membri di S+ si possono leggere le notizie tutte in una pagina, i propri commenti vengono pubblicati a margine dell’articolo senza apparire in un pop-up, si possono ascoltare dei podcast esclusivi (o senza interruzioni pubblicitarie), vedere video del dietro le quinte del lavoro della redazione o partecipare a chat private con alcune delle firme più prestigiose, acquistare con lo sconto del 30% il merchandise ufficiale.

David Plotz, presentando l’iniziativa, ha sottolineato più volte come S+ non sia una modalità freemium tramite la quale chiedere soldi ai lettori in cambio di articoli informativi quanto piuttosto un tentativo di proporre delle opportunità extra ai lettori rispetto a quanto proposto a incondizionatamente a tutti.

L’articolo, in data odierna, è stato commentato 1368 volte. Scorrendo fra i commenti un confronto su tutti mi è parso interessante: un utente (aka Krocnyc) esprimendo un suo giudizio sull’abbonamento si chiede perché debba pagare per avere i bonus previsti da S+; gli risponde Jennifer Lai, moderatrice Slate che cita l’esempio di coloro i quali acquistano i DVD edizione speciale (con extra quali il commento del regista o le scene tagliate) pur potendo risparmiare con la semplice proposta “DVD solo film”. La conversazione continua con l’utente che lapidario chiede: “Esiste ancora qualcuno che compra DVD? Per i contenuti extra?”

La risposta circa il vero intento di S+ a mio modo di vedere arriva poche righe più in basso quando Jennifer Lai indica come duplice scopo del nuovo membership program prima di tutto quello di cercare di focalizzarsi maggiormente sull’aspetto conversazionale delle notizie tra utenti e tra lettori e giornalisti (livechat, videochat, maggior spazio ai commenti, etc.) e, dall’altro lato, quello di supportare il giornalismo che Slate incarna.

Al di là dei primi giudizi, sarà interessante vedere come i lettori di Slate reagiranno alla proposta della redazione. Sinceramente, i benefit offerti non mi sembrano giustificare il costo mensile di 5 dollari, ma  è anche vero che se qualcosa mi gratifica (e la lettura di articoli interessanti sicuramente può essere annoverata tra ciò che mi appaga), sono ben disposto a dimostrare il mio apprezzamento a prescindere dai bonus.

E se invece che “Join S+” fosse stato proposto un più semplice “Support Us”?

L’importanza crescente dei nativi digitali del giornalismo

Img: pbs.org

Da alcuni giorni è disponibile State of the News Media 2014, l’annuale report del Pew Research Center che analizza il panorama informativo statunitense.
Delle tante osservazioni interessanti che i documenti presentano, la mia attenzione si è focalizzata soprattutto sui cosiddetti nativi digitali del giornalismo americano, le redazioni cioè nate nella Rete che nel corso degli anni hanno saputo ritagliarsi un ruolo sempre più importante nell’ecosistema editoriale a stelle e strisce. Un comparto, quello delle realtà informative online, in crescita nonostante la crisi della stampa: non solo BuzzFeed, Huffington Post, ProPublica, Politico, il panorama statunitense offre ai lettori una miriade di spazi diversi su web ai quali rivolgersi per leggere notizie. La cospicua “migrazione” di grandi firme dal giornalismo “tradizionale” legato alla carta a quello pensato e realizzato unicamente su web – due su tutte, Bill Keller lascia New York Times per l’iniziativa nonprofit The Marshall Project, Jim Roberts dal NYT passa a Mashable – contribuisce a suggellare l’importanza ormai acquisita dell’universo delle news online, non più considerato alla stregua di un “campionato di seconda divisone”.

Un mondo fatto di molte realtà “giovani” (il report analizza i 30 più grandi siti informativi all digital e altre 438 piccole redazioni del web), nate negli ultimi 10 anni, che si occupano di notizie locali o iperlocali, che puntano sull’inchiesta, che spesso devono far fronte a bilanci in rosso – se crescono gli investimenti nel comparto informativo digitale ciò non significa che l’industria delle news online abbia trovato la formula per monetizzare questo crescente interesse verso le notizie – e che, con il loro approccio innovativo alla Rete, stanno tentando di adattarsi a un panorama in rapida e costante evoluzione.

Adottando modalità differenti di raccontare e proporre le news rispetto a quelle dei media classici, molto più focalizzate su formati e strumenti in grado di sfruttare appieno le peculiarità della Rete, i siti informativi nativi digitali riescono a coinvolgere maggiormente i lettori che spesso, da semplici cittadini, diventano “volontari” in grado di supportare le redazioni con testimonianze dirette su ciò che succede loro. Forse anche per questo motivo, i siti informativi digitali risultano più accattivanti per il pubblico giovane generalmente poco incline al formato giornale.

Al di là del successo imprenditoriale di alcuni “esperimenti”, le realtà nate nella Rete svolgono una funzione sociale non di poco conto andando a riempire e a ampliare l’orizzonte che nella stampa cartacea (soprattutto per quel che riguarda i magazine), invece, si sta via via riducendo. Non solo dal punto di vista strettamente legato al numero e alla tipologia di notizie proposte ma anche da quello delle professionalità che nell’editoria lavorano: se nelle newsroom tradizionali continuano i tagli al personale, per ciò che concerne le redazioni online, almeno per quelle di maggior successo (delle 438 piccole realtà analizzate, più della metà sono formate da uno staff full-time di 3 persone o meno), si assistente invece a una notevole crescita. Solo due anni fa il team di BuzzFeed era formato da una mezza dozzina di persone, oggi può contare su 170 professionisti. Analogo discorso per Vice Media che solo nell’ultimo anno ha allargato il proprio staff a 48 new entry. O per Quarz, testata nata nel 2012 ma che può già contare su una rete di reporter a Londra, Bangkok e Hong Kong. E se l’HuffPost punta ad ampliare ancora il bacino delle proprie edizioni facendo salire da 11 a 14 i Paesi nei quali essere presente, Business Insider è attualmente alla ricerca di altre 25 nuove figure per il allargare la propria squadra.

Difficile prevedere gli sviluppi di ciò che sta accadendo. Di certo, l’industria dell’editoria “tradizionale” che aveva inizialmente snobbato la Rete deve oggi affontare una duplice sfida tutt’altro che semplice: da un lato il calo dei lettori e dei guadagni derivanti dalla pubblicità, dall’altro concorrenti digitali sempre più agguerriti.

Il Washington Post apre ai quotidiani locali, l’influenza di Bezos inizia a farsi sentire

Img: washingtonpost.com

Da quando Jeff Bezos ha acquistato il Washington Post ho con curiosità aspettato la prima rilevante decisione per comprendere il suo approccio alla guida di una così prestigiosa testata. In settimana qualcosa in questo senso pare essersi mosso.

Il pubblico di lettori del Washington Post è piuttosto omogeneo, almeno in termini di ubicazione geografica. A differenza del “rivale” New York Times che può contare su una notevole fetta di acquirenti del quotidiano fuori dalla “Grande Mela”, il WP resta fortemente ancorato, in termini di vendite, alla Capitale degli Stati Uniti. Tale aspetto, almeno per quel che concerne le copie a stampa, è diventato ancora più palese dopo il 2009 quando i vertici, per ovviare alla crisi, decisero di chiudere le redazioni del giornale a New York, Chicago e Los Angeles. L’avvento del digitale, nonostante gli sforzi per rendere la testata più forte sia a livello nazionale che internazionale, non è ancora riuscito nell’impresa di allargare il bacino di riferimento.

Proprio su questo versante il “Bezos pensiero” sembra essersi concretizzato in un primo importante cambio di prospettiva. In base alle dichiarazioni rilasciate al Financial Times da Steve Hills, presidente del WP, una delle primissime indicazioni del fondatore di Amazon, è stata quella di esplorare diverse soluzioni puntando sul successo digitale a lungo termine. La questione, come sottolinea lo stesso Hills, non è affatto di poco conto. Se nella precedente gestione il traguardo era legato alla realizzazione di guadagni nei 2/3 anni successivi, il cambio di rotta in atto, considerando un lasso temporale più ampio, consente – almeno potenzialmente – di valutare molte più opportunità.

Non è un caso quindi che, dal prossimo maggio, il giornale abbia deciso di offrire gratuitamente l’accesso digitale ai contenuti di sito e app, agli abbonati di sei quotidiani locali degli Stati Uniti, dal Dallas Morning Star al Minneapolis Star Tribune. In questo modo si stima che il pubblico di riferimento della testata possa crescere notevolmente anche perchè non è escluso che a breve il giornale possa adottare lo stesso approccio stringendo collaborazioni con i più noti servizi premium, da Spotify alle televisioni a pagamento.

Forse c’era davvero bisogno di un affermato professionista del digitale non legato all’editoria per allargare l’orizzonte della stampa.

In bocca al lupo signor Bezos, io faccio il tifo per lei!

Con EveryBlock l’informazione iperlocale torna a sperare

Img: djangosites.org

Scrivendo News(paper) Revolution ho potuto constatare di persona la difficoltà di raccontare la Rete (e in particolar gli aspetti informativi del web), uno spazio comunicativo fluido e in perenne evoluzione. Emblematico rispetto alla complessità del mettere nero su bianco ciò che cambia molto (troppo?) velocemente, è il servizio di hyper local news, EveryBlock.

Nato nel 2007 da un’idea di Andrian Holovaty e poi lanciato ufficialmente nel gennaio 2008, per molti anni EveryBlock è stato uno degli esperimenti più interessanti del panorama giornalistico statunitense. Dando modo agli utenti di contribuire alla realizzazione di una community online del proprio quartiere, il servizio affiancava informazioni di pubblica utilità a notizie da forum, blog e quotidiani online inerenti alla propria area di residenza. Una sorta di geo-forum (così lo sintetizza Holovaty) il cui successo portò a coprire 19 città degli Stati Uniti (tra le quali New York e San Francisco) attirando così le attenzioni di MSNBC.com che lo acquisì nel 2009. Società nata, come indicata il dominio, dall’unione tra Microsoft (MSN) e Comcast (NBC) che però non ebbe lunga vita. NBC News, tuttavia, riuscì ad aggiudicarsi completamente il sito nel luglio 2012 e, benché Holovaty, un mese dopo lasciasse il progetto di cui era padre, non esitai a raccontare di EveryBlock nella versione cartacea del mio libro, segnalandolo quale uno dei più concreti esempi di giornalismo come servizio per i cittadini di una determinata area geografica.

News(paper) Revolution dal 24 gennaio 2013 è nelle librerie e nemmeno un mese dopo, il 7 febbraio, leggo che la NBC News, visto il bilancio, è costretta a rivedere il proprio portfolio digitale: morale, EveryBlock viene chiuso perché non considerato strategico per la crescita della società.
Inizio a lavorare alla versione ebook del libro – ampliata e aggiornata, uscirà a maggio – e, visto quanto accaduto, decido di sostituire la citazione ad EveryBlock con GuardianWitness, altro progetto molto interessante che vede la partecipazione, nel flusso informativo, di “semplici” cittadini.

Fine della storia?

No, perché ad inizio 2014 Comcast decide – un po’ a sorpresa – di investire nuovamente in EveryBlock che, lo scorso 23 gennaio, torna operativo a Chicago (un percorso analogo è stato seguito da Patch, esperimento di informazione iperlocale di AOL).

Happy ending? Non proprio, il finale resta aperto. Se infatti esiste sicuramente un pubblico interessato a ricevere informazioni sul luogo nel quale vive ed è inserito, ad oggi è altrettanto vero che i grandi investimenti si sono scontrati con guadagni pubblicitari non all’altezza delle aspettative.
Che si navighi a vista, tra l’altro, lo conferma anche Matt Summy, vicepresidente Comcast-Chicago region, quando a precisa domanda su quale possa essere la modalità per rendere un sito di notizie iperlocali redditizio, ha risposto: “Molto candidamente, al momento non lo sappiamo”.

Se i finanziamenti a sostegno di EveryBlock sono tornati, una qualche prospettiva interessante sicuramente ci sarà (in fondo Comcast Corporation non è solo notizie, è anche un provider, c’è tutto l’interesse da parte della società di vedere accrescere l’utilizzo del web da parte degli utenti).

Il progetto non è nato-rinato a Chicago per caso: la metropoli dell’Illinois è infatti nota per il suo approccio open data della gestione pubblico. Il nuovo EveryBlock si propone come piattaforma aperta a sviluppatori e cittadini che vogliano confrontarsi attorno alle notizie (comprese quelle la cui fonte è la Pubblica Amministrazione) del proprio vicinato.

Il futuro dell’informazione passa anche da EveryBlock, non resta che seguirne gli aggiornamenti.

[recensione] Twitter senza segreti di Luca Conti

Twitter senza segretiSono un fan di Twitter, strumento che ho iniziato ad utilizzare nell’ottobre 2008 (per conoscere a quando risale il tuo primo tweet, visita Twopcharts e inserisci il tuo nickname) e che da allora rappresenta per me una sorta di rassegna stampa mattutina in virtù della quale inizio la giornata scorrendo le notizie sui temi che più interessano. E’ in assoluto l’applicazione che utilizzo con maggiore frequenza, uno strumento ormai irrinunciabili per trovare spunti sui temi che mi appassionano, per condividere mie considerazioni, per commentare le mie esperienze (anche con altri media).
Di Twitter mi hanno subito colpito la semplicità, la velocità e la sintesi cui obbligava. Ho però rapidamente capito che dietro l’immediatezza di un tweet si nascondeva una rivoluzione in grado di cambiare (per sempre?) i connotati del mondo della comunicazione e di quello dell’informazione. Nel corso degli anni ho imparato così a distinguere le peculiarità di Twitter rispetto agli altri social media diventando un utente più smaliziato via via che lo stesso strumento si evolveva. Uno dei momenti topici, l’ho personalmente raggiunto nel maggio 2012 (se la memoria non mi inganna), quando appena avvertita una forte scossa di terremoto, la prima cosa che feci, istintivamente, fu quella di prendere lo smartphone e scrivere un tweet su ciò cui ero stato testimone salvo poi passare in rassegna i cinguettii delle persone che conoscevo per capire se anche loro avessero avvertito qualcosa.

Nonostante sul fronte degli investimenti pubblicitari non abbia ancora avuto modo di utilizzare Twitter (aspetto con molta curiosità l’opportunità di provare in prima persona le soluzioni advertising), non ho esitato un attimo ad associare anche al mio News(paper) Revolution un hashtag – #nepare – per stimolare/monitorare la conversazioni attorno al saggio e agli argomenti trattati.

Per restare in tema di libri, ho da pochi giorni terminato la lettura di Twitter Senza Segreti di Luca Conti, un testo pubblicato dalla casa editrice Hoepli molto interessante che mi sento di consigliare a tutti, sia a coloro che per ora si limitano ad osservare dall’esterno lo strumento, sia a coloro che invece lo utilizzano da tempo.
Le informazioni fornite sono davvero molte e consentono di scoprire passo passo l’unicità di Twitter, i suoi aspetti tecnici e i principi fondanti, le opportunità per chi voglia ascoltare, comunicare o promuovere, con tanti esempi concreti, profili da seguire, interviste e link attraverso i quali proseguire l’approfondimento. Un libro che in qualche modo rispecchia ciò su cui si focalizza: semplice, si legge senza annoiarsi e offre spunti molto interessanti per comprendere al meglio come Twitter nel giro di pochi anni sia diventata “l’agenzia stampa globale personalizzata” usata da politici, attori, responsabili di azienda, sportivi e giornalisti.

Uno dei punti sui quali l’autore insiste spesso che mi piace sottolineare è l’aspetto legato alla consapevolezza di come Twitter sia un social network di microblogging improntato alla partecipazione, alla conversazione, alla relazione. Utilizzarlo solo come l’ennesimo canale attraverso il quale diffondere il proprio messaggio significa probabilmente non aver appieno compreso le potenzialità dei messaggi in 140 caratteri.

La sfida è quella di individuare/proporre una modalità comunicativa (anche pubblicitaria) che possa essere percepita come “servizio” dagli utenti, come qualcosa di interessante, di costruttivo, di originale capace di indurre all’azione chi ne fruisce, risposta o condivisione che sia.

Forse mi sarei aspettato qualche parolina anche su Vine, mobile app di casa Twitter, questo l’unico appunto – ma proprio a cercare l’ago nel pagliaio – che mi sentirei di fare all’autore, al quale però ribadisco i miei complimenti per un libro davvero ben pensato e scritto.

Si fa cultura digitale anche raccontando con chiarezza e semplicità i nuovi strumenti digitali. E Luca Conti, in questo, è uno dei più bravi.

Un primo giudizio sul nuovo look di Gazzetta.it

Da alcuni giorni è online la rinnovata versione de La Gazzetta dello Sport. Ho subito avuto molta curiosità circa il rinnovato design (in particolare della versione web) della “rosea”, sia in qualità di appassionato dell’evoluzione dei media in Rete, sia come lettore-tifoso della testata.

Ad una prima occhiata, la nuova impostazione mi ha ricordato subito la cornice entro la quale sono presentati gli articoli di USA TODAY.


Un po’ come per l’edizione del 2004 (visibile nella Gazzetta Timeline), il sito mostra in primo piano sulla sinistra il menu con i “quick link” alle diverse sezioni informative del sito (menu che, se si resta nel sito, mostra anche le notifiche circa nuovi articoli di una determinata sezione). Da notare come tale menu rimanga fisso anche allo scorrimento dei contenuti. I quali, si nota subito, lasciano molto più spazio alla multimedialità: foto e primi frame di video sono i veri protagonisti della homepage, i testi sono ridotti al minimo e si limitano ai titoli. Andando con il mouse sopra i contenuti, prima di cliccare per leggere l’articolo, ne vengono mostrati i “mi piace”.
Da quanto mi è parso di vedere, pare vi sia una sorta di struttura piramidale per l’organizzazione dei vari “pezzi”: una notizia principale con la foto più grande sotto la quale sono indicate altre 4 notizie ad essa correlate. A lato, lo spazio per l’aggiornamento Live, sotto le altre 2 notizie più rilevanti (con 2 link sotto le immagini, di cui solitamente la prima che rimanda ad un video).
Al primo, seguono altri due blocchi di news, uno a sviluppo orizzontale in due righe, l’altro a colonna (che in realtà può anche essere visualizzata come griglia). Bella l’idea, nell’angolo in alto a destra di indicare con un piccolo box l’argomento/la squadra di riferimento. Più che apprezzabile anche la scelta di informare circa l’autore e ultimo aggiornamento della news.
Allo scroll, trovano spazio le notizie degli altri sport, in una struttura pulita e ordinata con foto in rettangoli affiancate dai relativi  titoli che ricorda un po’ quella utilizzata dalle app con le quali si aggregano i contenuti informativi su smartphone e tablet.

Design 2014 Gazzetta
Cliccando su un articolo, resta visibile in alto la barra (nera) del menu che presenta le diverse sezioni del sito e, appena si iniziare a scorrere l’articolo, compare anche la G per tornare alla homepage. Sotto, una sorta di slideshow delle notizie principali della sezione che si sta visitando.
Sopra il titolo compare il “tag” presente nella foto della home che risulta cliccabile ma che non in realtà non porta a nulla: mi sarebbe piaciuto avere la possibilità di essere rimandato a tutti gli ultimi articoli riferiti a quella particolare tematica.
Tra titolo e sottotitolo un’altra novità, questa volta in stile New York Times: la possibilità di navigare orizzontalmente tra i contenuti, “sfogliando” il giornale online in virtù di frecce per leggere l’articolo precedente (sinistra) o successivo (destra). In realtà, nel NYTimes, le frecce restano sempre presenti a metà delle schermo mentre sulla Gazzetta sono ancorate alla parte superiore dell’articolo “costringendo”, chi abbia finito di leggere il pezzo, a tornare in alto per proseguire “orizzontalmente” con la lettura di un nuovo articolo. Trovo la soluzione nel Times migliore, più ergonomica, anche perché, fatto uno scroll, le frecce laterali consentono, quando si passa sopra con il cursore senza cliccare, di leggere il titolo dell’articolo di destra/sinistra. Nella Gazzetta, posizionandosi sopra una delle frecce, il box “Articolo Successivo” non fornisce informazioni su quello che si andrà a leggere (questo un po’ di smarrimento nell’utente lo crea: in base a cosa scelgo l’opzione di destra o di sinistra se non ne conosco la destinazione?), finendo, tra l’altro, almeno con le mie impostazioni di schermo, con il sovrapporsi al titolo.
A lato dell’articolo, in corrispondenza della data del pezzo, un box verticale con la possibilità di condividere e interagire con la news. Il numero in alto non si capisce esattamente cosa rappresenti (immagino possa essere la somma di condivisioni, like e commenti; personalmente avrei optato per il sistema che mostra le operazioni di ogni singola opzione a disposizione piuttosto che un anonimo totale) ma più che apprezzabile l’idea che anche questa parte segua lo scroll del lettore sino al termine dell’articolo.

Finito l’articolo, spazio ai commenti. Forse, anche qui avrei “osato” un po’ di più magari utilizzando, come succede nei blog (compreso questo), una riga contributi correlati o le top news del momento. Avrei insomma offerto al lettore l’opportunità di navigare tra i contenuti senza spostare troppo il cursore: finito un pezzo, per leggerne un altro, ora bisogna salire nella parte alta dello schermo nello slideshow, tornare con lo scroll al titolo per poi cliccare sulle frecce o, in alternativa, cliccare la colonna sulla destra dedicata ad Approfondimenti, Più Letti, Più Commentati che però, per gli articoli più lunghi, per essere visualizzata richiede comunque almeno uno scroll (una soluzione alternativa potrebbe essere quella di invertire gli spazi: colonna laterale con commenti a fine articolo, approfondimenti e più letti/commentati a fine pezzo).

Nei prossimi giorni proseguirò la conoscenza del nuovo design della Gazzetta, il progetto (realizzato da Sketchin) mi sembra valido e sicuramente rappresenta una efficace e innovativa modalità per raccontare la passione che anima noi tifosi. Con la speranza, nel mio piccolo, di aver fornito dei suggerimenti costruttivi, non posso che fare contemporaneamente e complimenti e gli “in bocca al lupo” di rito per il restyling!

p.s.=un’ultima annotazione: nel sito realizzato ad hoc per il lancio della rinnovata Gazzetta, non riesco a vedere (proprio) il contenuto legato alla user experience (“formato video o mime type non supportato” il messaggio di errore), sob.