Alpitourworld.com: vacanze web, qualità Alpitour

Alpitourworld.comL’estate è definitivamente iniziata, il desiderio di vacanze inizia a farsi pressante e quindi non resta che accendere il computer, armarsi di pazienza e perdere gli occhi online alla ricerca di offerte particolarmente vantaggiose. Il desiderio di relax, l’entusiasmo verso la potenziale lontananza dall’ufficio non deve però offuscare la nostra attenzione al momento dell’acquisto. Il web infatti pullula di offerte “specchietto” con le quali catturare l’entusiamo di chi brama un viaggio. Per esempio, andando in uno dei siti più noti per la prenotazione di viaggi e hotel, ho trovato un’offerta per il Mar Rosso per 7 giorni, due adulti: la prima schermata mostrava 419 euro, l’ultima, quella del pagamento, 3.429 euro. Gulp, il prezzo è lievitato con oneri aggiuntivi vari dei quali spesso non si capisce nemmeno bene a cosa si riferiscano (proprio per questo motivo alcune agenzie viaggi sono finite sotto la lente dell’Antitrust per “pratiche commerciali scorrette”).

Tra i portali viaggi che si distinguono in maniera positiva per la loro trasparenza c’è invece Alpitourworld.com, che a breve realizzerà un restyling grafico rendendo ancora più semplice la navigazione tra le tante offerte proposte. Tre le novità principali del nuovo spazio, online dalle prime settimane di luglio: un canale Twitter grazie al quale essere informati sulle ultime iniziative del più grande gruppo turistico italiano; Jeans, un tour operator virtuale che grazie a un modello di business studiato per il web e alle sinergie del Gruppo Alpitour punta a contenere i costi offrendo prodotti di qualità con la garanzia del prezzo bloccato dopo l’acquisto; Alpituner, un agente di viaggio virtuale in grado di guidare le scelte del cliente nella definizione e nella costruzione di un pacchetto vacanza (volo+alloggio+trasferimenti+assistenza+assicurazioni +tasse+visti…) fornendo in pochi secondi per ogni struttura o volo selezionato tutte le combinazioni di vendita possibili a prezzo finito complessivo di tutte le spese e per tutti i partecipanti.

Molto accattivanti anche le offerte Last Minute (aggiornate ogni venerdì per valide per la settimana successiva) per le quali, se potessi, partirei subito (anche le offerte VolaGiovane non sono per nulla male, ma i 25 anni ormai li ho passati da un po’, sob). Da sottolineare anche l’elasticità offerta per i pagamenti, che possono essere spezzettati dando un anticipo del 10% con carta di credito e poi saldando il restante 90% tramite bonifico bancario o recandosi in un’agenzia di viaggio. Insomma, l’Alpitourword.com si conferma ancora di più come uno dei portali travel di miglior successo, capace di offrire un ventaglio molto ricco di possibilità (Francorosso, Villaggi Bravo, Volando, Karambola…) nel pieno rispetto della trasparenza nei prezzi e dell’assistenza al viaggiatore.

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Armando Testa, il design(er) delle idee

La retrospettiva su Armando Testa al Padiglione di Arte Contemporanea celebra il maestro “povero ma moderno” raccontando tramite stampe, oggetti, bozzetti e disegni la creatività e l’ironia della fantasia di colui che ha saputo cambiare il volto della pubblicità italiana.
Testa è infatti stato l’artefice di una rivoluzione partita dal basso, dai due emisferi della curiosità da un lato e della semplicità dall’altro, dal desiderio di sperimentare, di giocare con le immagini riuscendo a coniugare sperimentazioni artistiche e marketing, impatto espressivo e immediatezza.
Basta pensare all’astrazione della sfera e della semisfera di Punt e Mes o ai personaggi conici di Paulista, Caballero Misterioso e Carmecita, immagini capaci di vivere su manifesti come in televisione, trasformatisi da marchi in vere propri icone.
Ma la rassegna consente anche di scoprire Armando Testa in una dimensione più intima. Quella delle fotografie a spaghetti, prosciutto, verdure, scatti realizzati quasi per dare un nuovo senso al cibo oggetto delle “fredde” campagne pubblicitarie. Quella dei disegni, degli appunti e degli schizzi che fuggono alla riproducibilità dei messaggi visivi dell’advertising. Quella dei bozzetti per le campagne pubblicitarie orientate al sociale, tratti di pura inventiva realizzata a mano.
A fare da cornice alla mostra da non perdere il documentario con la regia di Pappi Corsicato dedicato ad Armando Testa, vincitore del premio della critica al Festival di Venezia 2009, una carrellata di battute, racconti, testimonzianze per scorrere l’attività di un uomo che partendo da apprendista compositore in una tipografia è diventato un poliedrico artista di fama internazionale.

La lieta storia del grifone tornato a volare

In un momento come quello attuale c’è più che mai bisogno di belle storie, del racconto di episodi che possano infonderci un po’ di ottimismo. Non essendo un appassionato di motori solo ora sono venuto a conoscenza della vicenda legata a Saab, la storica industria automobilistica – in realtà nata come Svenska Aeroplan AktieBolaget, società per azioni aeroplani svedesi – che in questi anni ha dovuto affrontare parecchie turbolenze. Ma, come in una sorta di fiaba Disney in chiave moderna (il seguito di Cars Motori Ruggenti?), le vicende terminano con un lieto fine. Il glorioso marchio sull’orlo del baratro viene salvato da tutti i propri fan che, organizzatisi in movimenti – per l’Italia, per esempio, il SaabWay Club ha organizzato l’evento Italiano “Save Saab” all’Autodromo della Franciacorta – capaci di sensibilizzare il grande pubblico sulla gestione (forse non proprio oculata) dal marchio da parte del gruppo americano General Motors. Tanto affetto poteva rimanere non corrisposto? Ovviamente no. Ed ecco così che la “rivolta popolare” (che ha fatto registrare anche la partecipazione in prima linea del governo svedese) è stata in grado di accendere l’interesse della casa olandese Spyker che inizia una estenuante trattativa che porta, a fine gennaio, a ufficializzare l’accordo che porta alla nascita di una nuova compagnia indipendente da GM. La casa del grifone è salva e può così tornare a volare (per la serie: “…e vissero tutti felici e contenti“). Tanto che poi la “nuova” Saab decide di realizzare una campagna di comunicazione per ringraziare tutti gli appassionati che hanno contribuito a far nascere la casa automobilistica una seconda volta. Ecco quindi un video, un sito, un concorso (chiamato Saab Your Mind) e una pagina Facebook per testimoniare la vicinanza del brand al proprio pubblico di estimatori. Viva le favole a lieto fine! E viva anche le aziende capaci di adoperarsi per fare in modo che i propri consumatori si sentano parte integrante di quella grande famiglia chiamata brand.

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Only the brave, la nuova fragranza Diesel

Only the Brave è la nuova frangranza maschile by Diesel il cui lancio mi ha davvero colpito. Il nuovo profumo – presentato un anno fa al Temporare Kunsthalle di Berlino con una festa con 900 ospiti selezionati – vuole comunicare tenacia, coraggio e forza. Come? Con una serie di iniziative multisciplinari.

Partiamo dall’oggetto nel quale è contenuto il profumo, una confezione originale, aggressiva e di impatto più che mai adatta a una fragranza che mescola sapientemente cuoio e ambra con note di limone e violetta. Un vero pugno al conformismo che molte volte finisce per rendere il packaging un elemento non così caratteristico.

Anche i visual pubblicitari, in bianco e nero, a firma del fotografo Planton, trasmettono sguardi ed espressioni di un marcato senso di determinazione e una potente forza interiore. Indipendenza, ritmo, fierezza sono anche le colonne portanti dei video che sembra riproporre moderni James Dean in cerca di riscatto e di vita senza compromessi.

In uno dei video come testimonial compare anche Common, artista hip hop di Chicago assoluto protagonista del Block Party, una jam sessione esclusiva che ha visto alternarsi sul palco numerosi artisti nel cuore di Parigi lo scorso 15 maggio (vedi “trailer” qui sotto). Una sorta di “festa di quartiere” ispirata al Block Party di Dave Chappelle (diventato poi un film di Michel Gondry) che nel 2005 è riuscito a radunare i grandi nomi del’hip hop americano come i The Roots, The Fufees, Kanye West e appunto Common. Un evento gratuito, quello di Diesel a Place Stalingrad, tenuto nascosto sino quasi all’ultimo, quando nella Rete si rincorrevano le più varie versioni circa l’evento.

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Diesel Only the Brave Italy
di ebuzzing

Per quanto riguarda la parte online la nuova fragranza si presenta su differenti canali tra loro collegati: un blog, un canale YoutTube e un profilo Twitter chiamati IsBrave attraverso i quali vengono veicolati contributi su arte, design, moda e costume. Ai social network si affianca il sito ufficiale che, nella sezione “Performance” consente all’utente di immergersi in esperienze “grafiche tridimensionali artistico-sonore” a volte un po’ inquietanti ma davvero particolari (e i cui wallpaper si possono anche scaricare in tre diverse dimensioni) in virtù delle quali è il sito – molto lontano dalla classica landing page di prodotto – è stato segnalato anche da FWA, la raccolta di siti innovativi assolutamente da visitare.

Un lavoro a tutto tondo capace di coinvolgere in maniera profonda l’utente in grado di “vivere”, anche solo in maniera virtuale, il prodotto e le sue peculiarità.

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Happy Pills, gli antitodi zuccherosi alla vita

Un vecchio proverbio recita: “l’Epifania tutte le feste si porta via“. Amara verità. Per fortuna però quest’anno avrò modo di addolcire un po’ il rietro al lavoro e alla vita di tutti i giorni. Come? Niente calza della befana ma un piccolo barattolino trasparente – che vagamente ricorda quello utilizzato per analisi mediche – con una precisa indicazione: “to relieve boredom“.
Tutto si deve far risalire a quando, camminando per le viuzze del centro di Barcellona (vicino alla fermata della metro Jaume I se non ricordo male), mi sono imbattuto in un negozietto alquanto singolare nel quale campeggiava la scritta: Happy Pills.
Non ho saputo resistere, la curiosità è stata troppa e così sono entrato per cercare di capire di cosa si trattasse. Di primo acchito mi è sembrato un negozio di caramelle solo un po’ particolare, ben presto mi sono reso conto che definirlo così sarebbe stato riduttivo: in piena esaltazione zuccherina, ho preso un contenitore (ho scelto quello “basic” da 3 euro) e con frenesia ho iniziato a riempirlo con le caramelle mi varie, da quelle a forma di dentiera “vampiresca” a quelle a forma di cervello, dalle classiche bottigliette gommose alle liquerizie colorate. Mi sono poi avvicinato alle etichette e ho scelto quella “against monday“, mi sono recato alla cassa e una ragazza, con tanto di camice bianco, ha chiuso il mio flaconcino come fosse un vero e proprio medicinale, attaccandoci l’etichetta che avevo scelto. Una volta gustate le buonissime caramelle ho cercato maggiori informazioni circa la brillante idea che sottende Happy Pills: ho così scoperto che l’ispirazione è frutto dei designer dello Studio MM di Barcellona (l’immagine sopra è presa proprio dalla sezione “proyectos” del sito di grafica, design e architettura), una moderna quanto esilarante versione di farmacia senza controindicazioni, dove ai soliti toni rossi e un po’ cupi si sostituiscono scaffali di colorate “compresse” golose e scritte rosa shocking. Design da leccarsi le dita.

The big escape by Nokia

cuoco_di_gessoNel canale YouTube di Nokia Italia da alcuni giorni è comparso un nuovo breve filmato che, pare, sia un assaggio di un advergame legato al servizio Ovi Maps 3.0. Si tratta di The big escape, una nuova iniziativa grazie alla quale scappare – almeno virtualmente – dai luoghi comuni. Potevo esimermi dal partecipare? Certo che no. Perchè in fondo, benché quanto mi appresto a raccontare sia stato per certi versi traumatico, oggi ricordarlo è anche divertente. Il luogo comune dal quale vorrei fuggire è sintetizzabile nello slogan: “Italiano è sempre buono. Anche all’estero” che ben rende l’idea di ciò che per alcuni giorni sia stato il mio incubo, il martellante pensiero capace di levarmi l’appetito.
Ero in Inghilterra, in una sorta di college per ragazzi stranieri, stavo tentando di rendere meno imbarazzante il mio inglese. Fortunatamente di connazionali non vi era presenza e anzi orami ero diventato, diciamo così, “amico del mondo”, nel senso che avevo stretto amicizia con una ragazzi di ogni etnia e provenienza, dalla Spagna alla Repubblica Ceca, dalla Germania alla Corea. Sono molto delicato per ciò che concerne il cibo ma mi ero ripromesso di accettare il confronto con le altre culture presenti nella scuola: a turno, uno di noi ragazzi sceglieva un locale e tutti insieme andavamo a provare le pietanze offerte come fossimo fini critici culinari. Spesso, per non sfigurare nei confronti degli altri, sceglievamo locali vicini alla loro cultura. Una delle prime volte, forse per dimostrami l’affetto e la stima nei miei confronti (così mi piace pensare), i ragazzi quasi in coro mi proposero un ristorante/pizzeria chiamato “Made in Italy”. Sin dall’ingresso il locale, nonostante il nome, non mi parve traspirasse italianità, ma ascoltando in sottofondo la musica di Vasco e vedendo l’entusiasmo dei miei amici, un po’ mi tranquillizzai. Una volta arrivato il menu però i dubbi svanirono: la cosa più vicina a un piatto nostrano che la lista offriva era una margherita con ananas a pezzi (adorata, tra l’altro, dei miei compagni asiatici). Sorrisi a denti stretti. Alla fine, quando tutti insieme, ci avvicinammo per pagare alla cassa, l’occhio mi cadde sui “cartoni” per le pizze da asporto: nella parte superiore, sotto il nome, c’era una sagoma della penisola italiana. Ma solo della penisola, senza isole.the_big_escape
Uscii ferito nell’orgoglio patriottico e mi ripromisi di evitare quanto più possibile i ristoranti (pseudo)italiani all’estero. Avrei voluto scappare come il protagonista del minitrailer ma vendendo i mei compagni tutto sommato appagati (certo, per chi non è abituato alla nostra cucina, probabilmente anche un piatto di pasta scotta con del ketchup può sembrare una pietanza succulenta) affogai in una buona (e sana) pinta di birra la mia delusione.

Le nuove Adidas Predator X sbarcano a Milano

carter_e_diegoIl tardo pomeriggio di oggi ha visto protagoniste, all’Arena Civica di Milano, le nuove Adidas Predator X calzate da sportivi di eccezione quali gli All Blacks Dan Carter, Jimmy Cowan, Zachary Guildford, Luke McAlister e i calciatori Diego (Ribas da Cunha), Cristian Brocchi e Alessandro Matri.
I giocatori, divisi in due squadre miste, capitanate rispettivamente da Dan Carter e Diego, si sono sfidati in una competizione molto spettacolare: l’obiettivo era colpire, dalla terrazza dell’Arena, sia con il pallone ovale che con quello da calcio, un bersaglio posizionato al centro del campo a circa 70 metri di distanza (per onor della cronaca ha vinto la squadra di Carter). Un modo simpatico – e per certi versi spettacolare – con il quale testare potenza e controllo delle ultime nate in casa Adidas (pazzesco come le scarpette da calcio si siano “evolute” dal 1994!) che si basano, in estrema sintesi, su tre principali tecnologie: powerspine, predator e optifit. Spero di riuscire a spiegare queste innovazioni senza annoiare troppo: grazie alla tecnologia powerspine il piede nel colpire la palla subisce una minore deformazione e questo significa meno perdita di energia e quindi più potenza e velocità impressa alla palla; la tecnologia predator – un mix plastica-silicone a lato dalla scarpetta – permette una maggiore accuratezza nel controllo del pallone e nell’effetto del tiro, in ogni condizione metereologica (pioggia o sole) e di campo (secco, duro o bagnato); la tecnologia optifit infine punta a garantire un miglior controllo di palla: riducendo il materiale tra pallone e piede, grazie a innovativi elementi costruttivi e nuovi materiali, si ha una sensazione confortevole come se si giocasse a piedi nudi.
adidas_predator_xAltre chicche che caratterizzano le Predator X sono: la parte laterale pre-sagomata che una volta indossate rende le scarpette ergonomice al massimo, la parte del tallone dei tacchetti che è a sé stante rispetto alla tomaia della scarpa, i lacci più ampi dove si annoda e poi più fini per ridurre al minimo l’ingombro, il bordo morbido all’avampiede… Insomma se la mia (brillante?) carriera di fantastista non fosse stata prematuramente bloccata da un brutto infortunio alla caviglia destra (e nonostante il prezzo della top di gamma non sia proprio economico), avrei voluto davvero provare le nuove Predator X e sentirmi, almeno il tempo di una partita, un campione.

WOM Summit parte prima, riflessioni a caldo

wom_summit_09Ho avuto modo ieri di essere presente al convegno Word of mouth summit 2009, una raccolta di testimonianze sulle varie attività legate direttamente o indirettamente al “mondo” del passaparola on e offline. Nel bene e nel male, ormai credo di potermi considerare “uno del settore” perchè, nonostante i miei due soli anni di lavoro nell’ambito del buzz, ho potuto saggiare “con mano” oneri e onori di iniziative online per alcuni importanti player. Il mio punto di vista sull’incontro non è quindi forse quello del pubblico di riferimento di questo genere di appuntamento vuoi perchè i relatori per la gran parte mi erano già noti, vuoi perchè, rappresentando alcuni dei player più importanti, sono diventati nel corso del tempo, almeno per il sottoscritto, delle figure di riferimento dalle quali la mia crescita professionale risulta quasi imprescindibile (dopo questa ode ai relatori, avanzo un cocktail da ciascuno dei presenti ieri in sala).
Il mio giudizio quindi non può che essere di parte, non può non considerare la mia funzione e il mio ruolo (marginale) all’interno del panorama wom/buzz italiano. Fatta questa (doverosa) premessa, passo a raccontare quanto del summit ho trovato più interessante.
Prima la notizia buona o prima quella cattiva? Dato che il passaparola che nella rete si diffonde con più vigore è quello legato a esperienze negative, a criticità del prodotto/servizio, con un volo pindarico, parlo in primis di una sensazione che puntualmente mi assale dopo ogni incontro come quello del wom summit: l’autorefenzialità. Spesso infatti chi presenta una realtà, un servizio, una propria riflessione – parlo in generale, le eccezioni per fortuna non mancano – tende inconsciamente a portare acqua al proprio mulino. Ho notato come spesso piuttosto che offrire degli spunti di riflessione “neutri”, si tenda involontariamente a convincere il pubblico della bontà della propria realtà lavorativa – o della “non sufficienza” dell’operato dei competitor – quasi chi fosse con il microfono in mano diventesse improvvisamente non tanto un relatore quanto un vero proprio account. Nel caso del WOM SUMMIT poi questo fenomeno risultava forse ancora più evidente vista la mancanza pressochè totale – non solo tra i relatori – di “pareri altri”, di testimonianze diverse da quelle fornite da operatori/consulenti lato agenzia (peccato, in sala c’era una rappresentanza fiat e peroni…).
Nonostante questo però, l’incontro – a parte due interventi nel finale a mio giudizio non propriamente in tema e troppo “spot” – è risultato essere decisamente interessante: offrendo la possibilità di confrontare in una giornata diverse modalità di approccio e di confronto attorno al passaparola, sono molti i spunti degni di nota emersi. A ben guardare poi, nonostante i differenti player in campo – da hagakure a zzub, da promodigital a frozen frogs – i punti di contatto tra le diverse presentazioni non sono stati pochi e probabilmente possono essere riassunti in quello che ormai è un motto: ascoltare, interagire, coltivare relazioni.
Sarà il fatto che il confronto sul codice etico di attività di passaparola e sulla opportunità di certe operazioni sul cosiddetto web 2.0 su friendfeed era già iniziato prima del summit, sarà il “fascino dello straniero”, sta di fatto che probilmente l’intervento più coinvolgente è stato quello di Willem Sodderland di buzzer, capace di suggerire un paradigma creativo legate al passaparola, capace di coinvolgere direttamente il potenziale consumatore non solo nella prova del prodotto, ma nella creazione di una vera e propria conversazione attorno a un brand capace forse di rendere meno “commerciale” l’approccio.

La mia survey sulle attività social online

online_surveyNel precedente post ho presentato l’interessantissimo testo “L’onda anomala” sottolineando come forse l’unica pecca del libro fosse una mancanza di dati sulla realtà italiana. A questo punto mi sono detto: e se provassi a lanciare una survey? Niente di più semplice viste le ormai numerose risorse gratuite presenti in Rete. E così ho registrato un nuovo account su SurveyMonkey e ho riproposto due dei quesiti più interessanti emersi dalla lettura del manuale sul come interagire e collaborare con i consumtori ribelli firmato Li e Bernoff.

domanda 1: Quale di queste attività svolgi almeno una volta al mese?

domanda 2: Quanto ti fidi delle fonti di informazione relative a prodotti servizi?

La ricerca del 2007 di Forrester mostrava, nelle prime tre posizioni, in termini di percentuali, le seguenti attività:

Guardo video prodotti da altri utenti, 29%
Consulto forum o gruppi di discussione online, 28%
Visito siti di social network, 25%

Dai risultati della mia indagine (un sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito!), realizzata su un campione di 100 utenti italiani (quelli consentiti da un account free) e pubblicizzata su Twitter, FriendFeed e Facebook, fermo restando le scelte selezionabili – con la sola aggiunta di “uso friendfeed” – sono emersi alcuni fattori differenti.
In generale un maggiore coinvolgimento degli utenti attraverso gli strumenti a disposizione nel web (questo sicuramente è in parte anche dovuto alla particolare tipologia di target che abbiamo colpito, un campione che si è dimostrato essere molto avvezzo alle tecnologie della Rete). Da sottolineare il balzo in avanti legato alla maggiore partecipazione verso i social network in generale, e verso i blog e twitter in particolare. Ecco il podio emerso dall’indagine:

Visito siti di social network, 92%
Guardo video prodotti da altri utenti, 82%
Aggiorno/gestisco un profilo su un sito di social network, 81%

Circa l’altra domanda che si propone di comprendere, con l’avvento dell’era di Internet, quali siano le fonti che gli americani connessi alla Rete ritengono più fidate, più credibili, sempre mantenendo inalterate le risposte possibili, alla domanda “quanto ti fidi delle fonti di informazione relative a prodotti/servizi?” le prime tre posizioni della ricerca americana vedevano nell’ordine:

Opinione di un amico o di un conoscente che fa fruito del prodotto/servizio, 83%
Recensione del prodotto/servizio apparsa su un giornale, una rivista o in tv, 75%
Informazioni pubblicate sul sito del produttore, 69%

I risultati che ho registrato, rispetto alla ricerca di riferimento, sono abbastanza diversi.

Opinione di un amico o di un conoscente che fa fruito del prodotto/servizio, 92.8%
Recensione di un noto esperto, 74.2%
Informazioni pubblicate sul siti basati sulle opinioni degli utenti, 73.2%

Se infatti le opinioni di un amico/conoscente si confermano come “prima scelta” della stragrande maggioranza degli utenti, la credibilità di una recensione apparsa su un giornale, una rivista o in tv subisce un netto calo, passando da un 75% a un 35.7%, relegando tale spazio comunicativo in ultima posizione rispetto alle altre scelte disponibili.
Viceversa scalano posizioni le opzioni che vedono attivamente partecipi gli utenti: le recensioni di blogger passano così dal 30% al 67.4%, le opinioni delle community di utenti dal 50% al 73.2%.
Il Web 2.0 è insomma vivo più che mai ed è sempre più considerato dai potenziali consumatori il territorio primo nel quale reperire (e condividere) informazioni, opinioni, giudizi, una tappa ormai quasi obbligata per vagliare l’acquisto di un bene/servizio.

L’Onda anomala e il web partecipativo

L'onda anomalaPremessa: un sentito ringraziamento a Gianfranco Chicco per avermi dato modo di ricevere una copia de L’Onda anomala, Interagire e collaborare con i consumatori ribelli, versione italiana del celebre Winning in a word trasformed by social tecnhologies (di Li e Bernoff) che, nonostante i buoni propositi, avevo potuto leggere solo in parte.
Le prime pagine del testo dell’Harvard Business sono un vero crescendo: dagli aneddoti della “sfida” tra Digg e gli operatori dell’industria cinematografica attorno al formato HD-DVD al racconto del effetto Straisand, il primo capitolo è un susseguirsi di osservazioni che sottolineano come internet non sia una piccola isola lontana dal business e dalla realtà sociale, ma anzi come l’insieme degli utenti rappresenti ormai una vera e propria onda anomala, capace di utilizzare le tecnologie e i nuovi strumenti a disposizione nelle Rete per trovare (e generare) informazioni in maniera autonoma. Ma non solo. Online, conversando con altri utenti nelle community come nei social network, le persone ogni istante ridefiniscono – in base a ciò che scovano nel web – il significato che danno ai vari brand con i quali entrano ogni giorno in contatto. Così, ad esempio, una recensione non proprio positiva di un prodotto/servizio scritta da un blogger, può essere commentata dagli utenti, può venir ripresa nelle prime posizioni dai motori di ricerca, condivisa nei vari social network e quindi può (potenzialmente) essere diffusa a un numero di persone ampissimo. Per le aziende si rende quindi sempre più importante non solo l’ascolto delle dinamiche online ma anche la partecipazione attiva per interagire in maniera costruttiva con i potenziali consumatori e meglio gestire la propria presenza nel web (e magari entrare in contatto diretto con quei consumatori che si dimostrano fan accaniti del prodotto/servizio).
Il libro presenta molte interessanti case history, affrontando con dovizia di particolari i tre macro obiettivi che ogni strategia oggi dovrebbe seguire: ascoltare, parlare, mobilitare. Non mancano poi i suggerimenti (ad esempio l’ormai celebre processo POST) sul come una realtà possa maturare il proprio approccio con i consumatori che fruiscono dei nuovi media digitali. Un libro davvero interessante insomma, scritto in primis per responsabili marketing/comunicazione di aziende ma indicato anche a tutti coloro che, come il sottoscritto, lavorano nell’ottica di conversare con gli utenti e di coinvolgerli attorno a un nuovo prodotto/servizio.
L’unica pecca, forse, è quella che i dati presentati, pur interessanti, non fotografano la realtà italiana (ecco perchè alcune settimane fa avevo lanciato una survey…), della quale possiamo solo immaginare il grado reale di penetrazione della Rete. A ben vedere anche i dati relativi agli States non sono proprio recentissimi (2006/07) ma danno comunque l’idea dei trend e ai vari profili del/nel web e certo non minano la credibilità di un testo frutto di analisi e di interazioni con migliaia di clienti.