Chill, la tua fresca videobacheca

Continua il mio viaggio virtuale sulle piattaforme social che ruotano attorno a contenuti video. Dopo il post di alcune settimane fa su Socialcam e Viddy, oggi spendo due parole su Chill, la mia ultima scoperta sulla scia delle bacheche virtuali in stile Pinterest.
La homepage del sito è molto intuitiva e presenta un’anteprima dettagliata su quanto offerto del social network: la pagina mostra alcuni dei video più visualizzati (le visualizzazioni si devono intendere “interne” al social network) e commentati. Ogni utente può cliccare sul contenuto che lo attira di più (puntando sullo squalo che azzanna qualcosa non si sbaglia mai), vedere il contenuto e la categoria associate, i top video del momento e i related video. Da notare come, alla fine del video, compaia in automatico un conto alla rovescia che avvia il contenuto sucessivo (nel mio caso, Carp Attack).

Se invece si decide di accedere tramite il proprio profilo Facebook, scelti interessi, persone da coinvolgere nel proprio network, “caselle” con la quali organizzare i nostri contenuti, si può iniziare a lavorare sul proprio profilo. E’ infatti possibile personalizzare la propria pagina inserendo una frase rappresentativa piuttosto che immagine di “testata” (random tra quelle disponibili o da noi realizzata). E’ possibile inoltre seguire i profili a noi più affini, risegnalare i loro contenuti, commentarli o sintetizzare con emoticon cioè che pensiamo del video proposto.

Una della caratteristiche più interessanti è il cosiddetto Chill Stash che permette di mettere una sorta di “segnavideo” nel momento in cui, vedendo un particolare contenuto, restassimo comunque folgorati da quello che nella bacheca gli è poco distante senza però avere tempo e modo di vederne più di uno (basta cliccare, restando con il cursore sul video, la “C” in alto a sinistra). Tra l’altro la lista degli “stash” è pubblica per cui ognuno più visualizzare i video che ci siamo segnati ma che ancora non ci siamo gustati per intero.

Anche per Chill è possibile installare nel broswer un plug-in per rendere più semplice l’aggiornamento della bacheca e cariche così facilmente i propri video preferiti di YouTube, Vimeo, Vevo a Hulu (Chill supporto anche le dirette streaming di eventi su Ustream, Livestream…).

La startup di Los Angeles lo scorso agosto ha rinnovato la propria presenza online focalizzandosi sull’aggregazione di video invece di puntare su video visti da gruppi di utenti.

Chill, tra l’altro, è recentemente balzata agli onori delle cronache perché Scott Hurff, il fondatore della piattaforma di condivisione, ha raccolto in un’unica pagina oltre 100 video dedicati a Steve Jobs.

Il video continua ad essere il format in maggiore crescita del web trainato anche dal mobile (anche se al momento Chill non ha ancora lanciato una sua app), sarà interessante cogliere gli sviluppi della Rete anche in relazione alla fruizione dei contenuti video da parte degli utenti.

[update: Chill.com è si è nel corso degli anni trasformata da bacheca video in stile Pinterest a realtà che si occupa della distribuzione di contenuti quali film, commedie e serie ad episodi]

Havaianas European Tour @ Milan

Un po’ di tempo fa, ai primi caldi raggi di sole, quando avevo ormai deciso fosse arrivata la bella stagione, sono stato protagonista del tour europeo Havainas Origine Collection (ecco cosa scrivevo pochi giorni prima dell’incontro).

Dopo le dovute presentazioni, assegnate le espadrillas (le mie sono davvero originalissime e coloratissime), io e gli/le altri/e blogger invitati per l’occasione ci siamo inoltrati nella splendida cornice di Parco Sempione dove è stata a noi assegnata una piccola videocamera. Posizionati in cerchio, ad ognuno di noi è infatti stato chiesto a turno di “esibirsi” in una qualche acrobazia filmata dagli altri seduti ad “ammirare”, almeno per quanto riguarda il sottoscritto, l’impegno profuso più che il risultato finale. I diversi girati dalle differenti angolature sono stati poi montati in un bel video che con la tecnica Matrix Effect ha dato vita a un susseguirsi di frame davvero suggestivo, che permette all’occhio di chi guarda di girare intorno alla scena e vederla dai diversi occhi “elettronici” (non infierite sulla mia elasticità nel lanciare saltando, grazie).

Star del video le mitiche espradillas: semplici, adatte a qualsiasi situazione, leggere e resistenti all’acqua sono sinonimo per eccellenza dell’estate tutto l’anno. E quando il week-end nonostante il calendario si preannuncia piovoso non resta che immergersi nella pagina ufficiale di Havaianas, navigare nello store online o a individuare il rivenditore a noi più vicino.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=okAVZMWbLPA&w=440&h=360]

Tornando per un attimo all’evento, all’inizio lo confesso, ero un po’ preoccupato. Ma poi mi sono lasciato andare immaginandomi (già) sulla spiaggia e mi sono gustato la leggerezza che indossare le espadrillas porta sempre con sé. Complimenti per l’iniziativa e grazie ancora a Havaianas per avermi dato l’opportunità di partecipare, buona estate!

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Twitter campo di battaglia per la conquista del Trono di Spade

Il rapporto tra la tv, nella sua fruizione, e gli altri media mi ha sempre incuriosito (ne ho anche già scritto qui). Proprio l’altro giorno ho letto un articolo di eMarketer che, in estrema sintesi, porta alla ribalta dati molto interessanti rispetto al rapporto tra social media e mezzo televisivo. Secondo la ricerca citata nel pezzo e condotta da Horowitz Associates, un utente su cinque inizierebbe a guardare un particolare show dopo averne letto online dei feedback su blog e social network. Ennesima dimostrazione di come l’online influisca (eccome) anche sulla vita “reale”, sui nostri usi e costumi esterni alla Rete.

La scorsa settimana anch’io, nel mio piccolo, sono stato “cavia” di una sorta di esperimento crossmediale che ha unito una serie tv e il web. Per la prima puntata dell’attesa seconda stagione de Il Trono di Spade – la serie HBO tratta dai best seller di George R. R. Martin ormai diventata per molti appassionati, un fenomeno di culto – sono stato ospite, con altri/e blogger, di Sky Cinema per una divertente sfida a colpi di tweet. Appena arrivato mi è stata assegnata la spilla della mia fazione – i Baratheon, cervo incoronato nero in campo oro – e, con il mio piccolo team (pochi ma buoni), ho sfidato i “rivali” in gare di conoscenza della serie ma soprattutto di velocità (dei cosplay ispirati ai personaggi principali della serie leggevano delle domande, a noi il compito di utilizzare Twitter nel più breve tempo possibile per dare la risposta corretta indicando #tronodispade e quello della nostra casata, ecco un video che riassume la serata). Una volta partito l’episodio, invece, è stato divertente commentare, con anche gli altri spettatori, pressoché in tempo reale, quanto vedevamo sullo schermo (o, nel mio caso sentivamo, mi sono buttato sulle frasi epiche).

Una serata divertente (forse un po’ meno per i miei follower letteralmente inondati dai tweet, hihi) per una serie tv la cui seconda stagione – che mi dicono discostarsi un po’ dai romanzi di Martin – dopo la morte del finale del primo atto, mi incuriosisce molto (aspetto i draghi!): per quanto ancora riuscirà il giovane e crudele Joffrey a occupare l’ambito Trono di Spade?

Socialcam e Viddy, c’è vita (social) oltre YouTube

Il traffico video online è in vertiginoso aumento. Gli smartphone ormai offrono fotocamere molto sofisticate e il web propone molte semplici utility per editare con semplicità i propri contenuti. Due applicazioni, in particolare, sono nelle ultime settimane le più chiacchierate, entrambe paragonate, per quel che riguarda la parte video, a Istangram, l’applicazione foto-filtri di maggior successo recentemente acquisita da Facebook.

La prima app è Socialcam. Realizzato un video, gli si associa un titolo, la posizione, il livello di condivisione (pubblico o riservato al proprio network) e poi si passa ad editare il file scegliendo un tema e una musica di sottofondo (se il video lo si gira con l’applicazione è invece possibile scegliere anche un filtro). Fatto questo si scelgono i tag delle persone presenti nel video – e nella community di Socialcam – o i loro indirizzi mail per informarli della pubblicazione e i social network con i quali sincronizzare la diffusione del video. Proprio come Istangram, è possibile in ogni momento seguire il proprio profilo in termini di iscrizioni, iscritti, commenti e tag. E anche su Socialcam è possibile inserire nei commenti degli hashtag per organizzare al meglio i propri contenuti rendendoli più facilmente individuabili anche dagli altri utenti.

La seconda app che segnalo è salita agli onori delle cronache per aver attirato le attenzioni di Mark Zuckerberg (per ora solo come utente, ha caricato un video del proprio cagnolino dal titolo “baby beast” capace di raccogliere oltre 2500 like e oltre 300 commenti in un solo giorno, qualcuno vocifera si sia trattato di una sorta di “prova” in vista di una possibile acquisizione) e di altri personaggi dello start system (da Jay-Z a Biz Stone, da Shakira a Will Smith come investitori del progetto).

Anche in questo caso si tratta di condividere video, per ora solo della durata di masssimo 15 secondi (nel caso il video fosse più lungo se ne può scegliere solo una parte). E forse proprio per questo Viddy mi attira di più, è più semplice condividere e vedere i video altrui (per default si segue un utente chiamato JJ Aguhob seguito da oltre 15 milioni di utenti!).

Scelto il video si possono inserire degli effetti e musica facendo il download, gratuito o a pagamento passando dal marketplace. Nel caso invece lo si voglia girare mediate la app, tramite le opzione avanzate si possono regolare il focus, l’esposizione, bilanciare il bianco, settare il microfono, inserire il timer e modificare il formato del video (4:3 o 16:9).

Il funzionamento di Viddy non è molto dissimile da quello di Socialcam ma la applicazione mi pare decisamente più curata, più semplice, più “professionale”, con un’interfaccia più immediata che permette subito di vedere i video più popolari e quelli appena caricati (mi sono esaltato guardando “Flair on a curb”, il video di un ragazzo che fa una capriola su se stesso con un monopattino) e con una community più attiva. Tra l’altro ho notato come, tra i vari filtri da applicare al video, ci sia anche un Linkin Park Bundle, un bel modo che la band ha scelto per coinvolgere i proprio utenti permettendo loro di personalizzare i propri video con la grafica.

Luci spente, silenzio in sala, ho come l’impressione che questo sia solo l’inizio di un’altra piccola grande rivoluzione che porterà chiunque ad avere (almeno) i suoi 15 secondi di celebrità.

E’ ufficiale, sono Draw Something addicted

In questi giorni la app più chiacchierata è, probabilmente, Istangram la cui versione ora anche per Android sta facendo registrare un notevole tamtam tra i possessori di smartphone. Io personalmente, da snob con iPhone, in realtà mi sono lasciato conquistare da un’altra applicazione: Draw Something.

In estrema sintesi è una app che ripropone in chiave mobile Pictionary: si sceglie una parola, la si interpreta con un disegno e poi si sfida un utente che in base a 12 caratteri da scegliere dovrà indovinare ciò che si è disegnato. Più siamo bravi – a disegnare e a indovinare – più monetine totalizziamo: questo denaro virtuale può essere utilizzato per acquistare nuovi colori o delle “bombe” che permettono di aiutarci a elidere le lettere non legate alla parola da scoprire.

Il gioco ha fatto della sua semplicità di utilizzo – anche per chi non conosce così bene l’inglese – la sua forza tanto che i milioni di download (50 milioni di download in 50 giorni!) hanno saputo attirare le attenzioni del colosso Zynga che con una velocità incredibile ha acquisito OMGPOP per una cifra intorno ai 200 milioni di dollari.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=EjF9rM_8KiI&w=440&h=360]

La prima release del gioco in realtà nasce in flash per desktop – chiamata Draw My Thing, con un timer e una pennina virtuale – ma proprio la versione per device touchscreen ha saputo fare le fortuna della casa di New York (tra l’altro pare che uno degli sviluppatori, Shay Pierce, creatore di Connectrode, si sia rifiutato di passare dalla parte del “diavolo” come lui stesso ha definito il colosso di San Francisco).

Draw Something mi piace un sacco, sto stressando tutti, lo trovo un passatempo intuitivo ed intelligente con il quale sfidare i propri amici (esiste una versione free con pubblicità e una viceversa una a pagamento senza adv). Da visitare la pagina Facebook dedicata all’applicazione che mostra dei disegni incredibili, quasi troppo ben fatti per essere veri (qui sopra un mio modesto Elvis Aaron).
Buon divertimento, mi raccomando non scrivete, limitatevi a disegnare!

[update: aggiornando la app alla versione 1.5.14 i disegni si potranno commentare, salvare, condividere]

Social Media ROI, la mia recensione

Sono convinto che misurare il ROI dei social media sia una sfida difficilissima e forse, alla fine, nemmeno così costruttiva se banalmente si tenta di trasferire online una formula utilizzata in un contesto del tutto differente.
Ecco perché quando ho sentito della pubblicazione di Social Media ROI di Vincenzo Cosenza ho dapprima scaricato l’anteprima in pdf e poi ho acquistato il testo, curioso di conoscere il punto di vista di una di quelle persone le cui analisi e osservazioni seguo sempre con molto interesse.

Dopo una bella panoramica sul perché ogni azienda non possa oggi permettersi di ignorare la Rete, il libro entra nel vivo e inizia a presentare un programma di misurazione che consente il passaggio da una sperimentazione legata alla novità degli strumenti quali Facebook, Twitter, Flickr, LinkedIn, all’integrazione di questi nella strategia con la quale affrontare il mercato.

E qui sorge il primo problema: l’idea che Internet sia il più misurabile dei media – come ricordato dall’autore – finisce per essere una sorta di dogma da prendere per vero vista l’assenza di metriche accettate in maniera diffusa con le quali stabilire il successo o meno di attività di marketing.

Un’evoluzione, ad essere sinceri, c’è comunque stata: dalle impression, si è passati ai click e ora con l’assumere di sempre maggiore importanza del mondo social è emersa l’esigenza di parametri di valutazione differenti, focalizzati in maniera più precisa sulle caratteristiche di tali strumenti e sul tipo di interazioni che consentono agli utenti.

Diventa allora importante porsi sin dall’inizio degli obiettivi ai quali associare dei KPI (key performance indicators) per poter così iniziare a rendersi conto dei progressi realizzati nell’utilizzo di strumenti social che si è deciso di presidiare.

Uno degli aspetti che ho più apprezzato del libro è il continuo insistere sull’adozione di un modus operandi che preveda l’ascolto, la successiva pianificazione e poi, ad ogni singola azione, la misurazione di ciò che da essa è scaturito e la cui analisi finirà con l’influenzare gli step successivi.

Questo credo sia il punto centrale per il quale il testo vada letto. Al di là delle tante informazioni, delle tante metriche, dei tanti strumenti di analisi e di comunicazione analizzati.

Anche perché, d’altra parte, come lo stesso Vincenzo specifica, se possiamo dare per scontato che ogni azienda opera – perdonate la brutalità – per vendere di più, è altrettanto vero che non tutte le attività realizzate attraverso i social media devono essere misurate in termini di ritorno finanziario sull’investimento.

Il libro quindi, a ben vedere, nonostante il titolo ammiccante, non cade nel tranello di dare per scontato nulla ma anzi offre al lettore – dover aver presentato diverse chiavi di lettura – quella che rappresenta per tutti gli addetti ai lavori una sfida non da poco: la misurazione.

L’altro punto focale, a mio modo di vedere, che deriva da un metodo di lavoro improntato sulla misurazione di ogni singolo aspetto della propria presenza online è il rendersi conto di come il mondo del social non sia un’entità a sé rispetto alle dinamiche e ai modelli di gestione di un’azienda e di come questo “nuovo mondo” non rappresenti una minaccia ma un’opportunità. E che quindi, proprio per questi motivi, vada non solo accettato ma programmato con l’adozione, ad esempio, di un modello organizzativo ben preciso, di una social media policy e un programma di formazione multilivello.

Un libro davvero ricco di suggerimenti, analisi, esempi per capire come misurare la propria attività online e ottimizzarne la gestione, consigliatissimo.

L’unico piccolo neo risulta, a voler cercare l’ago nel pagliaio, è forse il prezzo di copertina: non ho avuto modo di acquistare il testo in versione ebook (da quanto ho capito molto più conveniente), il costo del libro in cartaceo mi pare elevato non tanto per i contenuti presentanti (ripeto: moltissimi gli spunti, davvero complimenti per il lavoro fatto) ma in relazione a un mondo, quello dell’online nel generale, dei social network in particolare, in continua evoluzione che rischia di far invecchiare rapidamente qualsiasi testo sull’argomento.

Fopping.com, l’e-commerce si veste di social…

Non chiedetemi come ma non molto tempo fa mi sono imbattuto in un marketplace indiano davvero particolare. Si tratta di Fopping.com uno shop online a suo modo geniale. Perché? Offre agli utenti capi di abbigliamento, calzature e accessori a prezzi competitivi con la possibilità di ulteriori ribassi: basta, una volta selezionato ciò che ci interessa, condividere il link al prodotto su Facebook o Twitter guadagnando così dei Fopps, monete virtuali da utilizzare per ottenere un prezzo ancora più conveniente. Visibilità nei canali social in cambio di sconti che, per alcuni prodotti (pochi per la verità), possono anche arrivare sino al 50% della cifra inizialmente proposta (tra l’altro proprio a fine mese si concluderà all’interno di Fopping.com un contest che mette in palio un’Harley 883 per chi arrivi ad accumulare almeno 15.000 Fopps).

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=hzrOXb8aUbI&w=440&h=360]

L’idea alla base del servizio mi pare ottima (anche se, per esempio, una volta ottenuto lo sconto ho cancellato il tweet con il quale avevo condiviso il prodotto di mio interesse pur conservando i Fopps) e potrebbe rappresentare una sorta di avanguardia per quel che concerne il cosiddetto social commerce, acquisti in un ambiente che permette di interagire direttamente o indirettamente con il proprio network ottenendo magari anche quale beneficio. Il futuro è già qui?

Havaianas reinventa le espadrillas, parte 1

Sono sempre stato un fan delle calzature senza lacci, soprattutto d’estate. Ecco perché, con l’avvicinarsi della bella stagione non vedo l’ora di tornare a calzare quelle che nel mio immaginario sono le scarpe(tte) per eccellenza dell’estate: le espadrillas. Le ho sempre adorate: colorate, semplici, leggere, molto anni ’80, pare che i mocassini in tela dalla suola a corda siano di origine antichissima, tanto amate da essere tra le primissime richieste che sin dal 1800 degli emigrati stabilitisi in America Latina facevano pervenire ai loro cari ancora nel Vecchio Continente.

Per il lancio della nuova collezione, Havaianas – brand noto al pubblico per infradito e espadrillas – ha organizzato una serie di eventi in giro per l’Europa con lo scopo di dimostrare quanto questo tipo di calzature si adattino a qualunque situazione e come, indossandole, in qualche modo possa essere estate tutto l’anno.

Oneri e onori per il sottoscritto che è stato invitato (per le mie performance precedenti?) all’appuntamento di Havainas di Milano: mi sono subito attivato nei canali social per reclutare volenterosi/e che mi accompagnassero alla sessione fotografica che si terrà nella splendida cornice di Parco Sempione nella tarda mattina del prossimo venerdì 9 marzo. Ringrazio sin da ora le ragazze (Elesole e Margotta) che hanno deciso di assecondarmi, ora torno a pensare all’outfit “folle” che dovrò scegliere per la giornata e all’oggetto rappresentativo della mia personalità. Stay tuned!

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Pinterest + Instagram = Pingram

La pinterestmania continua a diffondersi tanto che non solo, come ho scritto alcune settimane fa, iniziano a comparire i primi cloni del servizio ma c’è anche qualcuno che trova il modo di utilizzare un social network ripensandolo proprio sulla base dell’organizzazione tipica di Pinterest. Si tratta di Pingram progetto – ancora in fase beta – di Gennaro Varriale che unisce Pinterest con Istangram. Come? Pingram cattura i feed da Instagram (i propri , quelli del proprio network, quelli delle foto più popolari) e li propone esattamente come in una bacheca di Pinterest. Al momento l’interazione con i contenuti non è possibile, non si può commentare né gestire le varie immagini sistemandole in diverse “cartelle” (potrebbe essere carina l’idea di utilizzare eventuali tag per gestire in maniera automatica la “profilazione” delle foto). Si può solo utilizzare il tasto Pin it per ripubblicarle nel proprio profilo Pinterest. La navigazione delle immagini però risulta semplice e anche gli eventuali commenti risaltano maggiormente. Sarà interessante seguire gli sviluppi del progetto per capire come saranno affrontati gli aspetti legati al copyright.

Di pochi giorni fa la notizia che Flickr ha disabilitato dal sito la funzione di pinning per le immagini coperte da copyright, come reagirà Instagram all’accesso ai profili dei propri utenti da parte di un sito esterno quale Pingram?

Il tema del copyright è di assoluto rilievo. Come ha fatto giustamente notare Kirsten – appassionata di fotografia e avvocato – nelle condizioni di utilizzo di Pinterest si specifica che le responsabilità dei pin/repin è ad esclusivo carico degli utenti che dovrebbero in linea teorica ottenere l’esplicito permesso dal creatore dell’immagine/del video prima di fare il pin. Questo significa che se un utente caricasse illegalmente qualcosa sulla propria bacheca e per questo dovesse risponderne per vie legali, dovrebbe non solo pagare un proprio avvocato ma saldare anche le spese degli avvocati del servizio. Pin it.

PeerIndex, Klout e autorevolezza online…

PeerIndex è uno strumento con il quale misurare il proprio livello di autorevolezza online. Il sistema parte da un assunto molto semplice: non ci può essere autorevolezza senza un pubblico recettivo. E questo lo è nel momento in cui non si limita solo ad ascoltare ma partecipa attivamente alla discussione. Il punteggio di PeerIndex – che va da 1 a 100 – è quindi una sorta di metrica per misurare l’attenzione delle persone che ci seguono.

I parametri alla base del numero assegnato al nostro profilo sono tre: authority, audience, activity:

Authority is the measure of trust; calculating how much others rely on your recommendations and opinion in general and on particular topics […]

Your Audience Score is a normalised indication of your reach taking into account the relative size of your audience to the size of the audiences of others […]

Your Activity Score is the measure of how much you do that is related to the topic communities you are part of […]

Il numero assegnato al mio profilo Twitter è 36 esattamente lo stesso di Klout, altro strumento utilizzato per tentare di valutare il proprio livello di autorevolezza online. Quest’ultimo permette di valutare non solo il canale Twitter ma anche il proprio profilo Facebook, Google+, LinkedIn e Foursquare (si possono connettere anche altri profili social ma che al momento non influenzano il punteggio finale).

Klout ha realizzato una matrice – chiamata appunto Klout’s Influence Matrix – associando dei parametri (sharing, creating, broad, focused, consistent, casual, listening, partecipating) tramite i quali identificare 16 diversi profili di utenti (il mio profilo viene posizionato nel mezzo, leggermente in basso a destra rispetto al centro, come socializer).

Di tale lista – decisamente complessa – ne è stata proposta una versione semplificata che con soli cinque profili riesce a mio avviso nell’intento di proporre un valido modello.

Gli utenti si potrebbero infatti dividere in:

  • The networker (social butterfly): colui che possiede la più grande lista di contatti, conosce tutti e tutti lo conoscono;
  • The opinion leader (thought leader): il più ricercato dai brand, è noto per la sua autorevolezza e credibilità;
  • The discoverer (trendsetter): è il primo ad utilizzare un nuovo strumento, costantemente alla ricerca di nuovi trend da anticipare;
  • The sharer (reporter): distribuisce le notizie amplificando i messaggi più rilevanti;
  • The user (everyday customer): rappresenta il consumatore standard, non possiede un network molto ampio.

Personalmente mi sento vicino al profilo reporter (visto anche il mio alto numero di re-tweet) ma, diciamo così, con ambizioni a quello di trendsetter, almeno per quanto riguardo il mondo dei social media.

Forse però prima di tutte queste considerazioni, bisognerebbe mettersi d’accordo sulla definizione stessa di “influenza/autorevolezza” che certo non va confusa con, ad esempio, la popolarità di un personaggio. Un spunto di riflessione molto interessante è l’articolo When Bieber tops the list, is influence dead? nel quale vengono paragonati Bieber, Obama e Amstrong, personaggi molto diversi e con differenti livelli di popolarità e di influenza.

La vera sfida non risiede nel leggere i feedback dei strumenti quali Klout e PeerIndex ma nel saper leggere, nel saper interpretare correttamente il valore che ci consegnano.

[update: ho trovato altri due strumenti per misurare l’autorevolezza online tramite il proprio profilo Twitter: TweetLevel e Twitter Reach]