Il fenomeno Facebook, dal libro alle sale

Appena saputo dell’uscita anche in Italia del film The Social Network sono corso in libreria ad acquistare il testo di Ben Mezrich alla base della pellicola. Si tratta di Miliardari per caso opera che tenta di ricostruire la genesi di Facebook, dalla stanzetta di uno studentato ad Harvard al successo planetario di una piattaforma – quella ideata da Mark Zuckerberg – che ha cambiato il concetto stesso di Internet. Il libro è una lettura appassionante (finito in poco più di una settimana), una via di mezzo tra una biografia non autorizzata, un romanzo di appendice e un favola che racconta la consacrazione di Mark a un nuovo eroe “digitale”. Una storia che in poche pagine affronta – con un ritmo incalzante – temi quali amicizia, ambizione, genio, sregolatezza, invidia, tradimento e successo, sintetizzando perfettamente molti dei “lati” che contraddistinguono i nostri comportamenti sociali e quindi, in ultimo analisi, noi stessi.
Per capire da dove nasca la rivoluzione forse occorre però fare un passo indietro e spendere due parole sull’organizzazione della vita dei college: al mattino gli studenti seguono le lezioni (il percorso di studi può variare moltissimo da studente a studente, difficile conoscere tutti i compagni dei diversi corsi) e, una volta terminate le lezioni, possono tornare nei loro alloggi, vedersi con gli amici o partecipare agli eventi che offrono i vari “circoli” dei quali fanno parte, gruppi di studenti i più famosi dei quali molto esclusivi (i membri vengono selezionati con “cura” e devono poi superare varie prove per essere ammessi in maniera definitiva) che garantiscono agli “associati” feste, ragazze, fama e aiuto in caso di bisogno. Ma perché non dare a tutti la possibilità di conoscere con immediatezza le persone con le quali si entra in contatto, condividendo con loro i propri gusti, piuttosto che il proprio stato sentimentale, semplificando così di molto la costruzione di una rete sociale e sintetizzandola in un click? Fine dell’oligarchia.
Il libro racconta tutto questo attraverso l’epopea di Zuckerberg che, da nerd in felpa a cappuccio e infradito si trasforma nel CEO di una delle più grosse società del web diventando, nel giro di pochissimi anni, il più giovane miliardario del pianeta.
La versione cinematografica prende spunto dal libro ma in parte trasforma le vicende adattandole al linguaggio tipico dei film: rispetto al testo si punta quasi esclusivamente sulla figura di Mark (Mark vs resto del mondo potrebbe essere il sottotitolo della pellicola) e sul suo egoismo che lo identifica come un ragazzo scaltro quanto “stronzo”. E solo, quasi incapace di mantenere dei rapporti con le altre persone (pare sentirsi a proprio agio solo di fronte allo schermo di un computer). Un ragazzo al quale forse viene chiesto di crescere troppo in fretta ma verso il quale però non si può non provare – almeno guardando il film – simpatia e tenerezza.
Libro e film mi sono entrambi piaciuti ma se dovessi fare il gioco della Torre, sceglierei il testo rispetto alla pellicola, più verosimile (e forse per questo meno “leggero”) e maggiormente in grado di dare un’idea di come siano andate le cose (anche se, non esseondo un ricostruzione ufficiale, molti punti restano al meno in parte oscuri). Attori comunque bravi a calarsi nei diversi ruoli, regia – quella di David Fincher – e sceneggiatura – di Aaron Sorkin – che sono una garanzia e musiche di Trent Raznor che fanno da sfondo a una pellicola che ripercorre, con simpatia (strizzando l’occhio al mondo teen), i retroscena della nascita di Facebook, ormai sdoganato a “fenomeno di massa”.

Il segreto dei suoi occhi: mille passati, nessun futuro

Il segreto dei suoi occhi è il film che, a sorpresa, è riuscito ad aggiudicarsi la statuetta di miglior pellicola straniera agli Oscar 2010. Girata tra Argentina e Spagna l’opera segna il ritorno nei cinema di Juan José Campanella che, prendendo spunto dall’omonimo libro di Eduardo Sacheri, racconta le vite di un gruppo di persone tra loro accumunate dall’essere entrati in contatto – chi direttamente, chi indirettamente – con il brutale omicidio di una giovane donna.
A ben vedere però i veri protagonisti del film sono da un lato le passioni, dall’altro gli occhi. Le prime governano il nostro agire, sono pulsioni che ci trascinano e che non possiamo costringere in un angolo, fonte di entusiasmo, di bramosia, di dolore e quindi, in sintesi, sinonimo di vita.
I secondi, invece, non rappresentano solo lo “strumento” con il quale noi guardiamo il mondo ma sono lo specchio di come il mondo ci vede, “parlano” di noi ai nostri interlocutori che tramite i nostri occhi riescono a farsi un’idea della nostra indole e del nostro stato d’animo.
Il film diventa allora una sorta di “parata” di sguardi: rabbia, delusione, malinconia, rassegnazione, paura, desiderio, sofferenza, curiosità, stupore sino agli occhi spenti della morte, la pellicola mostra le diverse facce dei personaggi in un intrico di occhi che rapprensentano un arcobaleno di stati d’animo differenti.
Il segreto dei suoi occhi – a metà strada tra drammatico e thriller – è un film forse dal ritmo a tratti un po’ lento ma comunque di piacevole visione, con attori bravi a interpretare i ruoli loro assegnati, una regia essenziale e un filo narrativo via via sempre meno cupo.

La pecora nera, il manicomio raccontato attraverso gli occhi di un bambino

La pecora nera di Ascanio Celestini – libro, spettacolo radiofonico e poi anche piece teatrale – è un film drammatico che racconta la vita di un bambino che, per vicissitudini varie, si trova a crescere in un manicomio della periferia romana a cavallo tra gli anni (i favolosi anni) Sessanta e Settanta. Un ragazzino che, a ben guardare, forse non matura mai, restando nella sua piccola sfera di cristallo fatta di cantilene, amici immaginari e confortanti ritualità. Un bambino fragile la cui unica colpa, probabilmente, è di venir considerato, come recita il titolo, la pecora nera, il capro espiatorio sul quale abbattere i fallimenti di una famiglia dissestata.
Per scappare da un vita di emerginazione e incomprensione non resta allora che affidarsi alle “istituzioni” e, nello specifico, a quel (non)luogo chiamato manicomio, un rifugio ospitale popolato da ombre che vagano urlando per i corridoi e che, con un po’ di immaginazione, possono essere visti come “santi”, innocui vittime della a-normalità che li discrimina.
Un incontro però può cambiare tutto e, dal passato, risveglia nostalgie e rimpianti repressi, incontrollabili pulsioni verso una vita che avrebbe potuto essere ma che invece non è stata. E che, dopo quella sorta di miraggio, torna triste e sola.
Io che t’ho fatto ti disfo, come ti faccio ti disfo. Pio pio pio…

 

Inception, quando il parassita più resistente è un’idea

Sarà per il fatto che da un po’ di tempo non andavo al cinema, sarà perchè l’ho visto in lingua originale (con sottotitoli in italiano), sarà che non avevo alcuna particolare aspettativa, sta di fatto che il nuovo film di Christopher Nolan, Inception, mi è piaciuto davvero molto.
Protagonista del film è Dom Cobb, interpretato da Leonardo DiCaprio, un giovane specializzato nel ricavare informazioni “riservate” attraverso una tecnica che consiste nel entrare nel sogno di un individuo e, dall’interno, scavare nel suo subsconscio.
Il mondo narrato dalla pellicola è quindi quello onirico della mente che, mentre si è addormentati, risulta tuttaltro che sopita e anzi più che mai attiva nel creare ambientazioni artificiali nelle quali dare sfogo a ricordi passati, aspirazioni o surreali fantasie. Un luogo di infinite possibilità ma che un luogo vulnerabile, nel quale, se non si è abiuati alla difesa dei propri segreti, può diventare terra di conquista per esperti manipolatori capaci, agendo nei meandri più profondi della mente, di scavare nelle zone più intime del nostro essere.
Un altro filo conduttore di Inception è il parralellismo tra sogni come aspirazioni della vita e sogni come periodi nei quali, chiudendo gli occhi e liberandoci delle nostre corazze, lasciamo libero sfogo all’immaginazione: la realtà che insegue i sogni, i sogni che seguono la realtà, la realtà come prigione (o rifugio), il sogno come prigione (o rifugio), difficile alle volte individuare la sottile linea che separa questi due mondi (in questo senso la pellicola mi ha in parte ricordato Atto di Forza).
Un film davvero ben riuscito, dal ritmo mai lento, un thriller fantascientifico nel quale la tensione non si abbassa mai nel corso degli oltre 140 minuti della pellicola, degli effetti speciali ben realizzati ma mai eccessivi.
Una storia – quella scritta dalla stesso Nolan – che unisce sogni, frustazioni, sfide impossibili, sentimenti, in un mix per il quale il regista inglese, dopo il successo de Il Cavaliere Oscuro, conferma di essere uno degli artisti del cinema più interessanti da seguire.

Mamma mia che musical

Lo confesso: quando ho avuto in mano i biglietti per Mamma mia! il nuovo musical in questi giorni al Teatro Nazionale, ero spaventato. Mi preoccupava l’idea di assistere a uno dei musical più acclamati a livello internazionale – andato in scena in più di 200 città e già visto da 40 milioni di persone – con le musiche degli ABBA tradotte in italiano. Temevo insomma che sull’onda del successo dell’omonimo film con Meryl Streep, si proponesse nel nostro paese la brutta copia di una commedia che, nonostante non avessi mai visto, mi ha sempre destato, se non altro per la simpatia che provo per il gruppo svedese, una notevole curiosità.
Sono felice di dire invece che la serata a teatro non è invece stata così traumatica, anzi. Certo, le musiche degli ABBA in versione originale rimangono inarrivabili, ma devo riconoscere che l’adattamento italiano risulta tutto sommato gradevole (complimenti a Stefano D’orazio dei Pooh e Alice Mistroni).
Il musical, si sa, bandisce i tempi morti e, generalmente, trascina lo spettatore con canti e balli: merito al cast tutto italiano che ha reso bene la storia facendo divertire me e il pubblico con coreografie sempre molto ben studiate. La storia vede come protagoniste Donna e Sophie, madre e figlia. Alla vigilia del matrimonio, la giovane Sophie, non conoscendo il padre, prepara, ad insaputa della madre, una sorta di “carrambata” invitando tre dei suoi amori giovanili nel tentativo di capire se tra loro si possa nascondere il genitore che da una vita spera di conoscere. E così il matrimonio si trasforma in una sorta di rimpatriata scandita dal tempo che inesorabilmente passa, dall’amore – passato e presente – e della nostalgia.
Una serata particolare, leggera, allegra e coinvolgente (alla fine non si può non applaudire e lasciarsi trascinare dalle note di Dancing Queen), un sentito ringraziamento a Glamour per avermi dato la possibilità di assistere in anteprima allo spettacolo.

Evento Sony United, il 3D che non ti aspetti

Il 16 settembre scorso ho avuto modo di partecipare all’evento Sony United, appuntamento riservato alla presentazione delle più succose novità del gruppo Sony.
Ques’anno gran parte dei lanci della casa giapponese saranno legati al mondo del 3D sul quale ormai quasi tutte le aziende legate alla sfera dell’entertainment sembrano aver puntato.
Ho così potuto ammirare – e, quando possibile, toccare con mano – i nuovi televisori Bravia, le fotocamere compatte con le quali realizzare foto (anche panoramiche) in 3D, il nuovo controller Playstation Move, gli occhialini per gustarsi appieno i titoli 3D stereoscopici e gli ebook Sony.
Due le cose che mi hanno colpito maggiormente. Da una parte sono rimasto assolutamente sconvolto da quella che all’apparenza sembrava una semplice foto sfocata ma che invece, una volta indossati gli occhialini, si è dimostrato essere uno scatto nel quale la tridimensionalità era resa perfettamente: si trattava della foto di una sorta di chiostro nella quale gli archi e tutti gli altri componenti architettoci, con gli occhiali 3D, davano all’immagine una profondità e un realismo incredibile.
La seconda novità che mi ha impressionato è la visione – in anteprima – del titolo di prossima uscita (si parla del gennaio 2011) Mondiali Fifa sudafrica 2010: anche in questo caso il blu-ray unito al 3D riesce a stupire per la sequenza di immagini – montate, con un lavorone, dalle riprese di 7 coppie di camere professionali Sony – nella quale tutto è talmente reale da spingere quasi ad allungare le mani per “toccare” quanto si vede. Nei movimenti veloci forse l’occhio ha bisogno di un po’ di tempo per abituarsi alla visione 3D, ma quando c’è qualcosa di pressochè statico – ad esempio quando Puyol alza la Coppa portato in trionfo dai compagni – tutto, compreso quello che di solito è il semplice “sfondo” degli spalti, sembra essere vivo, non una mera riproduzione visiva.
Anche guardando un altro filmato legato al mondo del mare – Oceani, ndr – ho potuto ammirare appieno la “potenza” del 3D: quando un branco di pesci o una anguilla ha puntato verso me spettatore, ho avuto la netta sensazione che qualcosa uscisse dallo schermo e si frapponesse tra me la tv.
La sezione “game” invece non mi ha riservato grandi soprese. Da possessore di Wii, Playstation Move non mi ha detto poi molto. E sinceramente, anche il gioco di tennis proposto in 3D – Virtual Tennis 4 – e lo sparatutto – Socom 4 se non ricordo male – giocato con il nuovo controller (si può davvero giocare “seriamente” uno sparattutto con il Move?!?) non mi hanno poi esaltato più di tanto. Diverso il discorso per la “demo” di Gran Turismo 5, in cui il 3D rende ancora più coinvolgente – ammesso che ce ne sia davvero il bisogno – il titolo (e la perenne fila per provare il simulatore non ha lasciato dubbi sulla bontà del connubio gt5+3D).
Un bell’appuntamento insomma, semplice quanto interessante. Per chiudere, un doveroso ringraziamento a Sony per avermi dato l’opportunità di partecipare all’iniziativa.

Da qualche parte tra finzione e realtà

Somewhere di Sofia Coppola è un film che, almeno secondo il mio punto di vista, ha molto di autobiografico. Al centro della pellicola infatti c’è il rapporto tra un padre, divo del cinema, e la figlia undicenne. Una relazione particolare la loro: pur non vedendosi spesso dimostrano una notevole affinità che sottende un forte affetto nonostante la distanza che li separa per gran parte dell’anno. Ma è l’inzio dell’estate, la stagione perfetta per sognare un futuro insieme lontani dai problemi. Il film, come del resto già visto nel bellissimo Lost in traslation, gioca soprattutto sulle vite antitetiche dei due personaggi principali: Johnny Marco, attore rubacuori chiuso nella sua gabbia dorata di Los Angeles, e la figlia Cleo, icona dell’innocenza e dei più giusti sentimenti. E’ da questo loro non preventivato confronto che nasce la cornice poetica nella quale, su uno sfondo “edipico”, si dipana la vicenza narrata da Sofia Coppola con la consueta delicatezza poetica. A tratti sembra quasi di vedere in Johnny il volto di Peter Pan tanto la sua vita appare sregolata, ricca di vizi e persone ma in fondo solitaria e priva di felicità. Cleo quindi, non solo rappresenta il bene, la purezza e l’incanto della gioventù, ma diventa anche lo specchio nel quale il padre realizza il suo malessere e il suo vivere “somewhere” in un luogo indefinito sospeso tra la realtà e la finzione del cinema, un posto deserto e malinconico.
Il film – Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia – nel suo complesso mi è piaciuto, anche se lo considero uno scalino più sotto di Lost in traslation, forse in virtù di un’eccessiva lentezza in alcuni tratti (anche le scene in Italia non mi hanno esaltato…). Una menzione particolare la merita Elle Fanning, di una bellezza e di una dolcezza che non possono lasciare indifferenti.

Fiori per Algernon… e anche per Charlie

Non mi capita spesso di “divorare” libri in quattro giorni, di venir preso tantamente tanto dalla voglia di conoscere gli sviluppi di una storia da non riuscire a staccarmi dalle pagine di un romanzo. Fiori per Algernon di Daniel Keyes è uno di quei testi, uno di quei libri che mi ha rapito e trascinato. La storia vede per protagonista Charlie Gordon, un ragazzo “difficile”, deriso e abbandonato dai suoi stessi genitori per via delle sue difficoltà cognitive e per la sua scarsa memoria. Un’operazione però cambia tutto e consente in poco tempo a ridicolo Charlie di triplicare il quoziente di intelligenza e di superare tutti in arguzia e conoscenza. Suo alter-ego al laboratorio è Algernon, un piccolo roditore sottoposto come Charlie a un esperimento che lo ho reso abilissimo nei labirinti con i quali viene messa alla prova la sua intelligenza. La sete di sapere di Charlie cresce velocemente, i progressi nella scrittura e nella lettura veloce sono sbalorditivi, persino l’espressione del suo volto si modifica con il trascorrere dei giorni che seguono l’intervento. Di pari passo cambia però anche la percezione che egli stesso ha nei propri confronti e in riferimento a coloro che sino ad allora lo hanno circondato. Il passato, con l’aumentare dell’intelligenza, pian piano riaffiora: Charlie rielabora così tutti gli anni sino ad allora trascorsi lottando con i fantasmi di una vita dura, povera negli gioie e negli affetti. In lui inoltre, con passare dei giorni, l’apprezzamento nei confronti di coloro che lo hanno reso (finalmente) intelligente muta in disprezzo per uomini che in lui vedono solo una cavia o un trofeo e non un individuo degno di rispetto, nonostante tutto, anche prima dell’intervento.
Come cambierà il carattere di Charlie? Riuscirà la sola intelligenza a colmare la fragilità emotiva del ragazzo? Quale sarà il prezzo da pagare per essere diventato in pochissimo tempo uno degli uomini più intelligenti al mondo?
Un libro davvero bello, scritto nel 1959 ma ancora fresco e capace di coinvolgere, giustamente considerato da molti uno dei più bei racconti brevi di fantascenza.

p.s.= l’episodio HOMR della stagione 11 dei Simpson, con protagonista Homer, si ispira proprio a Fiori per Algernon

Pura pelle rossonera

Con la chiusura del calcio mercato, visti gli ultimi due acquisti e il roboante esordio in campionato, i tifosi del Milan come il sottoscritto possono tornare a sognare di combattare alla pari con le big d’Europa per la conquista dei trofei più ambiti tentando di rispondere ai successi dei “cugini” neroazzurri. Grazie ad Adidas da ieri anch’io ora possiedo un mio feticcio da utilizzare in maniera scaramantica ogni volta che avrò modo di vedere le partite dei ragazzi di Allegri: la maglia dell’AC Milan stagione 2010-11 (eccola qui). Le differenze, rispetto alla edizione dello scorso anno – come si può facilmente intuire dall’immagine “comparativa” che ho velocemente realizzato – non sono poche. Oltre alla scritta del nuovo sponsor, la diversità più evidente è quella delle strisce, trasformatesi in bande nelle nuove t-shirt. Il simbolo Adidas è spostato sulla destra non più al centro e anche nelle maniche si conserva l’alternanza rossonera. Sparito il colletto bianco, la nuova maglia mostra, nella parte interna, un bel logo AC MILAN 1899 tu sei la mia vita e in quella esterna il un sottile tricolore. Anche dal punto di vista “tecnologico” la maglietta presenta succose novità. Grazie a speciali tessuti, all’applicazione di fasce in particolari zone del corpo e alla tecnologia Techfit PowerWeb, promette incrementi su potenza esplosiva, accelerazione e resistenza (riducendo la vibrazione dei muscoli), e un miglioramento della postura grazie ad una maggiore stabilità del baricentro. Last but non least, la nuova maglia è molto più leggera delle precedenti versioni.
Per celebrare il lancio della nuova divisa da gioco del Milan, Adidas ha inoltre sviluppato un minisito interattivo che, uno volta connessi al proprio profilo Facebook, consente di scoprire, tramite dei video girati a Milanello, i segreti della nuova pelle rossonera.
Ora non mi resta che aspettare, dopo la pausa per le partite delle nazionali, il nuovo inzio delle competizioni, sperando che il mio indossare la tshirt nelle occasioni importanti possa portare fortuna ad Ambrosini e gli altri “diavoli”.

La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo

La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo è un libro di Audrey Niffengger che ha saputo, con il suo titolo, attirare da subito la mia attenzione. Protagonista del libro è Henry, uomo che, in virtù di un “disturbo” sconosciuto, si differenzia dalla normalità delle persone per la propria capacità di viaggiare nel tempo, di lasciare per alcuni minuti la realtà nella quale vive per catapultarsi in un tempo, sempre a lui legato, ma che rappresenta il passato o futuro di quella che è stata o sarà la sua vita. Di solito in questo suo giocare con le lancette dell’orologio resta un puro spettatore nascosto a osservare le prospettive di fatti già vissuti o succose anteprime circa avvenimenti che lo vedranno coinvolto con il passare del tempo. In uno dei viaggi Henry però si ritrova, senza vestiti – questo uno dei punti dolenti delle sue perenigrazioni lungo l’asse temporale – nel prato della casa di una giovanissima Clare: lei ha sei anni, lui trentasei, iniziano a parlare e, vinte le reciproche paure, cominciano ad instaurare quel rapporto di complicità che poi diventerà concreto quandi i due, entrambi ventenni, si incontranno in una biblioteca. I viaggi tuttavia non finiranno. E con loro non si esauriranno nemmeno le difficoltà, i timori e i mille interrogativi connessi ad un’esistenza sempre in sospeso tra passato, presente e futuro. Una vita che quindi diventa ancora di più tante vite, ognuna con il proprio fardello, la malinconia e al contempo la rabbia per non aver poter fermare il tempo una volta per tutte. Con una persona abituata a vivere non solo nel presente, a non avere certezze se non l’incertezza e l’instabilità della propria persona si può porre in essere un rapporto costruttivo? Il libro parla proprio di questa sfida, del modo diverso ma in fondo unito da un comune sentimento, di (soprav)vivere le tante vite di Henry, i suoi viaggi nel tempo e la sua incapacità di essere solo “ora”, raccontando contemporanemente i sentimenti e le riflessioni di chi si trova a vivere in prima persona l’esperienza del viaggio nel tempo e di chi invece non può che assistere inerme al continuo apparire e scomparire di colui con il quale si è deciso di vivere.
Il libro – come ho potuto notare su aNobii – riesce perfettamente nell’intento di dividere il pubblico di lettori: da una parte chi si lascia trasportare trovando il romanzo di assoluto rilievo, dall’altro chi invece sottolinea come la storia sia troppo melensa e irreale. Tra queste due opposte visioni mi pongo nel mezzo: il testo è di piacevole lettura e grossomodo scorrevole. Bello anche il continuo racconto in doppia prospettiva Henry-Clare. Ma in effetti forse sul finale la storia corre molto, tante cose rimangono in sospeso altre invece si euriscono senza una spiegazione che giustifichi appieno l’accaduto. Ma il mistero va da sé in trame del genere non può essere ignorato.

p.s.= Nel 2009 è stato realizzato un adattamento cinematografico del romanzo, diretto da Robert Schwentke, intitolato Un amore all’improvviso