Il ruolo di web e tv nella campagna elettorale 2014

Mentre gli echi della tornata elettorale della scorsa domenica paiono ancora lontani dall’esaurirsi, una volta diffusi i dati del voto, forse per deformazione professionale, mi é venuto spontaneo riflettere sul ruolo della Rete nella (brutta) campagna elettorale appena conclusasi.
Rispetto alle elezioni politiche del 2013 (l’appuntamento con i seggi più vicino in termini temporali), mi è parso che il ruolo del web sia rimasto “stabile” se non addirittura in discesa.
Con questo non voglio intendere che la Rete abbia avuto un ruolo marginale nel dibattito politico, ma parlando in termini di media, ad averla fatta da padrona mi è sembrata essere (nuovamente) la televisione.
E questo non solo perché anche il Movimento 5 Stelle, precedentemente molto lontano dalle dinamiche televisive, non è riuscito ad esimersi dai confronti tv, quanto perché al di là dei post di Grillo, dei tweet di Renzi e degli status su Facebook di Matteo Salvini (giusto per citare 3 protagonisti della scena politica italiana), il consenso mi sembra essersi costruito soprattutto sul vecchio “tubo catodico”.
In altre parole, benché cresca – tra politici e non – l’uso del web e la dieta informativa di ognuno di noi sia ormai formata da una molteplicità di stimoli provenienti da strumenti e fonti differenti, la tv continua ad essere nel nostro Paese il medium per eccellenza.

Nell’analisi del rapporto web-tv mi è stato di supporto un interessante libro di Lella Mazzoli dal titolo Cross-news. L’informazione dai talk show ai social media. Un testo che, sulla base delle interviste ad alcuni dei più autorevoli professionisti della tv, tenta di tracciare i cambiamenti in atto nel mondo televisivo sulla scia delle nuove modalità di fruizione delle informazioni che il web consente. La scelta dello studio, nello specifico, dei talk show non è stata per nulla casuale: sono proprio questi programmi quelli che (probabilmente assieme ai talent) più tentano di far proprie le dinamiche della comunicazione interattiva online rimettendosi in gioco, almeno parzialmente, per superare il dogma dello spettatore passivo che per anni ha caratterizzato l’informazione televisiva.

Img: codiceedizioni.it

Non si tratta di un vero e proprio cambiamento di paradigma, quanto piuttosto di un’ibridazione di tecnologie che rende il panorama più frastagliato. Basti pensare, per esempio, al fenomeno del cosiddetto second screen per il quale gli spettatori non concentrano più le proprie attenzioni verso un solo schermo ma, pressoché in tempo reale, commentano ciò che vedono/sentono attraverso i social network. Un nuovo pubblico che se forse non rappresenta ancora la maggioranza di chi guarda la tv, sta sicuramente contribuendo a riscrivere le regole che sottendono ai palinsesti televisivi.

In questo senso, i talk show, una delle principali forme di approfondimento e formazione dell’opinione pubblica, non poteva certo esimersi dal testare nuove forme di creazione dei contenuti, di conduzione dei dibattiti, di partecipazione del pubblico.

In realtà, senza poi svelare troppo circa le conclusioni alle quali arriva il libro, sebbene il processo di rinnovamento sia inevitabilmente partito, la Rete (e quindi gli utenti online) non è ancora riuscita ad entrare nel vivo dei programmi. L’interazione, ad esempio, per molte trasmissioni non è tanto tra la redazione e gli utenti, quanto tra spettatori e spettatori il cui confronto anima il dibattito solo online.

Da questo punto di vista, mi pare emblematico il caso del profilo @RaiBallaro che pur potendo contare su oltre 134.000 follower e oltre 5.200 tweet, non “segue” nessuno e non interagisce con gli altri utenti.
Nulla di sbagliato, per carità, legittima scelta. Solo, mi pare, un utilizzo riduttivo – una sorta di mera cassa di risonanza – di uno strumento che ha profondamente cambiato il panorama informativo.

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