[recensione] Twitter senza segreti di Luca Conti

Twitter senza segretiSono un fan di Twitter, strumento che ho iniziato ad utilizzare nell’ottobre 2008 (per conoscere a quando risale il tuo primo tweet, visita Twopcharts e inserisci il tuo nickname) e che da allora rappresenta per me una sorta di rassegna stampa mattutina in virtù della quale inizio la giornata scorrendo le notizie sui temi che più interessano. E’ in assoluto l’applicazione che utilizzo con maggiore frequenza, uno strumento ormai irrinunciabili per trovare spunti sui temi che mi appassionano, per condividere mie considerazioni, per commentare le mie esperienze (anche con altri media).
Di Twitter mi hanno subito colpito la semplicità, la velocità e la sintesi cui obbligava. Ho però rapidamente capito che dietro l’immediatezza di un tweet si nascondeva una rivoluzione in grado di cambiare (per sempre?) i connotati del mondo della comunicazione e di quello dell’informazione. Nel corso degli anni ho imparato così a distinguere le peculiarità di Twitter rispetto agli altri social media diventando un utente più smaliziato via via che lo stesso strumento si evolveva. Uno dei momenti topici, l’ho personalmente raggiunto nel maggio 2012 (se la memoria non mi inganna), quando appena avvertita una forte scossa di terremoto, la prima cosa che feci, istintivamente, fu quella di prendere lo smartphone e scrivere un tweet su ciò cui ero stato testimone salvo poi passare in rassegna i cinguettii delle persone che conoscevo per capire se anche loro avessero avvertito qualcosa.

Nonostante sul fronte degli investimenti pubblicitari non abbia ancora avuto modo di utilizzare Twitter (aspetto con molta curiosità l’opportunità di provare in prima persona le soluzioni advertising), non ho esitato un attimo ad associare anche al mio News(paper) Revolution un hashtag – #nepare – per stimolare/monitorare la conversazioni attorno al saggio e agli argomenti trattati.

Per restare in tema di libri, ho da pochi giorni terminato la lettura di Twitter Senza Segreti di Luca Conti, un testo pubblicato dalla casa editrice Hoepli molto interessante che mi sento di consigliare a tutti, sia a coloro che per ora si limitano ad osservare dall’esterno lo strumento, sia a coloro che invece lo utilizzano da tempo.
Le informazioni fornite sono davvero molte e consentono di scoprire passo passo l’unicità di Twitter, i suoi aspetti tecnici e i principi fondanti, le opportunità per chi voglia ascoltare, comunicare o promuovere, con tanti esempi concreti, profili da seguire, interviste e link attraverso i quali proseguire l’approfondimento. Un libro che in qualche modo rispecchia ciò su cui si focalizza: semplice, si legge senza annoiarsi e offre spunti molto interessanti per comprendere al meglio come Twitter nel giro di pochi anni sia diventata “l’agenzia stampa globale personalizzata” usata da politici, attori, responsabili di azienda, sportivi e giornalisti.

Uno dei punti sui quali l’autore insiste spesso che mi piace sottolineare è l’aspetto legato alla consapevolezza di come Twitter sia un social network di microblogging improntato alla partecipazione, alla conversazione, alla relazione. Utilizzarlo solo come l’ennesimo canale attraverso il quale diffondere il proprio messaggio significa probabilmente non aver appieno compreso le potenzialità dei messaggi in 140 caratteri.

La sfida è quella di individuare/proporre una modalità comunicativa (anche pubblicitaria) che possa essere percepita come “servizio” dagli utenti, come qualcosa di interessante, di costruttivo, di originale capace di indurre all’azione chi ne fruisce, risposta o condivisione che sia.

Forse mi sarei aspettato qualche parolina anche su Vine, mobile app di casa Twitter, questo l’unico appunto – ma proprio a cercare l’ago nel pagliaio – che mi sentirei di fare all’autore, al quale però ribadisco i miei complimenti per un libro davvero ben pensato e scritto.

Si fa cultura digitale anche raccontando con chiarezza e semplicità i nuovi strumenti digitali. E Luca Conti, in questo, è uno dei più bravi.

Quando anche il marketing diventa “likeable”

likeable_coverLeggo sempre con molto piacere i testi statunitensi sul web marketing, riescono (spesso) a spiegare con semplicità le potenzialità della Rete basandosi su esperienze dirette e dati oggettivi. Così, quando Luca Conti ha proposto ai suoi follower di Instagram di scegliere un testo, non ho avuto dubbi e ho puntato su un saggio in lingua inglese, Likeable Social Media di Dave Kerpen, libro del 2011 che si focalizza sul passaparola attraverso il cosiddetto social web. Una delle caratteristiche che mi ha fatto apprezzare sin da subito il testo è legata alle esperienze delle quali il libro si serve per trattare i diversi argomenti: non riguardano solo aspetti, diciamo così, lavorativi (in altri testi legate, alle volte, a campagne quasi inarrivabili per investimenti o materiali), ma fa riferimento ad avvenimenti quotidiani con i quali immedesimarsi, da consumatori, con estrema facilità.

Sin dall’introduzione è poi chiaro il focus del libro: ciò che caratterizza il tempo attuale è che oggi i consumatori, felici o meno, possono comunicare le loro opinioni su prodotti, servizi, iniziative e brand con semplicità a un numero consistente di persone: un semplice “like” può creare endorsement, un tweet negativo può influenzare potenzialmente molti utenti. Occorre quindi essere bravi nell’ascolto e nella successiva interazione con il pubblico guidando i consumatori all’azione, facendo cioè in modo che siano loro stessi ad accendere la miccia attorno al contenuto che desideriamo diffondere. In particolare ho apprezzato molto (e non ho resistito, ho subito citato l’autore – CEO di Likeable Media – su Twitter ricevendo immediata risposta) la considerazione: “social media is not an instant win”. La costruzione di relazioni con/tra utenti trascende il concetto del “media” ed entra in un ambiente dall’alta imprevedibilità che, per uscire vincitori, necessita di pazienza (e quindi tempo), abilità, coraggio e disponibilità.

Il libro, come si può facilmente intuire dalla copertina, si concentra principalmente su Facebook, presentando le possibilità di “ingaggio”, i consigli su come rispondere ai commenti (positivi e negativi che siano), sulle modalità di condivisione dei contenuti, sull’integrazione dell’intera esperienza dei consumatori attraverso i social network e sull’utilizzo di questi come canali attraverso i quali veicolare messaggi pubblicitari (nel testo è tuttavia più ripetuto il consiglio di evitare di pensare alla mera vendita nell’approccio ai social media).

Una lettura davvero consigliatissima, fosse anche solo per la sintesi e l’invito all’azione con i quali terminano i capitoli, leggendo il desiderio di testare quanto raccontato a stento si tiene a bada tanto convincenti risultano essere gli argomenti trattati. Well done Dave!

Zero Comments, teoria critica di Internet

zero_commentsZero Comments – Teoria critica di Internet ha da subito attirato la mia attenzione. Il nuovo libro di Geer Lovink è diviso in due macrotematiche: da una parte analizza il cosiddetto Web 2.0 con particolare focus sui blog, e dall’altra affronta l’argomento New Media Art, lo strano connubio tra arte e tecnologia digitale. La parte che mi ha maggiormente interessato è stata la prima. Non me ne vogliano gli esponenti delle ultime esplorazioni di computer e ambienti virtuali, ma i primi capitoli, ricchi di aneddoti e considerazioni circa la blogosfera, sono risultati più affini ai miei interessi (lavorativi e non). Dato per assodato l’assioma di Ian Davis per cui il web 2.0 è “un’attitudine, non una tecnologia“, il testo indaga sull’idelogia del free e sul modo con il quale gli strumenti della Rete stiano modificando l’accesso all’informazione (molto interessante per esempio il fenomeno dei “shocklog” olandesi). Argomenti decisamente complessi ma, almeno per il sottoscritto, di sicuro appeal. Il saggio, tramite una sorta tavola rotonda su carta, affronta la teoria generale del blog, un’analisi che cerca di interpretare la blogosfera e gli utenti che confrontandosi tra loro contribuiscono ad accrescerla di minuto in minuto. Qual è l’impulso che sottende i blog? Nichilismo? Cinismo? Vanità? Contro-cultura o conservatorismo? In che modo i blog determinano il sociale che li circonda? A queste e altre domande il libro tenta di dare un risposta, restando su una sfera prettamente teorica e, forse, alla fine un po’ confusionaria in quanto strutturata come un vasto puzzle di tanti contributi diversi tra i quali è facile perdere il filo (anche perchè le conclusioni vengono spesso lasciate ai lettori). Un libro molto “filosofico” insomma – corredato di Glossario – per adetti ai lavori, interessante ma a tratti di non semplicissima lettura.

Tutto può cambiare

Ho avuto modo di leggere in anteprima il libro Tutto può cambiare di Jonathan Tropper, un romanzo Garzanti uscito nelle librerie da alcuni giorni (18 settembre ndr). Zach è un giovane trentaduenne newyorkese che vive in un lussuoso appartemento di Manhattan con l’amico Jed e la fidanzata Hope. Non apprezza molto il suo lavoro da “specialista dell’outsourcing” alla Spandler Corporation, ma in fondo non si lamenta di come trascorre le proprie giornate. E’ all’oscuro del fatto che ben presto tre situazioni lo rimpiranno di interrogativi e faranno barcollare quelle che credeva essere le proprie certezze.
In primo luogo, nonostante l’imminente matrimonio, pensa con sempre maggiore insistenza a Tamara, la giovane moglie (e madre di Sophie) di Rael, l’amico di lunga data scomparso prematuramente a seguito di un incidente stradale. Il secondo motivo che alimenta le proeccupazioni di Zach è che una mattina, alzatosi per andare in bagno, osserva con orrore una goccia di sangue nella propria urina: ciò lo terrorizza e lo rende improvvisamente vulnerabile e pessimista. Infine, una visita inaspettata turberà ancor di più lo stato d’animo del ragazzo: il padre, dopo anni di latitanza da Zach e dai suoi fratelli, rispunta dal nulla portando con sé ricordi e rancore maldestramente sopito.
Il libro di Jonathan Tropper – una delle ultime rivelazioni della letteratura americana – è una ironica e coinvolgente riflessione su un uomo che, pianificata con dovizia i particolari la propria vita, vede scombussolati i suoi piani da una serie di eventi che lo portano a mettere in discussione sé stesso e tutto ciò in cui crede.

Opinioni di un clown

Opinioni di un clown di Heinrich Boll è un libro che mi ha attratto per il titolo (fa parte della collana Classici Moderni Mondadori). Raccoglie, in una sorta di diario, le riflessioni e i ricordi di Hans Schnier, un clown di professione nella Germania del dopoguerra. In qualità di artista, attraverso le sue pantomime, analizza e critica in chiave comica il mondo borghese che si sta sempre più diffondendo in virtù del miracolo economico tedesco. Le sue riflessioni, le sue battute, fanno venire a galla le contraddizioni di una società che forse troppo rapidamente ha cambiato faccia, dimenticando in fretta le profonde ferite del conflitto bellico. A maggior ragione quando a causa di un infortunio al ginocchio e al contemporaneo abbandono della compagna Maria, Hans si ritrova solo e senza soldi in una Bonn nella quale, visti i suoi tanti viaggi, non sente il conforto di casa, le sue frecciate, i suoi giudizi diventano ancora più acidi nei confronti della famiglia – in particolare dei genitori – e delle persone che nel corso degli anni gli si sono avvicinate e che, a suo vedere, mancano di coerenza e basano la loro vita su valori effimeri e, spesso, di comodo. E così Hans, in preda allo sconforto più totale – arriva laddove un clown non dovrebbe mai spingersi, far pena, compassione agli altri – decide di rimettersi in gioco, prende la chitarra e un cuscino e corre ad esibirsi alla stazione dei treni, proprio nel giorno del carnevale: tra tante maschere forse il suo volto truccato di bianco è in realtà molto più vero e genuino di chi gli passa vicino e ascolta di sfuggita le sue canzoni.

Lo strano caso di Emma Bovary

Lo strano caso di Emma Bovary di Philippe Doumenc è un libro che, partendo dalla morte del celebre personaggio di Flaubert, immagina un’indagine per capire se effettivamente si sia trattato di suicidio o se invece dietro il decesso della bella moglie di Charles si nasconda una verità più complessa.
Il piccolo paesino della Normandia Yonville-l’Abbaye è sconvolto da una tragedia: al capezzale di una moribonda giovane, ad affiancare il farmacista Homais con la moglie, e il marito della signora Bovary, giungono il dottor Canivet e il dottor Larivière ma a nulla valgono i tentativi di far fronte all’avvelenamento della giovane con arsenico. La donna, che poco prima di inghiottire il veleno aveva scritto una lettera nella quale annunciava l’estremo gesto, presenta tuttavia degli strani segni che potrebbero dare adito alla suggestiva ipotesi di un crimine. Pare inoltre che, in punto di morte, la signora Bovary abbia pronunciato le parole: “Assassinata, non suicida”. Il Procuratore del Re quindi, per chiudere la faccenda, invia nel paesino il gendarme Delévoye e il giovane Remi per tentare, con la massima discrezione e senza allarme i cittadini del villaggio, di far luce sulla morte della bella Emma. Il parroco, il sindaco, il notaio, la locandiera, l’usuraio, molte persone vengono interrogate e pian piano emergono sempre maggiori particolari circa la vita della signora Bovary e i molti intrighi che animavano le notti del piccolo centro abitato. Come la neve del lungo inverno era prossima a sciogliersi lasciando spazio ai fiori, così mano a mano che il giovane Remi tenta di stabilire l’esatta dinamica dei fatti che avevano portato alla morte della signora Bovary, spuntano sempre nuovi dettagli, nuove ammissioni che arricchiscono la scena e il numero dei sospettati.
Un esperimento singolare quello di Doumenc, un giallo di facile e veloce lettura che prendendo spunto dal romanzo di Flaubert analizza con l’occhio di un detective i compaesani – e loro segreti – della bella Emma, di quel piccolo villaggio della Senna Inferiore nel quale, sin dal suo arrivo, l’infelicità e la noia l’avevano attanagliata.

Il sistema riproduttivo di Sladek

Il sistema riproduttivo - John Sladek

Da molto non leggevo un libro di fantascienza. E così, passando all’edicola e accorgendomi della collezione Urania, mi sono lasciato tentare ed ho acquisto Il Sistema Riproduttivo di John Sladek, opera d’esordio dello scrittore americano (ma vissuto per molti anni in Inghilterra) la cui prima stampa risale all’ormai lontano 1968. Forse le mie aspettative erano troppo alte, ma sinceramente confidavo in una lettura appassionata come quelle che mi incollarono anni orsono di fronte alle pagine di 1984 e Fahrenheit 451. Per carità, il racconto di ciò che trasforma la fabbrica di bambole ormai obsolete di Millford nel fulcro di un sistema capace di fornire alle macchine l’istinto all’autoriproduzione mettendo a repentaglio la sopravvivenza del genere umano è avvincente (anche se non in tutti i capitoli con la stessa intensità) e il ritratto dell’antieroe che vuole dominare il mondo (il dottor Smilax, ndr) risulta perfido e credibile. Tuttavia poi trama, arrivati all’apice della tensione, si risolve in maniera troppo veloce e senza scendere nei dettagli come nella prima parte del libro: dopo 23 capitoli di peripezie e con un crescendo che sembra auspicare il futuro più nero, negli ultimi due capitoli (della stessa lunghezza degli altri), una serie di eventi che non cito per non svelare troppo conducono il bene a trionfare sul male. E alla grande nel senso che, anche se in maniera fosca, senza molte spiegazioni, la situazione si trasforma rapidamente da irrimediabile in qualcosa di utopico, con piena accezione positiva del termine. Visto il periodo di esami, sulla lettura di questo libro mi pronuncio con un “promosso con riserva”.