C’è vita su Marte? E cultura nel web?

Img: flavorwire.com

20 novembre, ore 7.45 di una qualsiasi giornata lavorativa. Dopo le abbondanti piogge dei giorni precedenti, un timido sole – che si intravede appena tra le nuvole – scalda l’aria fresca della mattina.

Salgo in auto e metto in moto, in automatico si accende la radio. E’ impostata su Radio 1 Rai, sta andando in onda Radio 1 in Corpo 9, la rassegna stampa che anticipa il radiogiornale delle 8.

Si parla di Kate Middleton e del fatto che stia perdendo consensi perché evita di prendere posizione. Il tragitto che mi separa dall’ufficio è (fortunatamente) breve per cui decido di non cambiare frequenza. La conversazione si sposta verso un’analisi (superficiale) del mercato dell’editoria e dalla stampa che porta allo scambio di battute capace di rovinarmi la giornata prima ancora che questa abbia inizio.

Ma il web è cultura? C’è cultura su web?
No, su web c’è tutt’altro che cultura, c’è ricerca dell’immediato, ovviamente”.
”.

Sarò esagerato, sarò permaloso, ma ogni volta che qualcuno “sparla” dell’online liquidandolo frettolosamente, mi sento chiamato in causa.

Per il sottoscritto il web, dopo essere stato una passione diventata poi oggetto di studio, è oggi – e spero possa esserlo anche in futuro – sinonimo di lavoro. Ogni giorno, nel mio piccolo, sulla base delle esigenze e delle disponibilità della realtà nella quale opero, cerco di individuare modalità e strumenti per far intravedere nella Rete nuove opportunità.
Sono pagato per farlo, certo, ma credo in ciò che faccio.

Come ho già avuto modo di spiegare (vedi Di politica e giornalismo: l’importanza di intermediari di qualità), considero il web come uno strumento al servizio di noi utenti. Un (meta?)mezzo non necessariamente migliore di altri, ma nemmeno da demonizzare costantemente.

Non sono d’accordo con coloro i quali considerano la Rete un mondo “altro da”, con chi la addita quale rappresentazione del male tout court né con chi la dipinge esclusivamente come il regno della velocità legata all’effimero.

La valutazione sul web non credo possa prescindere dall’utilizzo che decidiamo di farne: sta a noi scegliere come e dove “navigare”. Il web è un canale (è molto di più, provo a semplificare) e come tale può essere punto di incontro come di scontro, di emancipazione o di propaganda asservita a un qualche gruppo di persone, sinonimo di creatività o solo l’ennesima versione di contenuti spazzatura.

E perché no, c’è spazio anche per la cultura nella Rete: ci sono esperienze, rielaborazioni, scambi costruttivi, valutazioni che possono contribuire ad ampliare le proprie conoscenze e a rendere gli individui più consapevoli.

Possibile che i protagonisti del dialogo che tanto mi ha irritato, seppur giornalisti di lunga data, non intravedano un briciolo di cultura nella Rete? E se davvero fosse in loro tanto radicata tale convinzione, quale il senso della loro presenza online (rispettivamente con Cinquantamila e con Il Blog del Direttore)?

Ignorare il web credo sia già oggi impossibile. Per le aziende, per gli utenti, per il mondo dell’informazione, per gli organi dello Stato. Per provare a conoscerlo e, quindi, a capirlo, accorre mettere da parte pregiudizi e generalizzazioni con cui tentiamo di difenderci dal nuovo che avanza.

p.s.= forse per qualcuno Wikipedia non sarà cultura; ma mi sono comunque permesso di aggiornare la voce di Giorgio Dell’Arti inserendo gli ultimi libri pubblicati.

[update: il direttore di Oggi ha spiegato meglio, con una risposta pubblicata nella sezione Posta, il suo punto di vista]

Due gradi e mezzo si separazione di Domitilla Ferrari [recensione]

Due Gradi e Mezzo di SeparazioneHo la fortuna di conoscere personalmente Domitilla (e Maurizio) al decimo incontro della GGD Milano, nell’ormai lontano dicembre 2009. Mi è da subito sembrata una persona interessante, con la quale confrontarsi in maniera divertente e costruttiva. Per paradossale che possa sembrare il nostro “fare rete” è quindi iniziato offline per poi trasferirsi online. Su web ci siamo sentiti per lavoro, per scambiarci dei pareri (ricordo ancora con piacere di aver potuto dire la mia sul suo progetto a favore di UNHCR), per leggerci su blog e social network. Ogni tanto ci siamo anche rivisti vis à vis a qualche evento (istituzionale o pensato ad hoc per il lancio di una qualche iniziativa) ma, al di là, del numero di messaggi scambiati o del lasso temporale tra una comunicazione e l’altra, ho sempre sperato di poter contare sulla sua professionalità, sulla sua curiosità, sulla sua capacità di mettere in contatto le persone.

Ecco spiegato perché all’uscita di Due gradi e mezzo di separazione – Come il networking facilita la circolazione delle idee (e fa girare l’economia), facendo parte del suo fan club (espressione questa che nel testo di tanto in tanto compare), ero molto curioso. Curioso di capire l’approccio usato, lo stile, la scelta degli argomenti trattati.
Forse anche per questo motivo, ho finito il libro in meno di 24 ore. Perché è semplice, scorrevole, interessante, dai capitoli brevi corredati dalla giusta sintesi che arriva al nocciolo della situazione evitando inutili orpelli.
E sì, lo ammetto, mi ha spiazzato. Non avevo un’idea precisa di che cosa avrei letto. Dal titolo e dal booktrailer qualcosa avevo intuito, ma sinceramente immaginavo fosse più “manuale” di quanto in realtà Due gradi e mezzo di separazione alla fine sia. Perché se è vero che non mancano le parti un po’ più tecniche legate a microinterviste o approfondimenti, in realtà il libro è più una guida al networking come stile di vita che un saggio sui social media. E’ un invito alla condivisione dei saperi, a conoscere nuove persone di ambiti diversi dai propri, a curare i rapporti con i nodi della propria rete, all’utilizzo sincero e consapevole degli strumenti che il web ci permette di usare.
Il libro possiede almeno un altro grande pregio: sottolinea più volte come l’online non sia in antitesi all’offline, indicando i social media, se usati con criterio per quello che sono, come strumenti in grado di avvicinare le persone piuttosto che isolarle.

Il paradigma della rete – inteso in maniera astratta come nodi che tra loro danno luogo a una fitta rete di connessioni – implica un cambiamento di prospettiva che finisce (almeno potenzialmente) per influire anche sulla nostra quotidianità. Domitilla ci invita ad affrontare la sfida vivendo in maniera più consapevole il rapporto con le nuove tecnologie che hanno reso il mondo ancora più “piccolo”. E di questo non possiamo che ringraziarla.

p.s.= il prossimo giovedì 27 febbraio dalle ore 18, presso la libreria ibs di Padova, avrò il piacere e l’onore di conversare con Domitilla su Due gradi e mezzo di separazione. Se volete suggerirmi qualche domanda, commentate liberamente (o segnalatemi, citandomi, una domanda su Twitter utilizzando l’hashtag del libro #duegradiemezzo). Potrebbe essere un modo intelligente per ridurre i gradi di separazione tra voi e l’autrice.

Di politica e giornalismo: l’importanza di intermediari di qualità

© Luce Pinxi/Flick/Getty Images

La nuova tornata elettorale ha portato nuovamente alla mia attenzione una riflessione che da un po’ di tempo a questa parte mi frulla in testa. Gli ultimi accadimenti tra legislatura e urne, infatti, mi paiono aver evidenziato, una volta di più, una certa vicinanza tra Giornalismo e Politica. Mi spiego meglio. Per entrambe queste “istituzioni sociali” alle prese con l’ondata di cambiamenti imposti da web e social network (di linguaggio, di prospettiva, di partecipazione, di relazione, di distribuzione dei contenuti…) molti palesavano tempi duri se non un vero e proprio superamento che avrebbe reso superflui partiti e testate, due degli organi sui quali, a ben vedere, si basano i concetti di democrazia e di libertà.

In realtà, come ho tentato di spiegare nel mio News(paper) Revolution, i nuovi dispositivi sono “solo” degli strumenti. In altre parole, ciò che è importante analizzare non sono unicamente i dettagli tecnici, quanto gli aspetti legati sia al livello di adozione (quanti utenti usano quel determinato strumento?) sia all’utilizzo specifico che gli utenti fanno degli strumenti stessi. In breve, a mio modo di vedere, non vanno confusi fine e mezzo: i device digitali sono nuovi “canali” a nostra disposizione il cui scopo è, ad esempio, quello di farci condividere informazioni in maniera più semplice e rapida.

Pensare che lo strumento in sé possa risolvere problemi o migliorare la vita è, quindi, riduttivo. Il coltello resta dunque dalla parte degli utenti: la Rete, i social network, i blog, gli smartphone hanno carattere “neutro”, acquistano senso solo in virtù del loro utilizzo, di un’audience che se ne serve. Internet non rappresenta “il male” come qualche talkshow vorrebbe far credere, è (ripeto) “solo” uno strumento, che può essere utilizzato in maniera intelligente o meno.

Assodato questo, i proclami che, sia per quel che riguarda il Giornalismo, sia per quanto concerne la Politica, indicavano il Web de facto come via per la Salvezza, risultano quindi sterili. Se infatti possiamo dare per scontata la rivoluzione in atto, difficile è prevedere dove questa ci porterà. La conclusione alla quale sono giunto (forse non sono il primo ma la sento comunque molto mia) è che, vada come vada, per Politica e Giornalismo (ma per molti altri ambiti della vita), indipendentemente dagli strumenti utilizzati, non si possa prescindere da intermediari di qualità.

Possiamo mostrare le riunioni in streaming, tagliare il supporto cartaceo, rendere pubbliche le spese legate all’attività politica o organizzare una testata di soli blogger, la differenza la fanno coloro che deleghiamo a gestire la “cosa pubblica” o informarci sugli accadimenti del mondo.

Sia chiaro, la mia non è la difesa di caste o corporazioni (al termine “giornalista”, per esempio, che mi pare troppo legato all’iscrizione ad un Albo, preferisco di gran lunga gatekeeper) ma un invito, generalizzato, a non focalizzarsi esclusivamente sulle caratteristiche tecniche di nuovi strumenti, ma soprattutto sulla competenza degli attori in gioco. Solo così si potrà garantire un futuro a Giornalismo e Politica.

La Rete non cancella nulla, anzi, accentua il nostro bisogno di validi interlocutori.

Il giornalismo del futuro? Innovazioni dentro e fuori le testate da tenere sottocchio

Lo scorso martedì 28 maggio, in occasione dell’uscita della versione ebook (riveduta e aggiornata) del mio News(paper) Revolution sono stato ospite di Digital Accademia per parlare di giornalismo e social media. Avendo solo due ore a disposizione e dovendo confrontarmi con una platea tutt’altro che sprovveduta ho ripensato la mia presentazione tentando, dopo la prima parte dedicata ad un breve excursus sulla storia del giornalismo online, di individuare 10 caratteristiche del web attorno alle quali le testate si stanno muovendo (o, meglio, si dovrebbero muovere) per rinnovare il mondo dell’editoria.

Ho così individuato una serie di strumenti e iniziative – schematicamente divisi tra innovazioni esterne o interne alle testate – da tenere d’occhio, al di là del numero del loro bacini attuale di utenti attivi, per intravedere (forse) gli ulteriori sviluppi della comunicazione (giornalistica) online.

La grafica non è certo il mio forte, la presentazione è volutamente scarna, ridotta all’osso. Ecco perché, in breve, cerco di sintetizzare ciò che propongo quando, servendomi del ppt, rifletto a voce alta.

[slideshare id=22306112&style=border: 1px solid #CCC; border-width: 1px 1px 0; margin-bottom: 5px;&sc=no]

Tra le innovazioni fuori dalle testate ho scelto, a titolo esemplificativo:

Flipboard, NewsWhip, Italia2013.me, Instagram, Storify, Vine, Google+, Storyful e i Social Reader di Facebook.

Tra i progetti più interessanti all’interno delle testate ho invece segnalato:

HuffPost Live, Snow Fall, Live Blogging, Archivi Digitali, Native Advertising, Compendium, PaperPay, JuLiA, Guardian Witness e The Dish.

Flipboard

Con le applicazioni non solo ognuno di noi può filtrare le notizie in base ai propri interessi organizzandole come un magazine, con le ultime versioni può anche condividere il proprio “giornale”, diventando quindi non solo autonomo nell’atto di informarsi ma anche “editore” per altri utenti che con lui condividono l’interesse per determinati argomenti.

NewsWhip

Le risorse che aggregano le notizie più chiacchierate della Rete, che indicizzano i contributi più condivisi, stanno riscuotendo un notevole successo. Analizzare la Rete, individuare i contributi del web più rilevanti diventa sempre più importante.

Italia2013.me

Esperimento di content curation molto interessante che, per raccontare le elezioni, ha utilizzato i cittadini come fonti della notizia.

Instagram

Grazie ad uno smartphone i nostri “racconti per immagini” possono viaggiare nel web e, grazie all’utilizzo di hashtag condivisi, partecipare alle testimonianze degli altri utenti.

Storify

Unire contributi di differenti utenti in un unico flusso al quale aggiungere le proprie osservazioni, fantastico, no?

Vine

Anche con video di soli 6 secondi si può raccontare molto. Un esempio? Le pillole dalle passerelle del WSJ in occasione della New York Fashion Week.

Google+

La videochat rappresenta sicuramente un’opportunità per dialogare in maniera interattiva con altri utenti.

Storyful

Società con sede a Dublino composta da un team di professionisti che monitora i social media catturando immagini e contenuti degli utenti da vendere poi alle testate di tutto il mondo.

Social Reader (di Facebook)

Facebook ha ultimamente modificato l’algoritmo alla base del news feed. Oggi hanno maggiore risalto i soli contenuti che raccolgono condivisioni, like e commenti. E questo ha cambiato le carte in tavola costringendo alcune testate, prima molto attratte dalla possibilità di conquistare fette di audience tra i giovani, a rivedere il loro impegno nel social network di Zuckerberg.

HuffPost Live

Nuovo spazio all’insegna di multimedialità e interattività del pubblico: come suggeriscono dalla testata di Arianna Huffington, una via di mezzo tra YouTube e la CNN.

Snowfall

Esperimento del NYT capace di guadagnarsi non solo l’attenzione tra gli addetti ai lavori ma anche un premio Pulitzer per la capacità di proporre una lettura particolare: il testo (lungo) si arricchisce di video e animazioni interattive.

Live Blogging

Per seguire in tempo realtà lo sviluppo dei grandi avvenimenti, preferibile la struttura snella e dinamica di un live blog.

Native Advertising

Alla ricerca di nuove forme di pubblicità, i quotidiani riscoprono – con alterne fortune – i contenuti sponsorizzati (ne ho parlato anche qui).

Compendium

Una sorta di Pinterest delle notizie di una testata che consente al lettore di raccogliere in una bacheca pubblica i pezzi che ritiene più interessanti da catalogare.

PaperPay

Il giornale di carta venduto tramite la lettura di un codice a barre (ho scritto sul servizio qui).

Guardian Witness

L’applicazione con la quale il Guardian invita i lettori a proporre alla redazione i propri contributi su fatti dei quali sono stati diretti testimoni che potrebbero poi essere ripresi dalla testata.

The Dish

Un blog senza pubblicità né soldi da venture capitalist che chiede ai proprio lettori i fondi per continuare a servire il proprio pubblico. Bella scommessa!

Adoro confrontarmi con chi – anche se non necessariamente un giornalista – la Rete la vive ogni giorno a suo modo, cercando il modo migliore per sopravviverci. La mia è una testimonianza, spero costruttiva, di un mondo in continuo perenne mutamento.

Italia2013, il racconto collettivo della prima campagna elettorale social

Italia2013 è un progetto nato sul finire del 2012 che si è poi concretizzato in una tag cloud, una “nuvola aggregativa” dei vari contributi degli utenti con la quale è stata raccontata, attraverso la voce degli elettori, la prima campagna social della storia italiana. Un esperimento online dal 25 gennaio (e realizzato in collaborazione con la Scuola Walter Tobagi) che, partendo dall’immenso flusso di informazioni, giudizi, commenti e immagini, è diventato la prima piattaforma indipendente capace di mostrare, in tempo reale, i flussi comunicativi dei social media traendone poi spunto per operazioni di content curation di stampo giornalistico. Il cambio di prospettiva non è da poco: niente agenzia di stampa né media classici, le uniche fonti sono gli utenti, le loro/nostre conversazioni.
Da quella interessantissima esperienza è nato Social Winner, un libro edito da Il Saggiatore (e scaricabile gratuitamente in versione ebook) che raccoglie alcuni degli spunti più originali emersi dal progetto. Dagli hashtag più in voga alla descrizione delle metodologie utilizzate per tentare di interpretare i nostri dialoghi online circa le elezioni, il libro, curato da Riccardo Luna e Marco Pratellesi, racconta di come la Rete abbia giocato un ruolo decisivo nelle elezioni 2013 e di come, forse, proprio una sua sottovalutazione, abbia poi portato a un risultato non preventivato da molti tra giornalisti, opinionisti e sondaggisti.
Da appassionato di comunicazione l’aspetto che ho trovato più interessante è quello relativo all’utilizzo da parte del web da parte ai principali rappresentanti politici: se è vero che proprio grazie alla Rete Grillo e Casaleggio hanno cambiato la partita elettore in Italia, è altrettanto vero che Silvio Berlusconi, nonostante non abbia utilizzato direttamente i social media, è praticamente stato sempre al centro del dibattito, in particolar modo su Twitter, strumento che anche fuori dai confini nazionali ha visto utilizzare hashtag ironici sul Cavaliere.
Se nutro ancora qualche dubbio sul fatto che il web possa ben rappresentare la totalità dell’elettorato italiano (ricordo, ad esempio, molti tweet del mio network con testimonianze di voto a favore di Fare per fermare il declino, forza politica che poi non è riuscita ad avere una propria rappresentanza in parlamento), la Rete è sicuramente (e probabilmente sempre più lo sarà) una cartina al tornasole della cui lettura non ci si può esimere. Esperimenti come quello di Italia2013 non possono che indicare la via e testimoniare, una volta di più, come il web possa essere un’opportunità e non una minaccia per il mondo del giornalismo, complimenti!