Financial Times: record di copie, sempre più bassa la percentuale di ricavi adv

Img: cjr.org

Alcuni giorni orsono sono stati pubblicati i dati di esercizio relativi al 2013 del giornale economico-finanziario Financial Times. Gli specialisti del settore attendevano con molta curiosità i dati di FT Group perché il quotidiano inglese è stato tra i primi a sposare in maniera decisa il digitale. Non è un caso, quindi, che oggi oltre la metà dei ricavi del gruppo (per l’esattezza il 55%) derivi dal digitale e dai servizi offerti dalla testata, una cifra che registra un incremento del 31% rispetto al 2008. Viceversa, continuando il ragionamento in termini percentuali, i ricavi pubblicitari che cinque anni rappresentavano il 52% oggi si attestano al 37%. Questo, nonostante l’estensione a livello globale dell’innovazione FT Smart Match, la soluzione di contextual advertising in grado, grazie all’utilizzo della tecnologia chiamata Semantic Profiling, di offrire agli inserzionisti l’opportunità di associare i propri contenuti (articoli, white paper, video), in tempo reale e nel massimo della coerenza, ai nuovi articoli pubblicati su FT.com. Attraverso la tecnologia di Smartology cui la testata si è affidata, il nuovo pezzo pubblicato dalla redazione viene analizzato allo scopo di identificarne i concetti e le categorie di riferimento principali sulla base dei quali mostrare all’utente, in maniera automatica, i contenuti brandizzati più in sintonia con la notizia.

Per paradossale possa sembrare, in virtù del rigido paywall (senza registrazione si può solo vedere la homepage senza poter leggere nessun articolo), il FT nel 2013 ha incrementato dell’8% il numero di copie pagate, facendo registrare 652.000 copie totali (online + stampa), numero record in 126 anni di storia. Dato questo che, se approfondito, mostra un nuovo calo della distribuzione cartacea (-20% rispetto all’anno precedente) compensato però da una crescita del 31% delle sottoscrizioni digitali che ormai rappresentano quasi i 2/3 degli lettori paganti del giornale.

All’ottimo risultato in termini di copie vendute ha sicuramente contribuito il canale mobile di FT che, in virtù della propria app svincolata da iTunes con oltre 5 milioni di utilizzatori e le rinnovate collaborazioni con Google Newsstand e Flipboard oggi porta alla testata il 45% del traffico e un quarto dei nuovi abbonamenti digitali.

Altra iniziativa di successo è stata FTfast, il sito di notizie 24 h su 24 tramite il quale la testata può offrire un’informazione più snella ma più puntuale, sempre aggiornata in relazione ai vari mercati del mondo.

Tanti numeri per sottolineare come la scelta di puntare sul digitale per il Financial Times al momento sia una sfida vinta. Certo, il giornale è un quotidiano economico-finanziario il cui bacino di lettori è forse più propenso a pagare per ottenere informazioni che possono risultare determinanti per il proprio lavoro. Ma immaginare per le testate un futuro nel quale i guadagni vengano in primis da contenuti di qualità – mediante abbonamenti – e non dalla pubblicità, lascia vivo un barlume di speranza per un comparto, quello dell’editoria, in forte crisi.

Da free al paywall. E dal paywall all’all-access subscription

Img: jxpaton.wordpress.com

Lo scorso martedì 19 novembre, in uno degli appuntamenti su Second Life di Gate42 (progetto che, per chi non lo conoscesse ancora, invito a seguire, un ringraziamento a @imparafacile per avermi ospitato), ho avuto modo presentare il mio libro parlando dei cambiamenti in atto nel mondo del giornalismo.
Una delle questioni venuta a galla, inevitabilmente, è stata quella legata all’advertising su web e alla sostenibilità del mondo dell’informazione in Rete.

Proprio su questo (delicato) versante, da segnalare una novità firmata John Paton, CEO di Digital First Media, colosso statunitense che gestisce più di 800 attività online/digitali (soprattutto legate a redazioni a carattere locale) in 18 stati americani in grado di far registrare oltre 61 milioni di utenti mese.
In un blog, l’ex direttore del Guardian e di El Pais, spiega le scelte operate presentandole alla forza lavoro della realtà che è chiamato a dirigere ma, chiaramente, pubblicandole su web senza alcun vincolo, le rende note anche a tutti noi “semplici” utenti.

Da un po’ di tempo seguo quello spaccato di quotidianità giornalistica online. Ho potuto così seguire il percorso adottato dal gruppo in merito alla gestione dei contenuti.
Come molte altre realtà legate al mondo dell’informazione, Digital First Media, per 22 suoi quotidiani online prima fruibili in maniera gratuita, successivamente opta per il Paywall. Una scelta dettata dalla necessità di sperimentare più che della consapevolezza di adottare una soluzione valida a lungo periodo. Una modalità per tentare di rendere più stretto il rapporto con i lettori, chiedendo loro di sottoscrivere un abbonamento. I risultati però non sono per nulla soddisfacenti, le cifre, in termini di guadagni, troppo basse. Il gruppo decide così di passare a un Paywall 2.0, una evoluzione di quanto utilizzato in prima istanza strutturata sulla base delle best pratice del settore.
Contemporaneamente avvia in 75 quotidiani un esperimento alternativo al concetto di “pagamento”. Con la collaborazione di Google, nella sezione multimediale Media Center, ogni 10 immagini mostra all’utente un sondaggio al quale è chiamato a rispondere per proseguire la navigazione all’interno del sito. I risultati di quest’ultima iniziativa sono incoraggianti per cui i vertici del gruppo decidono di concentrarsi sullo sviluppo di un Paywall 3.0 che riesca a combinare le due soluzioni in qualcosa di più dinamico, capace di garantire introiti senza ridimensionare troppo il traffico.

A meno di un anno di distanza però, Digital First Media cambia di nuovo rotta. Il guadagni del gruppo sono in crescita (rispetto al 2009, il digital adv è cresciuto, nel 2012, dell’89%) ma la soluzione del paywall, nelle sue diverse versioni, non convince appieno.
L’esperimento con Google, dopo un inizio promettente, perde di efficacia e quindi, un po’ a sorpresa, il gruppo decide di superare, almeno in parte, la strategia del paywall puntando sull’All-Access print-digital subscription: i lettori non registrati alla testata potranno leggere solo alcuni articoli al mese, gli utenti abbonati, invece, avranno accesso all’edizione cartacea, a quella digitale e ai contenuti su mobile.

Stimolante sfida, non resta che restare sintonizzati nel blog di John Paton per conoscere il bilancio di questo nuovo approccio adottato da Digital First Media.