Lo spettacolo con il quale Luca e Paolo stanno girando i teatri d’Italia ha destato molta curiosità. E anche qualche dibattito. In fondo il tema della morte – e quindi, in ultima analisi, del senso della vita – è uno dei grandi misteri che l’uomo cerca continuamente di comprendere, normale che ogni volta si generi un vespaio di polemiche. E allora perché non riflettere su fede e coscienza con una sorta di riproposizione in chiave ironica di “Aspettando Godot” che ci permette di sorridere su un tema solitamente molto delicato e che al cui solo accenno di solito ci si incupisce? Perché non porsi delle domande sulla fede, la speranza di una qualcosa oltre la morte, la nostra fragilità, la nostra incapacità di comprendere sino in fondo, di accettare la fine della vita? In fondo l’ironia è uno dei modi con i quali reagire a una mancanza, a un evento imprevisto quanto ineluttabile, al diventare improvvisamente consapevoli del proprio carattere “finito”, “limitato”. Il sorriso, invece, è sinonimo di vita: rido dunque sono. Per questo credo che sia importante anche saper ridere della morte – come si può fare grazie a Luca e Paolo – per evitare di trasformarla in un tabù, in qualcosa attorno al quale non poter proferire parola. Per affrontarla. Per prendersi una piccola rivincita.
E forse è proprio questo l’”insegnamento” degli scarafaggi – personaggi che si alternano ai due ladroni condannati alla crocifissione – che vivono sul Golgota sotto le croci: una vita semplice, senza troppi interrogativi e con il sogno di viverla appieno accettando sé stessi e il corso della propria esistenza.
Ben inteso, porsi delle domande, dubitare, mettere in discussione qualcosa non è necessariamente essere “contro”: non mi è parso uno spettacolo contro la Chiesa quanto piuttosto una sorta di testimonianza – dico una perché credo che i due ladroni siano semplicemente due facce della stessa medaglia, due aspetti del nostro essere – di un malessere che, credenti o meno, porta tutti a cercare il senso di ciò che accade attorno a noi, del “disegno” che ci vede come – consapevoli o inconsapevoli – protagonisti. In fondo, se non ricordo male, anche colui che i due ladroni aspettano, in base a quanto raccontano le Sacre scritture, disse: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Come si dice: domandare (e quindi anche domandarsi) è lecito.