Dopo Women without men ho continuato la mia personale maratona sui film più acclamati alla mostra del cinema di Venezia vedendo la pellicola vincitrice del Leone d’oro: Lebanon di Samuel Maoz.
Un film strano, di quelli che o conquista o lascia perplessi senza via di mezzo. La storia è quella di in un gruppo di ragazzi che, con un carro armato, fungono da supporto a un plotone di paracadutisti inviati a perlustrare i resti di alcune cittadine bombardate dall’aviazione israeliana. Le continue inquadrature interne al carro armato (visione per questo motivo forse non proprio indicata a chi soffre di claustrofobia, all’uscita dalla sala sembra ci si sente quasi unti di olio come i protagonisti) fanno partecipare in prima persona lo spettatore alle tensione del conflitto e alla sopresa da parte dei giovani soldati di ritrovarsi di colpo catapultati dalle semplici quanto innocue eserciatazioni a un cruda realtà fatta di morte, urla e distruzione. Forse è proprio questo l’aspetto più angosciante della pellicola che mostra il terrore per il conflitto proprio di chi dovrebbe guidare la battaglia e che invece, quasi in maniera compulsiva, non sentendo proprio lo scontro, controlla con il mirino la situazione fuori dal cingolato ma resta quasi incapace di premere il grilletto e di eseguire gli ordini impartiti. I giovani militari, infatti, non sono eroi, non sono desiderosi di sacrificare la propria vita per l’annientamento del nemico, sono solo fragili ragazzi terrorizzati dall’essere in contatto così diretto con gli orrori della guerra, desiderosi solo di tornare vivi dalle loro famiglie e di lasciare quanto prima il campo di battaglia. Film forte, di poche parole, forse a tratti un po’ lento, ma di sicuro impatto.
guerra
Valzer con Bashir (…la storia si ripete)
La mia mente associa in maniera pressoché automatica film di animazione a divertimento, spasso, buoni sentimenti, ilarità. E invece pochi giorni fa mi sono dovuto in parte ricredere vedendo una pellicola davvero singolare, che ho molto apprezzato. Si tratta di Valzer con Bashir, opera cartoonesca che racconta del massascro avvenuto nei primi anni Ottanta a Sabra e Chatila (e che inevitabilmente traccia una linea tra passato e presente in una zona, quella del Medio Oriente, ancora oggi martoriata da conflitti armati, odio e violenza). Il film, dell’israeliano Ari Folman, mi ha sin dalle prime battute ricordato Full Metal Jacket, solo in versione onirico-introspettiva nella quale l’attuale è più volte interrotto dai flash back. Il vero protagonista a ben vedere è però il ricordo. O meglio il non ricordo. Un uomo, sulla scia delle riflessioni/angosce di un amico di gioventù, cerca di scavare nel proprio passato accorgendosi quasi improvvisamente di avere delle zone d’ombra nella propria memoria, di sapere perfettamente di essere stato in una determinata zona per un determinato periodo di tempo, ma di non riuscire a delineare cosa gli sia successo in quel lasso di tempo, di cosa sia stato testimone, volontario o meno. E così risente vecchi compagni di avventura inseguendo i ricordi che mancano all’appello. Ma il cammino è impervio e c’è il rischio che nella foga di scavare a ritroso, non ci si renda conto che la verità che si brama, pur legata ad avvenimenti remoti, può avere ricadute anche sul presente, sul modo di essere e di porsi nei confronti della vita. Sempre ammesso e non concesso che una lettura dei propri trascorsi sia fattibile, sia la cruda verità e non una rappresentazione filtrata dall’istinto di soppravvivenza che cancella ciò che la mente non è bene ricordi. Un film riuscito non c’è che dire (a ripopra di ciò, la pellicola è già pluripremiata) capace di presentare l’orrore della morte e, di contro, la vitalità della giovinezza, con molto tatto, con una delicatezza che forse solo l’animazione consente. A riportare lo spettatore alla realtà però, a ricordare a tutti che non si tratta di una favola disneyna, le immagini non più frutto di elaborazioni digitali, vere, reali, delle ultime sequenze che ci invitano a non dimenticare. E a impegnarci perchè non si ripetano più tragedie analoghe.