Progressive Web App, la risposta di Google agli Instant Articles di Facebook

Img: theguardian.com

Catturare l’attenzione degli utenti, questa la primaria sfida di chi online si occupa di informazione (ma non solo).

Nel tentativo di aiutare le media company a centrale l’obiettivo, dopo un periodo di test con alcune selezionate testate, Facebook da aprile dello scorso ha iniziato a proporre gli Istant Articles, uno strumento che le testate, anche in Italia, hanno subito cominciato ad utilizzare con l’ambizione di sfruttare al meglio l’enorme bacino di potenziali lettori del social network di Zuckerberg.

Pubblicando le notizie direttamente su Facebook piuttosto che rimandare i lettori al proprio sito, gli editori hanno deciso di puntare in particolare sull’aspetto legato alla velocità che, secondo fonti interne al social network, risulta di ben 10 volte superiore alla “normale” navigazione web da mobile.

Con gli Instant Articles a migliorare in realtà è l’intera fruizione delle notizie – più interazione e una più intelligente multimedialità – ma è indubbio che proprio la rapidità sia l’aspetto dell’esperienza ad appagare maggiormente l’utente, predisponendolo in maniere più decisa non solo alla lettura del contenuto, ma anche alla sua condivisione.

Ai progetti di Facebook in termini di distribuzione dei contenuti non poteva non rispondere l’altro gigante del web, Google. Forte della propria esperienza con le Accelerated mobile pages (Amp), un protocollo aperto fatto testare a 30 editori (tra i quali la Stampa) che consente di realizzare pagine molto più “leggere” da caricare, l’azienda di Mountain View ha deciso di puntare sulle cosiddette Progressive Web App. Senza entrare troppo nel tecnico, si tratta di una nuova tecnologia che combina i lati positivi del web con quelli delle mobile app. Due degli esempi più noti sono da una parte il canale e-commerce Flipkart, dall’altra la compagnia aerea Air Berlin. Con il nuovo linguaggio è stato possibile per entrambe le realtà non solo velocizzare l’esperienza degli utenti rendendola più piacevole – e, quindi, più proficua in termini di engagement – ma anche offrire una navigazione più flessibile con notifiche e contenuti disponibili anche senza una connessione internet.

Pioniere per quel che concerne il settore media è il Washington Post che proprio sulla tecnologia di Google sta da mesi testando una versione beta del proprio spazio online. Per renderne più veloce la consultazione e per dare modo agli utenti, in caso di perdita temporanea del segnale, di continuare a fruire dei propri contenuti (il sistema in automatico scarica tutti gli articoli della sezione visitata in un preciso momento da un utente, come anche le pagine a cui i collegamenti del pezzo rimandano).

Anche il britannico Guardian ha voluto mettere alla prova la nuova tecnologia firmata Google: in occasione delle olimpiadi, il team USA del quotidiano, ha lanciato Rio Run, un podcast interattivo – ricco di contenuti giornalistici ma dal lato anche ludico oltre che informativo, con badge da sbloccare e medaglie virtuali da aggiudicarsi – per seguire il percorso della torcia olimpica in Brasile.

Se è vero che resta ancora qualcosa da migliorare in termini di compatibilità – come è lecito aspettarsi, le PWA funzionano molto bene su Chrome in ambiente Android, meno su iOS – in molti tra gli addetti ai lavori sono pronti a scommettere che le PWA, spostando l’attenzione ancor di più sull’ottimizzazione dei contenuti per il mobile, possano rappresentare una valida soluzione per proseguire l’innovazione del comparto legato al mondo dell’informazione.

Giornali su Facebook, la sperimentazione continua

Img: niemanlab.org

In più occasioni nel blog ho parlato degli Instant Articles, l’innovativa soluzione testata da Facebook con alcuni selezionati partner del comparto media. Sono stato felice di constatare come le sperimentazioni dei giornali con il social network di Mark Zuckerberg in realtà non si limitino alle soluzioni più gettonate (e dibattute) ma, nel tentativo di incontrare l’interesse e le modalità di fruizione più affini ai lettori, possano anche prevedere un certo grado di “creatività”. Due gli esempi ai quali, più degli altri, mi riferisco.
Il primo – e forse quello un po’ più scontato dopo i test delle notizie via Whatsapp – è quello del quotidiano tedesco Bild, il secondo – a mio modo di vedere molto originale – quello del Boston Globe.

Per quel che concerne il giornale fondato da Alex Springer, la redazione ha iniziato a sperimentare l’invio di un numero limitato di notizie attraverso Facebook Messanger. Sfruttando le news sportive legate al calcio mercato (la cui finestra invernale si è da poco conclusa anche in Germania) e, in una sorta di secondo canale tematico, le informazioni legate a un reality show ora in onda nel Paese, gli utenti iscritti al sistema vengono informati dal giornale circa le principali notizie mediante dei messaggi consultabili nella propria casella su Facebook. Al di là dei numeri dei partecipanti all’esperimento (la pagina Bild Ticker ha raccolto sinora poco meno di 700 like) e del fatto che non si tratta di contenuti esclusivi ma di semplici rimandi a pezzi visibili nel sito della testata, il progetto mi pare comunque interessante da seguire. Se da un lato il progetto può risultare invasivo vuoi per un numero di messaggi percepito come eccessivo, vuoi perché le news giocoforza si mescolano a conversazioni della propria sfera privata, i messaggi, proprio perché diretti e “personali”, potrebbero risultare efficaci in termini di partecipazione. Messenger in questo senso, rappresenta la frontiera da poco sdoganata e aperta dal social network agli sviluppatori per creare nuove esperienze interattive.

Il Boston Globe, invece, ha pensato di iniziare a utilizzare con maggiore efficacia (e intelligenza) una tab che in alcune pagine Facebook non risulta nemmeno visibile. Usando le Note il quotidiano della capitale del Massachusetts propone una sorta di newsletter dedicata alle primarie per la presidenza degli Stati Uniti: una pagina molto semplice, con testi (normali e in grassetto) e link al sito del giornale (la sezione note non consente molta libertà di manovra, niente embed di video di YouTube o foto di Instagram). Anche in questo caso il test, al di là del numero di like e di condivisioni, può rappresentare un primo passo verso una modalità alternativa di confronto tra utenti e testate giornalistiche. Dallo scorso settembre la sezione Note è stata “riesumata” da Facebook che l’ha resa più flessibile (e personalizzabile) e, come i più “nobili” Instant Articles, pare faccia registrare tempi di caricamento dei contenuti molto rapidi, aspetto tutt’altro che secondario soprattutto in virtù del crescente numero di utenti da mobile.

Forse i due esperimenti citati non risulteranno di immediato né rilevante impatto sul pubblico ma evidenziano una volta di più l’interesse delle testate nei confronti di Facebook, strumento principe nella quotidianità digitale di moltissimi utenti.

Facebook Instant Articles: l’immediatezza che genera valore?

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Lo scorso 16 dicembre, a poco meno di una decina di giorni dal Natale, Facebook ha comunicato di aver esteso anche agli smartphone Android la visualizzazione degli Instant Articles. La fase di test, iniziata lo scorso ottobre con i dispositivi iPhone si è dunque conclusa con successo: sulla base di quanto comunicato sono salite a 350 le testate che lavorano con Facebook al progetto (poco meno di una 10ina le italiane), più di 100 delle quali pubblicano quotidianamente i loro articoli con questo nuovo strumento messo a punto dall’azienda californiana per venire incontro alle esigenze dei media.

La collaborazione tra le redazioni e Facebook, iniziata a metà degli anni Duemila con grandi investimenti, nel corso del tempo, con le evoluzioni del newsfeed e il conseguente ridimensionamento della visibilità degli utenti rispetto ai contenuti pubblicati, ha deluso parte delle aspettative riposte dai giornali nel social network.
Molte testate hanno infatti nel corso del tempo visto scendere il traffico ai loro siti e Facebook, considerato talvolta, in un eccesso di ottimismo, una panacea per i giornali, ha finito per diventare uno strumento di routine ma non efficace quanto auspicato nel risollevare le sorti delle testate.
Facebook ha tuttavia sempre strizzato l’occhio al comparto media, le news rappresentano “risorse” ideali da condividere, contenuti che possono contribuire ad aumentare il tempo speso dagli utenti nel social network.
Ecco perché i vertici dell’azienda hanno deciso, nei confronti dei giornali, di porsi in una rinnovata veste, più come piattaforma che come “rete di profili”: caricando i contributi direttamente su Facebook, senza rimandare a spazi esterni, e seguendo le direttive per ciò che concerne gli aspetti grafici degli articoli, la fruizione dei contenuti risulta più veloce – fattore questo discriminante nella navigazione da mobile – e decisamente più appagante in termini di interazione e di gestione di testi ed elementi multimediali che risultano ottimizzati per rendere al meglio (vedi video ufficiale).

Se uno studio di NewsWhip su 19 articoli istantanei del New York Times pare dimostrare l’efficacia dello strumento nel moltiplicare condivisioni, “mi piace” e, soprattutto, commenti rispetto ai “tradizionali” link ai pezzi diffusi nelle pagine, resta ancora da capire se gli Instant Articles funzionino anche in termini di ad revenue, se in altre parole possano aiutare le testate a fare in modo che gli articoli non solo generino un maggiore tasso di interazione dei lettori ma siano anche in grado di incrementare gli introiti dei messaggi pubblicitari che negli Istant Articles trovano spazio.
Questa credo sia per Facebook una delle sfide da vincere nell’anno appena iniziato.
Anche perché alcune delle testate che sin da subito hanno appoggiato il progetto hanno invitato il social network a rivedere parte delle proprie posizioni giudicando troppo restrittive le linee guida che regolano il rapporto tra redazioni e social network nell’ambito pubblicitario. Un primo momento, ad esempio, non erano previsti “rich media” (inserzioni multimediali) ma solo banner 320 x 500 pixel ogni 500 parole di testo.

Come indicato nella bella intervista di NiemanLab a Michael Reckhow, product manager Instant Articles, resta ancora molto da fare per definire nel migliore dei modi la “forma” più adatta per venire incontro alla esigenze degli editori supportandoli nel costruire strumenti sempre più efficaci nel catturare l’attenzione dei lettori di Facebook. Ma la strada intrapresa sembra quella buona.

News Feed il segreto del successo di Facebook?

Img: newsroom.fb.com

 

Da alcuni giorni il team di Facebook ha annunciato una nuova modifica al News Feed, l’algoritmo che regola il flusso di notizie visualizzato dagli utenti. Se l’obiettivo resta sempre quello di mostrare le storie più interessanti per il profilo che le scorre, da alcuni giorni per il pubblico statunitense, all’organizzazione automatica dei contenuti si affianca la possibilità di personalizzare, almeno in parte, il controllo del flusso comunicativo. Ogni utente ha modo infatti di selezionare amici e pagine i cui contributi vedere prima, definendo quindi le proprie priorità.

La storia del News Feed è piuttosto interessante. Non solo perché ogni cambiamento nell’algoritmo che lo regola inevitabilmente finisce per influenzare ciò che ognuno di noi visualizza accedendo a Facebook, ma anche perché il News Feed è il fulcro del social network, sicuramente uno degli aspetti sui quali Mark Zuckerberg e soci investono molto.

Il lancio del News Feed è datato settembre 2006, prima Facebook – come suggerisce il nome –era essenzialmente una raccolta di profili nei quali gli utenti potevano indicare i loro hobby, la loro band preferita, caricare foto, scrivere nelle bacheche degli amici, ma nei quali alle diverse azioni non era data molta rilevanza. Con il diffondersi del social network gli sviluppatori si accorsero però che un numero sempre maggiore di utenti sceglieva di visualizzare la sezione dedicata alle modifiche dei profili degli amici. Gli ingegneri decisero così di semplificare la modalità in base alla quale restare informati circa gli aggiornamenti del proprio network di amici lanciando appunto News Feed.
Curiosamente, la novità non fu accolta benissimo: dando maggior risalto alle azioni – in tempo reale si iniziò ad essere informati su ogni singola modifica nei profili degli amici – gli utenti come mai prima si videro inondati di notifiche. Tanto che, non abituati, in molti si riunirono in gruppi quali “Students Against Facebook News Feed” chiedendo ai vertici del social network un passo indietro. Il malumore fu così acceso che lo stesso Zuckerberg si trovò “costretto” a tranquillizzare gli utenti invitandoli a vedere News Feed come una interessante modalità per restare informati sulle novità nella vita degli amici.

Con il debutto, nel 2009, del pulsante “like” attraverso il quale gli utenti iniziarono ad interagire con l’algoritmo alla base del News Feed (indicando al sistema i contributi più interessanti e ai quali dare maggiore visibilità) le dinamiche cambiarono notevolmente.

Dall’osservazione del comportamento degli iscritti, Facebook arrivò allo sviluppo, nel 2011, del cosiddetto EdgeRank, una formula più complessa per la gestione delle notizie da mostrare, in grado di “adattarsi” alle esigenze degli utenti differenziando ogni profilo sulla base (essenzialmente) di tre variabili: affinity, weight, decay. Con il parametro affinity l’algoritmo valuta le relazioni tra gli utenti misurando il grado di interazione tra i profili e premiando i contenuti di chi è riuscito a generare un numero maggiore di like, di commenti, di condivisioni; il concetto di weight, invece, fa riferimento alla tipologia di status: foto e video hanno la priorità su semplici link che a loro volta vengono visualizzati prima degli aggiornamenti di solo testo (anche commenti e like contribuiscono ad aumentare il “peso” di un contributo pubblicato); (time) decay, infine, valuta il tempo trascorso dalla messa online del contributo.

La ricerca di Facebook continua, gli aggiornamenti del News Feed sono ormai a cadenza (quasi) settimanale e oltre alla possibilità di personalizzare manualmente il proprio flusso di aggiornamenti, da alcune settimane l’algoritmo tiene in considerazione anche il tempo speso sul singolo post per valutare il grado di interesse di uno status (enfatizzando maggiormente i contenuti degli amici rispetto a quelli delle pagine).

Quindi presente e futuro passano sicuramente da News Feed. Non solo perché più efficace sarà l’algoritmo più tempo ognuno di noi spenderà su Facebook, ma soprattutto perché più attenzione il flusso informativo sarà in grado di catturare più introiti dagli inserzionisti il social network riuscirà ad ottenere.

Per i brand, la sfida per ottenere una relazione sempre più stretta con gli utenti è iniziata. Perchè ormai il “mi piace” può non bastare più.

L’informazione può prescindere da Facebook?

Img: dawn.com

Il rapporto tra il mondo dell’editoria e Facebook ha vissuto fasi alterne. Al grande entusiasmo delle principali testate per le applicazioni di Social Reading – adottate a partire dal 2009 per leggere, commentare, condividere gli articoli proprio attraverso il social network di Palo Alto – si è registrato un raffreddamento in virtù dei successivi cambiamenti nell’algoritmo della gestione del flusso di notizie (e dei conseguenti ridimensionamenti del traffico da Facebook) che hanno messo la parola fine a molti dei progetti di stretta collaborazione.

Dalla scorsa settimana, una notizia pubblicata dal New York Times, ha però riportato sotto i riflettori l’ambizione di Facebook di diventare il “miglior giornale personalizzato del mondo”. Pare infatti che il social network guidato da Zuckerberg, forte dei suoi 1,4 miliardi di utenti, abbia iniziato ad intavolare con una dozzina di media company (tre le quali BuzzFeed, National Geographic, il Guardian, l’Huffington Post, Quartz e lo stesso NYT) una serie di incontri per valutare la disponibilità delle testate a veicolare i contenuti direttamente nel social network piuttosto che utilizzare, come avviene ora, collegamenti esterni ai vari articoli.

L’obiettivo parrebbe quello di incrementare la soddisfazione del lettore in termini di user experience: superando l’ostacolo del rimando ai siti delle testate e, conseguentemente, il caricamento di nuove pagine, il rischio di spazientire l’utente, soprattutto se si tratta di un lettore che naviga su web da mobile, si ridimensionerebbe notevolmente. Ciò comporterebbe un aumento del tempo speso nel social network e, quindi, un incremento dell’esposizione ai messaggi pubblicitari veicolati attraverso Facebook.

Al di là delle modalità legate alla pubblicità all’interno dei contenuti delle testate – pare che Zuckerberg e soci vogliano proporre agli editori una sorta di affiliazione: spazi pubblicitari gestiti da Facebook inseriti negli articoli e suddivisione degli introiti in base alle performance – resta da capire se le testate accetteranno di scambiare la visibilità dei loro pezzi cedendo però a Facebook i (preziosi) dati circa i profili dei lettori e il loro comportamento nei confronti del materiale informativo.

Leo Mirani, in un interessante articolo pubblicato da Quarz, ha sottolineato come l’offerta di contenuti a “spazi terzi” (quali, ad esempio, YouTube e Snapchat) attraverso i quali diffondere gli articoli, non sia per le redazioni una novità. Proprio per questo motivo, a suo dire, non bisogna temere l’iniziativa di Facebook (che, tra l’altro, non prefigura il social network come canale giornalistico esclusivo). Perché non si può insistere nel pensare che siano i lettori a visitare i siti delle varie testate: chi produce contenuti deve essere presente nei luoghi dove gli utenti sono soliti raccogliersi.

E sotto questo punto di vista, nel bene e nel male, prescindere da Facebook oggi non sembra possibile.

Citizen Chris: da Facebook a The New Republic

Img: nyt.com

Chris Hughes è uno dei fondatori di Facebook e, proprio per questo, nonostante la giovane età (è del 1983) è già multimilionario. Nell’estate del 2012 acquista lo storico magazine The New Republic con l’intento di rilanciare il giornale nelle sue diverse versioni (carta, sito e app) perché – come riportato in un suo scritto ai lettori del gennaio 2013 – una società democratica necessita di un serio e florido comparto media per generare nuove idee e offrire innovativi approcci ai fatti di ogni giorno. L’obiettivo è quello di creare una digital-media company verticalmente integrata capace di attirare lettori e, quindi, inserzionisti. E per fare ciò non bada a spese: nuovo ufficio, nuovo team di giornalisti, sito web completamente ridisegnato e, più tardi, un grande party per festeggiare i 100 anni della rivista (con ospiti, tra gli altri, Bill Clinton e Wynton Marsalis). All’atto della firma per rilevare la quota di maggioranza del giornale ecco il primo colpo di teatro: a capo del magazine, al posto di Richard Just – uomo chiave nel convincere Hughes ad investire nel giornale – arriva, secondo i bene informati all’insaputa di tutti, la (auto)nomina a direttore dello stesso Chris. Carica che di lì a pochi mesi cederà a Franklin Foer, richiamato al giornale dopo che lo aveva lasciato nel 2010.
Gli avvicendamenti non portano i risultati sperati, le divisioni interne si acuiscono (pare che alcuni diverbi tra Hughes e giornalisti dello staff siano nati a causa di articoli dai toni particolarmente critici nei confronti del mondo della Silicon Valley che egli stesso, almeno in parte, rappresenta), arriva un nuovo cambio al vertice: via Foer, arriva Gabriel Snyder.
La strategia del giornale agli occhi del personale (ma anche di molti tra gli addetti ai lavori) non sembra più così azzeccata, in molti lasciano la redazione accusando la proprietà di aver inferto il colpo letale al New Republic portando avanti il progetto di trasformare il magazine in una sorta di azienda tecnologica, in una start-up. La lotta intestina tra il mondo dell’informazione focalizzato sulle modalità per incrementare il traffico web e quello riconducibile a un giornalismo narrativo e critico nei confronti dell’establishment pare insanabile.
Nella lettera alla direzione con la quale venti giornalisti rassegnano le dimissioni, sintesi del malcontento della redazione, si sottolinea come The New Republic non sia importante esclusivamente in virtù della storia del brand; non si tratta, in altre parole, di (mero) business ma di una causa, non di un prodotto ma di una voce.
In una recente intervista rilasciata al Washington Post, Hughes, commentando quanto accaduto, si è detto dispiaciuto ma ancora desideroso di continuare a lavorare per la realizzazione di un progetto di giornalismo sostenibile, in grado cioè di preservare contemporaneamente i conti in attivo e l’istituzione che The New Republic rappresenta.

Nonostante la dedizione e la voglia di continuare a “lottare”, il numero di febbraio, per la prima volta da un secolo a questa parte, non sarà però in edicola.

Our success is not guaranteed, but I think it’s critical to try.

Trending e Paper, due novità di Facebook che strizzano l’occhio alle news

Ormai più di un mesetto fa, in un mio post, avevo sottolineato come i recenti cambiamenti introdotti, avvicinassero Facebook sempre più all’idea di un information network.
Le notizie di questi giorni sembrano confermare che una delle strade intraprese da Mark Zuckerberg & Co. (in particolare da Chris Cox e dal suo team) vada proprio nella direzione di rafforzare lo spazio dedicato alle news.

Il social network sta infatti testando il redesign della sezione Trending e pare stia per lanciare Paper, una news reader app sulla falsa riga di Flipboard.

Su entrambi i progetti le informazioni che trapelano non sono molte. Per quel che riguarda la sezione “Trending”, a differenza di quanto avviene su Twitter, i temi più chiacchierati del momento non vengono visualizzati come semplici hashtag/parole chiave, ma sono accompagnati da informazioni che li contestualizzano. Associati ai trend topic sono proposte, infatti, descrizioni che spiegano nel dettaglio, seppur in maniera sintetica, i motivi che portano a tanto interesse (in sostanza, dei lanci di agenzia). Altra grande peculiarità è quella che, in virtù dei propri algoritmi, Facebook è in grado di mostrare topic affini ai gusti dell’utente, personalizzando le informazioni da visualizzare in base agli interessi di chi naviga tra i contenuti.

Img: TechCrunch.com

Il progetto Paper è ancora avvolto nel mistero, non ci sono dettagli sulla sua declinazione (app stand-alone come l’acquisizione di Push Pop Press forse potrebbe presagire, o applicativo interno a Facebook?). Molto probabilmente sarà qualcosa simile a Flipboard e Zite, un’applicazione mobile capace cioè di organizzare status e notizie di blog e testate giornalistiche sottoforma di magazine elettronico da sfogliare.

Forse, almeno inizialmente, Paper non brillerà per originalità, ma potrebbe aiutare – come del resto il redesign della sezione Trending – il social network ad aumentare l’engagement in termini di interazioni, visualizzazioni e tempo speso.
Musica per le orecchie degli inserzionisti.

Facebook sempre più information network [parte 1]

Facebook News Feed

Img: Newsroom.fb.com

Alcuni giorni fa, la Newsroom di Facebook ha diffuso la notizia circa l’ulteriore sviluppo del design del News Feed, l’algoritmo alla base della visualizzazione degli status.

Il social network di Mark Zuckerberg sta progressivamente spostando la propria attenzione verso i contenuti informativi avvicinandosi, per certi versi, al concetto di information network che Twitter ha fatto proprio sin dagli esordi.

La sfida – dichiarata pubblicamente – per gli sviluppatori dell’azienda di Palo Alto è quella di offrire il giusto contenuto, alle giuste persone nel momento giusto. Proprio in quest’ottica, l’evoluzione del News Feed punta ad assecondare l’esigenza degli utenti (particolarmente accentuata nell’utilizzo da mobile) di leggere le notizie più rilevanti.

In altre parole, più un contenuto sarà in grado di far interagire gli utenti con “mi piace”, commenti e condivisioni, più guadagnerà in visibilità. La novità, rispetto a quanto già accade, è la volontà di Facebook di puntare su contenuti di qualità a discapito, per esempio, dei meme, i tormentoni online capaci di diffondersi con notevole rapidità. Da quanto sinora emerso circa il rinnovato News Feed, il sistema sembrerebbe quindi premiare contenuti informativi esterni a Facebook piuttosto che, ad esempio, semplici contributi fotografici diffusi dagli utenti proprio grazie al social network.

Inoltre, se uno dei nostri amici commenterà una delle notizie ritenute rilevanti dall’algoritmo, questa sarà visibile anche nel nostro flusso di status: ciò, senza i recenti sviluppi, non sarebbe potuto accadere.

Per stimolare ancora di più l’interesse degli utenti di Facebook verso i contenuti informativi “di qualità”, il social network ha iniziato a testare anche un sistema che consente di mostrare articoli correlati a ciò che si sta leggendo e il cui contenuto si potrebbe quindi trovare utile.

Un’opportunità da non lasciarsi sfuggire per le redazioni online. In ottobre, dati Facebook, il cosiddetto referral traffic dal social network ai siti informativi è cresciuto in media di oltre il 170%, percentuale triplicata rispetto a quella dello scorso anno.

Facebook si appresta a diventare sempre più “media” e sempre meno “personale”?

UPDATE: leggi anche Facebook sempre più information network [parte 2]

La continua crescita del formato video e l’effetto Vine

Vine vs. Instagram via Willa.me

Negli ultimi anni ho avuto modo di approfondire lo sviluppo e la crescita del video online (parte di ciò che ho appreso è poi stato raccontato nel libro Viral Video del quale sono co-autore). Nessuna sorpresa, quindi, nel constatare la crescita sempre maggiore del “mercato del video” anche al di fuori della pianificazione pubblicitaria che, sul formato più impattante rispetto al semplice banner, ha iniziato a concentrarsi già da alcuni anni (riproponendo però, nella fase iniziale, gli stessi contenuti televisivi senza alcun adattamento al web e alle peculiarità della Rete).

Quello che però mi ha sorpreso è, invece, il lasso di tempo nel quale gli utenti si stanno trasformando da semplici fruitori multimediali in veri e propri registri. Se poco più di un anno fa parlavo di Socialcam e Viddy, oggi invece mi trovo a raccontare dell’esplosione di Vine, strumento (per chi non ancora non lo conoscesse, permette di registrare e condividere video di 6 secondi) utilizzato anche nelle proteste di questi giorni dei giovani turchi e brasiliani (la rivolta verdeoro è detta “rivoluzione dell’aceto”, vinegar in inglese, termine che curiosamente contiente proprio la parola Vine) per rendere ancora più efficaci le loro rivendicazioni di una rinnovata equità sociale.

E così, mentre Vine ha da poco lanciato anche la versione per Android, Facebook, dopo aver lasciato trapelare l’obiettivo di far proprio l’utilizzo degli hashtag, pare possa controbattere ai filtri fotografici di Twitter permettendo agli utenti di Instagram di girare, editare e condividere video, superando così il concetto di pura applicazione fotografica (update: con la versione 4.0.0, Instagram ha esteso i filtri anche ai contenuti video di 15 secondi). Da appassionato di fotografia su/con Instagram, ragionando senza pensare troppo al “business”, la notizia al momento non mi esalta: troppo vivo il timore di una “deriva” che possa portare il servizio a diventare una (brutta?) copia di YouTube, con (odiati) spot che anticipano i contenuti degli utenti.

In ogni caso, tanta attenzione verso il formato video certifica lo sviluppo ad una multimedialità più evoluta. Il claim della prossima pubblicità dell’iPhone, dopo aver sottolineato che con lo smartphone della Mela si ascolta più musica e si scattano più foto che con ogni altra macchinetta, potrebbe quindi focalizzare l’attenzione proprio sul video.
In fondo, a ben pensarci, la condivisione è esplosa prima testualmente (blog), si è arricchita di immagini (dalle gif animate a Pinterest) e ora uno dei fronti caldi sembra proprio essere quello legato al video, per un superamento di YouTube e delle piattaforma di videosharing con spazi che esaltano forme di creatività ridotta (i 140 caratteri di Twitter in fondo corrispondono ai 6 secondi di Vine) più facilmente e velocemente fruibili e distribuibili sugli smartphone che portiamo sempre con noi. Una bella sfida per coloro che i occupano di comunicazione di marca: i 6 secondi diventeranno lo standard, la soglia massima di attenzione oltre la quale gli utenti passeranno ad un altro contenuto video? Per scoprirlo, forse, non bisognerà aspettare nemmeno molto.

The Waiting, la serie web per il lancio della Nuova Renault Clio #waiting4clio #enigmi4clio

Alcune settimane fa ho parlato dell’importanza dello storytelling nella comunicazione digitale per puntare al coinvolgimento del pubblico online. In questo post, continuando quei ragionamenti, vorrei spendere due parole sulla bella iniziativa proposta da Renault per il lancio della Nuova Clio. Si tratta di una vera e propria serie (dai toni vagamente sci-fi) – The Waiting questo il titolo ad anticipare l’uscita dell’auto prevista per metà mese – con protagonista Luca Argentero per la regia di Igor Borghi (noto aver contribuito ad alcuni episodi di R.I.S. Delitti Imperfetti) e la sceneggiatura di Chiellini, De Marinis, Levati, autori della parodia italiana di Nip/Tuck, Taglie e Cuci.

Tempo rallentato, colori innaturali, linguaggi sconosciuti, strane visioni iniziano ad annebbiare la vista del protagonista, incapace di capire cosa gli stia accadendo. Passano i giorni e le visioni diventano sempre più frequenti e il rapporto con chi lo circonda sempre più distaccato. Ecco il video della quinta e ultima puntata (per partire dalla puntata pilota invece cliccare qui):

La comunicazione di Renault non si è fermata al video. E’ stata creata una vera e propria community online attorno alla nuova auto e all’iniziativa (chiamata waiting4clio), con offerte dedicate a chi si è registrato (offerta limited edition sport, offerta di finanziamento, offerta di supervalutazione),  materiali dal backstage delle riprese e opportunità di sconto per gli acquisti effettuati tra i brand partner (tra i quali Spalding e Philips).

E’ stata inoltre creata una pagina Facebook enigmi4clio attraverso la quale ogni settimana, in corrispondenza del lancio di un nuovo episodio, è stato chiesto agli utenti di trovare, all’interno del video, la soluzione ad un enigma del quale veniva dato un inizio.

Il finale che personalmente avrei dato alla serie? Il protagonista, raggiunta l’auto, avrebbe aperto la portiera e avrebbe visto uscire l’uomo misterioso che, sarcastico, gli avrebbe chiesto: “Vuoi un passaggio?”. Sarebbe quindi scappato correndo veloce tra il traffico. Nella fuga, girando l’angolo di un edificio, si sarebbe trovato una nuova Renault Clio di fronte che, per evitarlo, avrebbe dovuto effettuare una portentosa frenata. Rendendosi conto del pericolo, con lo stridere dei pneumatici sull’asfalto sempre più vicino avrebbe chiuso gli occhi coprendosi quasi istintivamente il volto con le braccia urlando. In preda all’ansia, dopo alcuni secondi di improvviso silenzio, avrebbe aperto di scatto gli occhi ritrovandosi sul proprio letto. Un secondo dopo sarebbe squillato il cellulare e, riconoscendo la voce della segretaria, il protagonista si sarebbe reso conto di essere tornato al primo giorno di visioni. Stavolta, all’invito della sua lei però, avrebbe accettato evitando di isolarsi in una “realtà parallela” e spazzando contemporaneamente via le macabre visioni (per proposte di finali alternativi usate pure i commenti).

Bella iniziativa (e bella anche la nuova Clio!) che spero possa proseguire anche dopo l’uscita dell’automobile in concessionaria.

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