The Tree of Life, un’anima persa nel mondo moderno

The Tree of Life di Terence Mallick non è il solito film. E’ un’opera di visioni che si alternanto sullo schermo come nella mente del protagonista – l’adulto Jack (interpretato da Sean Penn) – che rivive i primi anni della sua vita con la famiglia in Texas.

Immerso nella sua vita lavorativa, circondato da grattacieli e rinchiuso in spazi artificiali, Jack affoga nei propri ricordi alla ricerca del senso della vita: la famiglia, la scuola, gli amici, i giochi, la prima cotta, il desiderio di autonomia, il conflitto con i genitori, insomma la scoperta di un mondo che via via si è dipanato davanti ai suoi occhi.

Un mondo nel quale esistono due opposti che si intrecciano: la madre che con affetto lo educa alla grazia e all’apprezzamento di tutto ciò che lo circonda e il padre che invece, severo e iperprotettivo, gli intima di non lasciarsi mai mettere sotto e di badare solo ai propri sogni e alle proprie ambizioni.

Perso nel tentativo di capire quale possa essere la strada da intraprendere, Jack viaggia con la mente (“the life journey through the innocence of chilhood to the disillusioned adult years” come recita la sinossi) ricostruendo la propria esistenza grazie a tante piccole videocartoline che si susseguono senza un ordine ben preciso alternando natura e spazio, passato e presente, realtà e immaginazione. Le onde del mare, un’eclisse, il volo di una farfalla, il vento tra le fronde degli alberi, la smorfia di un neonato, una cascata, le ombre di bambini che giocano, il riflesso della luce.

A tratti sembra una sorta di inno, un appello spirituale a vivere la propria vita amando (perchè solo nell’amore troverà compimento e non finirà in un baleno) e nella consapevolezza che il senso di tutto sarà chiaro solo alla fine del nostro “viaggio”.

La pellicola, fresca vincitrice della Palma d’oro a Cannes, è in realtà un vecchio progetto del quale da anni si vociferava l’uscita (di volta in volta associato ad interpreti diversi) che oggi, arrivato finalmente nella sale, ho diviso pubblico e critica.

Nel complesso forse eccessivamente prolisso ma di notevole impatto visivo, il film di Mallick ha saputo emozionarmi proprio in virtù della sua non linearità, del suo narrare quasi esclusivamente tramite (bellissime) immagini quasi il regista stesso – come noi in sala – non fosse altro che uno spettatore di quello che, malgrado aspetti talvolta negativi, resta il grande spettacolo della vita.

B come Barcellona, B come Biutiful, B come Bardem

Alejandro Gonzalez Inarritu è uno dei miei registri preferiti, il suo modo di raccontare per immagini la vita e la morte mi ha sempre affascinato (in particolare 21 grammi è il suo film che preferisco). Da pochi giorni è di nuovo nei cinema nostrani con Biutiful opera per la quale Javier Bardem ha vinto la Palma d’oro di miglior attore protagonista.
Un film lungo – a tratti forse un po’ lentino – che racconta le vicende di un gruppo di individui accomunati da una vita (difficile) ai margini. In una Barcellona molto lontana dai festi di Vichy Cristina Barcellona, un gruppo di uomini e donne cerca di sopravvivere grazie a piccoli espedienti al limite della legalità. Ciò che accomuna i personaggi è un destino segnato nello stesso tempo dall’amore (tra genitore e figli, tra marito e moglie, tra amanti…) e dalla miseria di un’esistenza votata al sacrificio e amara di gioie (forse proprio per questo motivo il titolo del film è una storpiatura di termine inglese “bello”).
Mentre colonne di fumo si levano da enormi ciminiere – show must go on come cantava Freddy Mercury – la vita ai bordi della città si può semplificare in un dualismo sfruttatori-sfruttati che poco spazio lascia all’umanità.
In un consteso simile, il protagonista, Uxbal, dovrà ogni giorno dimostrarsi forte tanto da poter gestire il rapporto con i figli desiderosi di affetto e cure, con la propria fragile e volubile moglie, con “colleghi” di lavoro diversi e dalle esigenze spesso contrastanti e, infine, con il proprio corpo dalla “cagionevole salute”. Trovando non solo il modo di sbarcare il lunario ma che anche di grantire a sé stesso la pace che riesce, quando interpellato, a donare ai defunti.
Un film intenso, a volte crudo, contrassegnato dal classico “misticismo” di Inarritu che non può lasciare indifferenti.