Con EveryBlock l’informazione iperlocale torna a sperare

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Scrivendo News(paper) Revolution ho potuto constatare di persona la difficoltà di raccontare la Rete (e in particolar gli aspetti informativi del web), uno spazio comunicativo fluido e in perenne evoluzione. Emblematico rispetto alla complessità del mettere nero su bianco ciò che cambia molto (troppo?) velocemente, è il servizio di hyper local news, EveryBlock.

Nato nel 2007 da un’idea di Andrian Holovaty e poi lanciato ufficialmente nel gennaio 2008, per molti anni EveryBlock è stato uno degli esperimenti più interessanti del panorama giornalistico statunitense. Dando modo agli utenti di contribuire alla realizzazione di una community online del proprio quartiere, il servizio affiancava informazioni di pubblica utilità a notizie da forum, blog e quotidiani online inerenti alla propria area di residenza. Una sorta di geo-forum (così lo sintetizza Holovaty) il cui successo portò a coprire 19 città degli Stati Uniti (tra le quali New York e San Francisco) attirando così le attenzioni di MSNBC.com che lo acquisì nel 2009. Società nata, come indicata il dominio, dall’unione tra Microsoft (MSN) e Comcast (NBC) che però non ebbe lunga vita. NBC News, tuttavia, riuscì ad aggiudicarsi completamente il sito nel luglio 2012 e, benché Holovaty, un mese dopo lasciasse il progetto di cui era padre, non esitai a raccontare di EveryBlock nella versione cartacea del mio libro, segnalandolo quale uno dei più concreti esempi di giornalismo come servizio per i cittadini di una determinata area geografica.

News(paper) Revolution dal 24 gennaio 2013 è nelle librerie e nemmeno un mese dopo, il 7 febbraio, leggo che la NBC News, visto il bilancio, è costretta a rivedere il proprio portfolio digitale: morale, EveryBlock viene chiuso perché non considerato strategico per la crescita della società.
Inizio a lavorare alla versione ebook del libro – ampliata e aggiornata, uscirà a maggio – e, visto quanto accaduto, decido di sostituire la citazione ad EveryBlock con GuardianWitness, altro progetto molto interessante che vede la partecipazione, nel flusso informativo, di “semplici” cittadini.

Fine della storia?

No, perché ad inizio 2014 Comcast decide – un po’ a sorpresa – di investire nuovamente in EveryBlock che, lo scorso 23 gennaio, torna operativo a Chicago (un percorso analogo è stato seguito da Patch, esperimento di informazione iperlocale di AOL).

Happy ending? Non proprio, il finale resta aperto. Se infatti esiste sicuramente un pubblico interessato a ricevere informazioni sul luogo nel quale vive ed è inserito, ad oggi è altrettanto vero che i grandi investimenti si sono scontrati con guadagni pubblicitari non all’altezza delle aspettative.
Che si navighi a vista, tra l’altro, lo conferma anche Matt Summy, vicepresidente Comcast-Chicago region, quando a precisa domanda su quale possa essere la modalità per rendere un sito di notizie iperlocali redditizio, ha risposto: “Molto candidamente, al momento non lo sappiamo”.

Se i finanziamenti a sostegno di EveryBlock sono tornati, una qualche prospettiva interessante sicuramente ci sarà (in fondo Comcast Corporation non è solo notizie, è anche un provider, c’è tutto l’interesse da parte della società di vedere accrescere l’utilizzo del web da parte degli utenti).

Il progetto non è nato-rinato a Chicago per caso: la metropoli dell’Illinois è infatti nota per il suo approccio open data della gestione pubblico. Il nuovo EveryBlock si propone come piattaforma aperta a sviluppatori e cittadini che vogliano confrontarsi attorno alle notizie (comprese quelle la cui fonte è la Pubblica Amministrazione) del proprio vicinato.

Il futuro dell’informazione passa anche da EveryBlock, non resta che seguirne gli aggiornamenti.

[recensione] Twitter senza segreti di Luca Conti

Twitter senza segretiSono un fan di Twitter, strumento che ho iniziato ad utilizzare nell’ottobre 2008 (per conoscere a quando risale il tuo primo tweet, visita Twopcharts e inserisci il tuo nickname) e che da allora rappresenta per me una sorta di rassegna stampa mattutina in virtù della quale inizio la giornata scorrendo le notizie sui temi che più interessano. E’ in assoluto l’applicazione che utilizzo con maggiore frequenza, uno strumento ormai irrinunciabili per trovare spunti sui temi che mi appassionano, per condividere mie considerazioni, per commentare le mie esperienze (anche con altri media).
Di Twitter mi hanno subito colpito la semplicità, la velocità e la sintesi cui obbligava. Ho però rapidamente capito che dietro l’immediatezza di un tweet si nascondeva una rivoluzione in grado di cambiare (per sempre?) i connotati del mondo della comunicazione e di quello dell’informazione. Nel corso degli anni ho imparato così a distinguere le peculiarità di Twitter rispetto agli altri social media diventando un utente più smaliziato via via che lo stesso strumento si evolveva. Uno dei momenti topici, l’ho personalmente raggiunto nel maggio 2012 (se la memoria non mi inganna), quando appena avvertita una forte scossa di terremoto, la prima cosa che feci, istintivamente, fu quella di prendere lo smartphone e scrivere un tweet su ciò cui ero stato testimone salvo poi passare in rassegna i cinguettii delle persone che conoscevo per capire se anche loro avessero avvertito qualcosa.

Nonostante sul fronte degli investimenti pubblicitari non abbia ancora avuto modo di utilizzare Twitter (aspetto con molta curiosità l’opportunità di provare in prima persona le soluzioni advertising), non ho esitato un attimo ad associare anche al mio News(paper) Revolution un hashtag – #nepare – per stimolare/monitorare la conversazioni attorno al saggio e agli argomenti trattati.

Per restare in tema di libri, ho da pochi giorni terminato la lettura di Twitter Senza Segreti di Luca Conti, un testo pubblicato dalla casa editrice Hoepli molto interessante che mi sento di consigliare a tutti, sia a coloro che per ora si limitano ad osservare dall’esterno lo strumento, sia a coloro che invece lo utilizzano da tempo.
Le informazioni fornite sono davvero molte e consentono di scoprire passo passo l’unicità di Twitter, i suoi aspetti tecnici e i principi fondanti, le opportunità per chi voglia ascoltare, comunicare o promuovere, con tanti esempi concreti, profili da seguire, interviste e link attraverso i quali proseguire l’approfondimento. Un libro che in qualche modo rispecchia ciò su cui si focalizza: semplice, si legge senza annoiarsi e offre spunti molto interessanti per comprendere al meglio come Twitter nel giro di pochi anni sia diventata “l’agenzia stampa globale personalizzata” usata da politici, attori, responsabili di azienda, sportivi e giornalisti.

Uno dei punti sui quali l’autore insiste spesso che mi piace sottolineare è l’aspetto legato alla consapevolezza di come Twitter sia un social network di microblogging improntato alla partecipazione, alla conversazione, alla relazione. Utilizzarlo solo come l’ennesimo canale attraverso il quale diffondere il proprio messaggio significa probabilmente non aver appieno compreso le potenzialità dei messaggi in 140 caratteri.

La sfida è quella di individuare/proporre una modalità comunicativa (anche pubblicitaria) che possa essere percepita come “servizio” dagli utenti, come qualcosa di interessante, di costruttivo, di originale capace di indurre all’azione chi ne fruisce, risposta o condivisione che sia.

Forse mi sarei aspettato qualche parolina anche su Vine, mobile app di casa Twitter, questo l’unico appunto – ma proprio a cercare l’ago nel pagliaio – che mi sentirei di fare all’autore, al quale però ribadisco i miei complimenti per un libro davvero ben pensato e scritto.

Si fa cultura digitale anche raccontando con chiarezza e semplicità i nuovi strumenti digitali. E Luca Conti, in questo, è uno dei più bravi.

Un primo giudizio sul nuovo look di Gazzetta.it

Da alcuni giorni è online la rinnovata versione de La Gazzetta dello Sport. Ho subito avuto molta curiosità circa il rinnovato design (in particolare della versione web) della “rosea”, sia in qualità di appassionato dell’evoluzione dei media in Rete, sia come lettore-tifoso della testata.

Ad una prima occhiata, la nuova impostazione mi ha ricordato subito la cornice entro la quale sono presentati gli articoli di USA TODAY.


Un po’ come per l’edizione del 2004 (visibile nella Gazzetta Timeline), il sito mostra in primo piano sulla sinistra il menu con i “quick link” alle diverse sezioni informative del sito (menu che, se si resta nel sito, mostra anche le notifiche circa nuovi articoli di una determinata sezione). Da notare come tale menu rimanga fisso anche allo scorrimento dei contenuti. I quali, si nota subito, lasciano molto più spazio alla multimedialità: foto e primi frame di video sono i veri protagonisti della homepage, i testi sono ridotti al minimo e si limitano ai titoli. Andando con il mouse sopra i contenuti, prima di cliccare per leggere l’articolo, ne vengono mostrati i “mi piace”.
Da quanto mi è parso di vedere, pare vi sia una sorta di struttura piramidale per l’organizzazione dei vari “pezzi”: una notizia principale con la foto più grande sotto la quale sono indicate altre 4 notizie ad essa correlate. A lato, lo spazio per l’aggiornamento Live, sotto le altre 2 notizie più rilevanti (con 2 link sotto le immagini, di cui solitamente la prima che rimanda ad un video).
Al primo, seguono altri due blocchi di news, uno a sviluppo orizzontale in due righe, l’altro a colonna (che in realtà può anche essere visualizzata come griglia). Bella l’idea, nell’angolo in alto a destra di indicare con un piccolo box l’argomento/la squadra di riferimento. Più che apprezzabile anche la scelta di informare circa l’autore e ultimo aggiornamento della news.
Allo scroll, trovano spazio le notizie degli altri sport, in una struttura pulita e ordinata con foto in rettangoli affiancate dai relativi  titoli che ricorda un po’ quella utilizzata dalle app con le quali si aggregano i contenuti informativi su smartphone e tablet.

Design 2014 Gazzetta
Cliccando su un articolo, resta visibile in alto la barra (nera) del menu che presenta le diverse sezioni del sito e, appena si iniziare a scorrere l’articolo, compare anche la G per tornare alla homepage. Sotto, una sorta di slideshow delle notizie principali della sezione che si sta visitando.
Sopra il titolo compare il “tag” presente nella foto della home che risulta cliccabile ma che non in realtà non porta a nulla: mi sarebbe piaciuto avere la possibilità di essere rimandato a tutti gli ultimi articoli riferiti a quella particolare tematica.
Tra titolo e sottotitolo un’altra novità, questa volta in stile New York Times: la possibilità di navigare orizzontalmente tra i contenuti, “sfogliando” il giornale online in virtù di frecce per leggere l’articolo precedente (sinistra) o successivo (destra). In realtà, nel NYTimes, le frecce restano sempre presenti a metà delle schermo mentre sulla Gazzetta sono ancorate alla parte superiore dell’articolo “costringendo”, chi abbia finito di leggere il pezzo, a tornare in alto per proseguire “orizzontalmente” con la lettura di un nuovo articolo. Trovo la soluzione nel Times migliore, più ergonomica, anche perché, fatto uno scroll, le frecce laterali consentono, quando si passa sopra con il cursore senza cliccare, di leggere il titolo dell’articolo di destra/sinistra. Nella Gazzetta, posizionandosi sopra una delle frecce, il box “Articolo Successivo” non fornisce informazioni su quello che si andrà a leggere (questo un po’ di smarrimento nell’utente lo crea: in base a cosa scelgo l’opzione di destra o di sinistra se non ne conosco la destinazione?), finendo, tra l’altro, almeno con le mie impostazioni di schermo, con il sovrapporsi al titolo.
A lato dell’articolo, in corrispondenza della data del pezzo, un box verticale con la possibilità di condividere e interagire con la news. Il numero in alto non si capisce esattamente cosa rappresenti (immagino possa essere la somma di condivisioni, like e commenti; personalmente avrei optato per il sistema che mostra le operazioni di ogni singola opzione a disposizione piuttosto che un anonimo totale) ma più che apprezzabile l’idea che anche questa parte segua lo scroll del lettore sino al termine dell’articolo.

Finito l’articolo, spazio ai commenti. Forse, anche qui avrei “osato” un po’ di più magari utilizzando, come succede nei blog (compreso questo), una riga contributi correlati o le top news del momento. Avrei insomma offerto al lettore l’opportunità di navigare tra i contenuti senza spostare troppo il cursore: finito un pezzo, per leggerne un altro, ora bisogna salire nella parte alta dello schermo nello slideshow, tornare con lo scroll al titolo per poi cliccare sulle frecce o, in alternativa, cliccare la colonna sulla destra dedicata ad Approfondimenti, Più Letti, Più Commentati che però, per gli articoli più lunghi, per essere visualizzata richiede comunque almeno uno scroll (una soluzione alternativa potrebbe essere quella di invertire gli spazi: colonna laterale con commenti a fine articolo, approfondimenti e più letti/commentati a fine pezzo).

Nei prossimi giorni proseguirò la conoscenza del nuovo design della Gazzetta, il progetto (realizzato da Sketchin) mi sembra valido e sicuramente rappresenta una efficace e innovativa modalità per raccontare la passione che anima noi tifosi. Con la speranza, nel mio piccolo, di aver fornito dei suggerimenti costruttivi, non posso che fare contemporaneamente e complimenti e gli “in bocca al lupo” di rito per il restyling!

p.s.=un’ultima annotazione: nel sito realizzato ad hoc per il lancio della rinnovata Gazzetta, non riesco a vedere (proprio) il contenuto legato alla user experience (“formato video o mime type non supportato” il messaggio di errore), sob.

La nuova veste del New York Times, tra interattività e native adv

img: from AdAge.com

Lo scorso 8 gennaio, il New York Times ha iniziato a proporre la nuova veste grafica. Obiettivo primario – come sintetizzato nel minisite del lancio – è quello di rendere l’esperienza di lettura più profonda e coinvolgente, offrendo ai lettori un’interfaccia in grado di rispondere con maggiore tempestività e semplicità ai bisogni informativi.

Le sei novità più sostanziose sono:

1. Gli articoli non sono più spezzati in diverse pagine, la lettura può proseguire con il solo scroll senza più la necessità di cliccare “Continua”. Le foto degli articoli, inoltre, possono essere ingrandite per poi tornare alla lettura.

2. L’area dedicata ai commenti è stata espansa e la si può navigare parallelamente all’articolo di modo da rendere gli interventi degli utenti di più facile comprensione;

3. La navigazione tra contenuti ora può avvenire anche in maniera orizzontale grazie a un box a lato dell’articolo e a una barra in alto che consente di scoprire gli altri contributi della sezione;

4. Il sito, nella parte alta, avvisa l’utente circa la pubblicazione delle breaking news;

5. Il tasto per la condivisione è, in alto, sempre visibile. Non è legato ai contenuti ma fa parte della cornice del sito entro la quale ogni articolo viene caricato. Lo stesso dicasi per le sezioni, raggruppate in un unico menu laterale.

6. Maggiore spazio ai suggerimenti che rimandano ad articoli correlati su una particolare tematica, e a quelli più condivisi.

Alle scelte legate al design sia affianca l’utilizzo da parte della testata del native advertising. Avevo già trattato l’argomento, ora anche il NYT ha deciso di proporre agli inserzionisti la pubblicazione di contenuti sponsorizzati.

La prima campagna, online per i prossimi tre mesi, vede protagonista Dell. A supporto della classica tabellare, è stata creata una sezione apposita che viene richiamata da un riquadro blu nella homepage nel quale campeggia la scritta “Paid Post”. Il click rimanda a paidpost.nytimes.com, un minisite che pubblica gli articoli sponsorizzati (“PAID FOR AND POSTED BY DELL” recita il titolo della pagina). Il primo post, Will millennials ever completely shun the office?, secondo quanto riportato da AdAge.com, sarebbe stato scritto da un freelance che collabora con la testata sulla base di un tema non legato in maniera diretta ai prodotti del colosso americano dell’hardware – quello appunto della cosiddetta milleniam generation – proposto da un editor del NYT e avvallato da Dell. I commenti all’articolo sono disattivati e, in caso di condivisione del contributo via Twitter, un testo predefinito suggerisce come prima parte del messaggio: “Dell Paid Post – From NYTimes.com” (da notare come il post non sia stato diffuso dalla testata nei propri profili social media).

Scorrendo la Timeline che sintetizza i vari cambiamenti della presenza online del NYT, è facile capire come il giornale in Rete stia diventando qualcosa di sempre più ibrido, capace di innovarsi facendo proprie le scelte di maggior successo di blog (es. articoli correlati, scroll per proseguire la lettura) e applicazioni (il flip laterale che in un certo senso richiama il voltare pagina di quotidiano cartaceo), e testando nuovi approcci pubblicitari (native advertising) alla ricerca di soluzioni valide a lungo termine.

Un anno di Daily Dish con Andrew Sullivan

Img: dish.andrewsullivan.com

Fine anno significa inevitabilmente anche tempo di bilanci, di valutazioni sulla base delle quali stilare buoni propositi e obiettivi per il futuro.

Uno dei progetti più interessanti dal punto di vista giornalistico dello scorso anno [citato nella versione digitale di News(paper) Revolution] è stato sicuramente The Daily Dish di Andrew Sullivan.

Il noto blogger, lasciato il Daily Beast, con una redazione di una mezza dozzina di persone, ha iniziato un nuovo progetto – il The Dish, appunto – completamente finanziato dai lettori (tramite donazioni o abbonamenti), senza pubblicità, sponsorizzazioni né finanziamenti da parte di terzi.

Una sfida difficile quanto intrigante, con un traguardo ben definito: arrivare, e magari superare, quota 900.000 dollari di entrate in un anno, l’editorial budget della precedente collaborazione al The Beast.

Com’è andata? Come reso noto dallo stesso Sullivan, la cifra agognata non è stata raggiunta, anche se davvero per poco (gli introiti da abbonamenti del 2013 si sono fermati a 851.000 dollari). L’iniziativa, tuttavia, per molti versi si può ritenere un successo.

Come già in parte accennato, il “sistema Dish” si regge su abbonamenti annuali (19,99 dollari) e mensili (1,99 dollari). Ogni utente non registrato ha un bonus di 5 click per leggere per intero gli articoli del blog, usufruito il quale scatta il blocco del paywall.

Gli abbonati annuali del 2013 sono stati 34.000, dei quali 9.000 hanno già deciso di rinnovare anche per il nuovo anno. 28.000 invece gli utenti che, raggiunto il limite di lettura gratis, non hanno deciso di abbonarsi, dimostrazione di come ci siano margini di crescita nel bacino di lettori del blog.

Nel grafico che sintetizza l’andamento delle revenue mensili del blog da notare come, dopo leggero ribasso dei mesi estivi, ottobre abbia segnato un notevole balzo in virtù della crisi del debito degli Stati Uniti che, proprio in autunno, ha innescato un acceso un dibattito al Congresso in grado di stimolare l’interesse degli utenti alle considerazioni della redazione su quanto stava avvenendo sulla scena politica.

Un’ultima considerazione. Nel suo messaggio di fine anno Sullivan scrive:

[…] we’ll finally have a solid basis for a ongoing, entirely-online blogazine with no sponsored content and (so far) no advertizing […]

L’utilizzo dell’espressione “so far” preannuncia probabilmente qualche novità nella testata. Il modello attualmente alla base del The Daily Dish potrebbe infatti declinarsi a breve in due versioni: da una parte, la fruizione gratuita per tutti gli utenti con i contenuti affiancati dalla pubblicità, dall’altra l’edizione libera dall’adv per gli abbonati.

Il primo anno si concluso molto bene, ripetersi e mantenere in piedi il progetto redendo solida la base di lettori non sarà certo facile (se dai 34.000 abbonati togliamo i 9.000 che hanno già rinnovato e immagininamo che i 25.000 restanti siano utenti interessati al supporto annuale con il blog, questi rappresentano circa 500.000 dollari, più della metà degli incassi dell’anno, non dovessero continuare a supportare la testata, sarebbe un bel problema!).

Con la speranza che il progetto continui ad avere un seguito, non posso che augurare ad Andrew e al suo staff un 2014 ricco di (nuove) soddisfazioni.

Facebook sempre più information network [parte 2]

Img: KhaleejTimes.com

I recenti cambiamenti del News Feed di Facebook continuano a fare discutere. Editori e esperti di social media marketing sono, anche in Italia, sul piede di guerra. Le novità dell’algoritmo, infatti, sembrano ridimensionare la visibilità ai contenuti e molti leggono in questo un tentativo nemmeno troppo velato da parte dell’azienda di Mark Zuckerberg di “imporre” investimenti pubblicitari (in base ad una ricerca pubblicata alcuni giorni fa da Ignite, su 689 post di 21 pagine, la reach per quel che concerne la visibilità organica, è diminuita in media del 44%).

Ad onor del vero, prima delle recenti modifiche apportate dal social network, le pagine Facebook funzionavo come dei canali pubblicitari gratuiti: gli status erano in grado di diffondersi in maniera abbastanza semplice e, in virtù di “like” e condivisioni, offrivano gratuitamente una notevole visibilità a prodotti ed iniziative.

Dopo la quotazione in borsa, era forse prevedibile che Facebook iniziasse a tentare di capitalizzare in maniera migliore il proprio bacino di utenti/marche, anche se, dalla lettura di parecchi articoli sull’argomento, è maturata in me l’idea che per l’azienda di Palo Alto in realtà si tratti di un vero e proprio cambio di rotta in virtù del quale l’aspetto economico legato agli investimenti pubblicitari – seppur importantissimo – non è questione a monte della nuova strategia.

Obbiettivo numero uno di Mark e soci è quello di diventare il miglior giornale personalizzato del mondo. Per questo motivo, Facebook ha iniziato a puntare sui “contenuti di qualità”. L’espressione sembra un po’ generica ma più passano i giorni più appare chiaro come il social network non voglia diventare una copia di alcuni tabloid online che vedono in BuzzFeed l’esempio di maggior successo in termini di viralità dei contenuti.

Addio alle (tanto amate) foto di gattini? Forse non del tutto, ma sicuramente le varie versioni di Grampy Cat dovrebbero apparire molto meno frequentemente tra gli status.

Le novità del News Feed sono state concepite – per stessa ammissione di Facebook – da sondaggi condotti tra utenti del social network i quali pare abbiano indicato come contenuti di valore, articoli piuttosto che i cosiddetti meme.

Le parole di Lars Backstorm responsabile dello sviluppo del News Feed intervistato da AllThingsD confermano questa inclinazione:

In the past, there were a lot of things that all fell into one bucket, and we would treat them all the same, even though they clearly weren’t. If you see a funny meme photo in your feed — sure, you get some value from that. But if you compare that to reading 1,000 words on AllThingsD, you would presumably get more value from that experience than the first one. And, in the past, we were treating them as the same.

L’ulteriore sviluppo, indicato nel proseguo dell’intervista, pare possa essere quello di verificare, da parte di Facebook, la fonte del contenuto per stabilire a priori la qualità o meno del contributo.

Il social network ha lanciato la proprio sfida, ora la palla passa a chi realizza i contenuti che, per avere successo su Facebook, dovrà indubbiamente adeguarsi alle nuove direttive di “the big F”.

Facebook sempre più information network [parte 1]

Facebook News Feed

Img: Newsroom.fb.com

Alcuni giorni fa, la Newsroom di Facebook ha diffuso la notizia circa l’ulteriore sviluppo del design del News Feed, l’algoritmo alla base della visualizzazione degli status.

Il social network di Mark Zuckerberg sta progressivamente spostando la propria attenzione verso i contenuti informativi avvicinandosi, per certi versi, al concetto di information network che Twitter ha fatto proprio sin dagli esordi.

La sfida – dichiarata pubblicamente – per gli sviluppatori dell’azienda di Palo Alto è quella di offrire il giusto contenuto, alle giuste persone nel momento giusto. Proprio in quest’ottica, l’evoluzione del News Feed punta ad assecondare l’esigenza degli utenti (particolarmente accentuata nell’utilizzo da mobile) di leggere le notizie più rilevanti.

In altre parole, più un contenuto sarà in grado di far interagire gli utenti con “mi piace”, commenti e condivisioni, più guadagnerà in visibilità. La novità, rispetto a quanto già accade, è la volontà di Facebook di puntare su contenuti di qualità a discapito, per esempio, dei meme, i tormentoni online capaci di diffondersi con notevole rapidità. Da quanto sinora emerso circa il rinnovato News Feed, il sistema sembrerebbe quindi premiare contenuti informativi esterni a Facebook piuttosto che, ad esempio, semplici contributi fotografici diffusi dagli utenti proprio grazie al social network.

Inoltre, se uno dei nostri amici commenterà una delle notizie ritenute rilevanti dall’algoritmo, questa sarà visibile anche nel nostro flusso di status: ciò, senza i recenti sviluppi, non sarebbe potuto accadere.

Per stimolare ancora di più l’interesse degli utenti di Facebook verso i contenuti informativi “di qualità”, il social network ha iniziato a testare anche un sistema che consente di mostrare articoli correlati a ciò che si sta leggendo e il cui contenuto si potrebbe quindi trovare utile.

Un’opportunità da non lasciarsi sfuggire per le redazioni online. In ottobre, dati Facebook, il cosiddetto referral traffic dal social network ai siti informativi è cresciuto in media di oltre il 170%, percentuale triplicata rispetto a quella dello scorso anno.

Facebook si appresta a diventare sempre più “media” e sempre meno “personale”?

UPDATE: leggi anche Facebook sempre più information network [parte 2]

De Correspondent, la proposta olandese per un nuovo giornalismo

Img: gigaom.com

In questi giorni ho avuto modo di conoscere un progetto giornalistico che mi ha davvero colpito per la propria originalità. Si tratta di De Correspondent, start-up olandese che, nata lo scorso settembre (la campagna di comunicazione è in realtà partita alcuni mesi prima, a marzo), è riuscita a raccogliere, grazie alle donazioni di circa 19.000 utenti, la considerevole cifra di 1.7 milioni di dollari.

Di cosa si tratta? Di una piattaforma giornalistica online che punta sull’analisi approfondita di storie che normalmente non trovano spazio – o ne trovano poco – nel mainstream.
Forse la definizione sembra un po’ fumosa ma sta di fatto che il team guidato da Rob Wijnberg (classe ’82!)– che conta su 11 professionisti full-time tra giornalisti, fotografi e grafici, e una 15ina di corrispondenti – può già contare su oltre 20.000 abbonati.

Scorrendo le informazioni riportate nel sito, appare chiaro come la sfida di De Correspondent sia decisamente impegnativa. Al centro dell’iniziativa vi è, infatti, il superamento del concetto di “notizia” come attualmente viene concepito dalle redazioni tradizionali.
La start-up con sede ad Amsterdam, nella sua attività punta alla realizzazioni di “pezzi” che scavino in profondità un determinato argomento senza l’ansia del dover coprire per forza di cose le breaking news. La rilevanza di un fatto, quindi, supera la sua attualità: un modo alternativo di fare giornalismo basato sul fact-checking, capace di trascendere le divisioni con le quali solitamente vengono organizzate le notizie (carattere nazionale, internazionale, di politica, di economia, eccetera), con reportage curati direttamente dalla redazione, e sull’autonomia di giudizio che deriva dalla semplice considerazione che i giornalisti non sono automi ma professionisti con una propria sensibilità che non deve quindi portare a nascondere la sorpresa, le speranze, i timori e gli entusiasmi che derivano dalle loro inchieste, dai loro contributi. Un recupero del lato umano sottolineato anche dall’invito alla partecipazione attiva dei lettori chiamati e a contribuire sui diversi temi trattati dalla redazione non solo economicamente ma in virtù della propria esperienza.

Un progetto for-profit ma il cui modello di business si basa su contenuti da vendere ai lettori non agli advertiser. Abbonamenti e donazioni che saranno la base degli ulteriori sviluppi della piattaforma la cui innovazione sarà finanziata da, almeno, il 20% dei guadagni della testata. De Corrispondent non si avvale della pubblicità e, anche per questo motivo, nella scelta degli argomenti da trattare, previene la necessità di dover, ad esempio, analizzare ciò che un determinato target potrebbe trovare interessante. Come sostegno, chiede 60 euro anno ai propri lettori. E’, a tutti gli effetti, un digital medium e quindi è fruibile su desktop, tablet, smartphone e anche via app. Consente la condivisione di articoli anche ai non iscritti ma con delle precise limitazioni.

Un’iniziativa sicuramente da seguire, un’alternativa all’idea stessa di giornale che in qualche modo, facendo propria la lezione del The Dish di Sullivan, punta sullo sviluppo di una community attorno alle notizie e al superamento del “palinsesto” canonico delle news. Complimenti e in bocca al lupo!

Da free al paywall. E dal paywall all’all-access subscription

Img: jxpaton.wordpress.com

Lo scorso martedì 19 novembre, in uno degli appuntamenti su Second Life di Gate42 (progetto che, per chi non lo conoscesse ancora, invito a seguire, un ringraziamento a @imparafacile per avermi ospitato), ho avuto modo presentare il mio libro parlando dei cambiamenti in atto nel mondo del giornalismo.
Una delle questioni venuta a galla, inevitabilmente, è stata quella legata all’advertising su web e alla sostenibilità del mondo dell’informazione in Rete.

Proprio su questo (delicato) versante, da segnalare una novità firmata John Paton, CEO di Digital First Media, colosso statunitense che gestisce più di 800 attività online/digitali (soprattutto legate a redazioni a carattere locale) in 18 stati americani in grado di far registrare oltre 61 milioni di utenti mese.
In un blog, l’ex direttore del Guardian e di El Pais, spiega le scelte operate presentandole alla forza lavoro della realtà che è chiamato a dirigere ma, chiaramente, pubblicandole su web senza alcun vincolo, le rende note anche a tutti noi “semplici” utenti.

Da un po’ di tempo seguo quello spaccato di quotidianità giornalistica online. Ho potuto così seguire il percorso adottato dal gruppo in merito alla gestione dei contenuti.
Come molte altre realtà legate al mondo dell’informazione, Digital First Media, per 22 suoi quotidiani online prima fruibili in maniera gratuita, successivamente opta per il Paywall. Una scelta dettata dalla necessità di sperimentare più che della consapevolezza di adottare una soluzione valida a lungo periodo. Una modalità per tentare di rendere più stretto il rapporto con i lettori, chiedendo loro di sottoscrivere un abbonamento. I risultati però non sono per nulla soddisfacenti, le cifre, in termini di guadagni, troppo basse. Il gruppo decide così di passare a un Paywall 2.0, una evoluzione di quanto utilizzato in prima istanza strutturata sulla base delle best pratice del settore.
Contemporaneamente avvia in 75 quotidiani un esperimento alternativo al concetto di “pagamento”. Con la collaborazione di Google, nella sezione multimediale Media Center, ogni 10 immagini mostra all’utente un sondaggio al quale è chiamato a rispondere per proseguire la navigazione all’interno del sito. I risultati di quest’ultima iniziativa sono incoraggianti per cui i vertici del gruppo decidono di concentrarsi sullo sviluppo di un Paywall 3.0 che riesca a combinare le due soluzioni in qualcosa di più dinamico, capace di garantire introiti senza ridimensionare troppo il traffico.

A meno di un anno di distanza però, Digital First Media cambia di nuovo rotta. Il guadagni del gruppo sono in crescita (rispetto al 2009, il digital adv è cresciuto, nel 2012, dell’89%) ma la soluzione del paywall, nelle sue diverse versioni, non convince appieno.
L’esperimento con Google, dopo un inizio promettente, perde di efficacia e quindi, un po’ a sorpresa, il gruppo decide di superare, almeno in parte, la strategia del paywall puntando sull’All-Access print-digital subscription: i lettori non registrati alla testata potranno leggere solo alcuni articoli al mese, gli utenti abbonati, invece, avranno accesso all’edizione cartacea, a quella digitale e ai contenuti su mobile.

Stimolante sfida, non resta che restare sintonizzati nel blog di John Paton per conoscere il bilancio di questo nuovo approccio adottato da Digital First Media.

Quando la stampa scopre l’ecommerce

Img: wwd.com

Alcuni giorni fa mi è stato chiesto di commentare la partnership tra Harper’s Bazaar, storico magazine di moda e stile del gruppo Hearst, con l’italiana Yoox (UPDATE: l’intervista è stata pubblicata nel numero di dicembre di AdV). Ho in questo modo potuto approfondire gli aspetti legati al rapporto tra stampa ed ecommerce che, focalizzando la mia attenzione prevalentemente al mondo dei quotidiani, avevo forse tralasciato.

In questi ultimi anni molti sono i gruppi editoriali che hanno deciso di puntare sul commercio elettronico. Condé Nast, tanto per citare un altro esempio, ha investito in due marketplace: Farfetch, spazio che unisce boutique indipendenti e Vestiaire Collective, community dedicata alla vendita online di abiti e accessori di lusso usati.

In ordine di tempo, una delle prime strette collaborazioni tra chi scrive contenuti e chi vende beni su web, è stata quella di Vogue che, per la settimana della moda di New York del settembre 2012, offrì alle proprie lettrici la possibilità di acquistare, attraverso il luxury retailer Moda Operandi, i capi di abbigliamento presentati nelle passerelle.

Altro caso degno di nota è quello di Elle che lo scorso anno ha iniziato a sperimentare il social e-commerce. La redazione presentava alcuni capi “must” della stagione in arrivo, gli utenti potevano interagire con in contenuti scegliendo tra “Love”, “Want”, “Own” o, più sotto, “Buy”.

In realtà, scandagliando la Rete ho trovato anche qualcosa di relativo ai quotidiani. L’autorevole Washington Street Journal ha, infatti, da alcuni giorni lanciato un proprio canale ecommerce. Si chiama The Shops, un sito di vendita online di prodotti di lusso sponsorizzato da Capital One (e dalla sua carta di credito). Tutto torna. O quasi. Perché poi, in fondo alla pagina, un riquadro magenta sottolinea come il sito operi in maniera indipendente dalla redazione del quotidiano finanziario.

L’editoria in crisi sperimenta nuove soluzioni – che alle volte si allontanano dal core business delle news – alla ricerca di modelli economici alternativi.
Se per la stampa l’ecommerce possa rappresentare una interessante fonte di reddito forse è troppo presto per dirlo. In ogni caso, da lettore, mi auguro che ciò avvenga in maniera trasparente salvaguardando la distinzione tra contenuto informativo e pubblicitario.