News Corp scommette sul social journalism di Storyful

Img: CNN.com

Ho scoperto Storyful circa un anno fa. Stavo ultimando lo studio sul rinnovamento del mondo dell’informazione che poi ha portato a News(paper) Revolution e, concentrato sul “fenomeno” del citizen journalism (anche se personalmente preferisco l’espressione open journalism), ero alla ricerca di qualche nuovo progetto capace di ben interpretare esigenze e ruolo del rinnovato panorama informativo. Storyful attirò subito la mia attenzione proprio per l’originalità del proprio approccio alle sfide della Rete.

[…] società con sede a Dublino composta da un team di professionisti che 24 ore su 24 monitorano i web (e in particolare i social media) catturando immagini e contenuti degli utenti da poi vendere alle testate di tutto il mondo. Ecco “manifesto” presente nel sito ufficiale: «Storyful is the first news agency of the social media age. We separate the news from the noise. Storyful gives journalists and media professionals the power to discover, validate and deliver the most compelling content on the social web. Storyful helps newsrooms and publishers create newswires designed to meet the needs of their target audiences. Our goal is to create a sustainable model for a new form of social and collaborative journalism». Come funziona? In estrema sintesi, individuato un contenuto “dal basso”, lo staff ne approfondisce i dettagli mettendo poi in caso tra loro in contatto utente – ad esempio un ragazzo con i propri scatti diffusi tramite Twitter è diventato testimone degli scontri di Tripoli – e testata giornalistica.

Non nascondo quindi che, leggendo dell’acquisizione di Storyful da parte del colosso News Corp di Rupert Murdoch (per 25 milioni di dollari) abbia provato un certo orgoglio per aver “scovato” una realtà che nel giro di un anno dalla mia citazione, ha saputo attirare le attenzioni di uno dei maggiori gruppi editoriali.

Ma cosa ha suscitato così tanto l’interesse della società del Wall Street Journal e del New York Post? Di certo le valutazioni che hanno portato all’acquisizione della start-up irlandese saranno state molte ma, a mio modo di vedere, due su tutte hanno fatto la differenza.

Storyful ha messo a punto una routine lavorativa che consente, seguendo i dettami del “buon giornalismo”, di verificare e commercializzare i cosiddetti user-generated content. La capacità di separare del brusio delle conversazioni online, materiali fotografici o video interessanti anche dal punto di vista giornalistico, rappresenta un valore aggiunto notevole. Vincere la sfida di proporre al pubblico delle breaking news – tramite i contributi di semplici cittadini testimoni diretti di ciò che è accaduto – prima delle altre testate, non può che essere un risultato al quale ambire.

L’abilità nell’uso dei social media e, in generale, la robusta presenza nell’ambito dei media digitali di Storyful, può tornare decisamente utile anche sul fronte dell’advertising sempre alla ricerca di valide soluzioni.

Delle tante dichiarazioni seguite all’acquisizione, mi ha colpito quella del CEO di News Corp, Robert Thomson, che ha sintetizzato i cambiamenti in atto come la trasformazione di un gruppo fondato su brand legati a giornali cartacei in quello che punta su piattaforme informative digitali.

La rivoluzione continua.

Facebook sempre più information network [parte 2]

Img: KhaleejTimes.com

I recenti cambiamenti del News Feed di Facebook continuano a fare discutere. Editori e esperti di social media marketing sono, anche in Italia, sul piede di guerra. Le novità dell’algoritmo, infatti, sembrano ridimensionare la visibilità ai contenuti e molti leggono in questo un tentativo nemmeno troppo velato da parte dell’azienda di Mark Zuckerberg di “imporre” investimenti pubblicitari (in base ad una ricerca pubblicata alcuni giorni fa da Ignite, su 689 post di 21 pagine, la reach per quel che concerne la visibilità organica, è diminuita in media del 44%).

Ad onor del vero, prima delle recenti modifiche apportate dal social network, le pagine Facebook funzionavo come dei canali pubblicitari gratuiti: gli status erano in grado di diffondersi in maniera abbastanza semplice e, in virtù di “like” e condivisioni, offrivano gratuitamente una notevole visibilità a prodotti ed iniziative.

Dopo la quotazione in borsa, era forse prevedibile che Facebook iniziasse a tentare di capitalizzare in maniera migliore il proprio bacino di utenti/marche, anche se, dalla lettura di parecchi articoli sull’argomento, è maturata in me l’idea che per l’azienda di Palo Alto in realtà si tratti di un vero e proprio cambio di rotta in virtù del quale l’aspetto economico legato agli investimenti pubblicitari – seppur importantissimo – non è questione a monte della nuova strategia.

Obbiettivo numero uno di Mark e soci è quello di diventare il miglior giornale personalizzato del mondo. Per questo motivo, Facebook ha iniziato a puntare sui “contenuti di qualità”. L’espressione sembra un po’ generica ma più passano i giorni più appare chiaro come il social network non voglia diventare una copia di alcuni tabloid online che vedono in BuzzFeed l’esempio di maggior successo in termini di viralità dei contenuti.

Addio alle (tanto amate) foto di gattini? Forse non del tutto, ma sicuramente le varie versioni di Grampy Cat dovrebbero apparire molto meno frequentemente tra gli status.

Le novità del News Feed sono state concepite – per stessa ammissione di Facebook – da sondaggi condotti tra utenti del social network i quali pare abbiano indicato come contenuti di valore, articoli piuttosto che i cosiddetti meme.

Le parole di Lars Backstorm responsabile dello sviluppo del News Feed intervistato da AllThingsD confermano questa inclinazione:

In the past, there were a lot of things that all fell into one bucket, and we would treat them all the same, even though they clearly weren’t. If you see a funny meme photo in your feed — sure, you get some value from that. But if you compare that to reading 1,000 words on AllThingsD, you would presumably get more value from that experience than the first one. And, in the past, we were treating them as the same.

L’ulteriore sviluppo, indicato nel proseguo dell’intervista, pare possa essere quello di verificare, da parte di Facebook, la fonte del contenuto per stabilire a priori la qualità o meno del contributo.

Il social network ha lanciato la proprio sfida, ora la palla passa a chi realizza i contenuti che, per avere successo su Facebook, dovrà indubbiamente adeguarsi alle nuove direttive di “the big F”.