Se art e copy non bastano più…

Alcuni giorni fa mi è capitato tra le mani un piccolo libricino dal titolo La coppia creativa sono in quattro di Emanuele Nenna, testo che ho letto in una sera tutto d’un fiato. L’assunto alla base del libro attorno al quale l’autore – fondatore, con altri due soci, dell’agenzia Now Available – costruisce la sua analisi, è che oggi il mondo non sia più quello di una decina di anni orsono e che quindi, per rispondere al meglio alle nuove sfide della comunicazione (e, in ultima istanza, agli odierni consumatori) la classica coppia art+copy non sia più sufficiente. Questo non solo comporterebbe un allargamento del team chiamato a rispondere alle esigenze nell’epoca del digitale, ma implicherebbe anche l’individuazione di nuove professionalità, il rinnovamento organizzativo delle agenzie e quello del rapporto tra agenzie e clienti. Se l’obiettivo della pubblicità resta sempre quello di supportare l’azienda nella vendita di prodotti/servizi, infatti, il pensiero creativo si manifesta oggi in maniera notevolmente differente rispetto ai tempi del Bernbach citato nel sottotitolo.

Ciò che è ho più apprezzato del libro è che non pretende di cambiare facendo tabula rasa del passato, ma invece proprio dai fondamentali, prende il lancio per l’innovazione dell’ottica legata alla creazione dei messaggi pubblicitari. Anche per questo motivo ho apprezzato maggiormente la prima parte del testo. La seconda, nella quale in sintesi l’autore presenta “i nuovi creativi”, nonostante i molti esempi citati, forse anche perché il “clima” di agenzia lavorativamente parlando non mi appartiene, non mi è del tutto familiare, mi è sembrata utile ma al contempo forse un po’ distante, quasi una provocazione, un urlo solitario rispetto a una mancanza di professionalità che (causa della costante rincorsa imposta dei nuovi strumenti “virtualmente sociali” e dalle poche certezze che su questi tutti noi del settore abbiamo?) mi pare invece pericolosamente in ascesa.

In ogni caso, consigliatissimo per chi voglia farsi un’idea su una delle possibili declinazioni dell’advertising del futuro, complimenti!

[ci provo] Promuovere un libro con Storify

Nei ritagli di tempo, da un po’ di mesi a questa parte, sto lavorando a un mio progetto editoriale legato al mondo del giornalismo online. Si tratta di un saggio sulle modalità di approccio alla Rete dei quotidiani, su alcuni dei tratti distintivi del Web (multimedialità, ipertestualità, interattività…) e sul modo con il quale questi vengano sfruttati per diffondere le notizie. Nessuna ambizione di riuscire a “imbrigliare” un mondo – quello online – sempre in continuo mutamento e sviluppo, quanto piuttosto una riflessione su quanto oggi c’è e ha cambiato il modo di comunicare. L’idea mi accompagna da anni, da quando, al termine del mio percorso di studi, iniziai con la tesi ad approfondire l’approccio giornalistico “telematico”. Termine quest’ultimo che oggi, al tempo dei social network, fa quasi tenerezza, ma che all’epoca, rappresentava, almeno per il sottoscritto, un mondo pieno di nuove sfide, di nuovi strumenti, di nuove possibilità. Quelle i cui sviluppi ho tentato di seguire e di mettere nero su bianco prima che tutto venga nuovamente rivoluzionato.
L’editore (persona disponibilissima e che non posso che ringraziare) mi ha però suggerito una sorta di coprifuoco attorno al libro, almeno sino a quando questo non sarà in procinto di essere sugli scaffali (gennaio 2013?). Per cui, negli ultimi giorni, mi sono arrovellato nel tentativo di individuare un metodo per “ingolosire” gli (spero numerosi) interessati all’argomento, senza però svelare troppo.
E così ho deciso di mettere in pratica parte di ciò che ho raccontato, utilizzando uno degli strumenti che ho segnalato a supporto del giornalismo: Storify. Non potendo mostrare ancora nulla del testo, ho preso un bel numero di note (in sostanza link) e le ho raccolte in un flusso di post reso pubblico. Qualcosa di volutamente semplice, un primo passo non troppo elaborato (che, mi rendo conto al momento non sfrutta appieno le potenzialità del servizio), che credo però possa fungere da anteprima rispetto agli spunti individuati nel corso della mia analisi. Chiunque sia interessato, abbia suggerimenti o curiosità non esiti a scrivermi [le mail è sulla pagina about], a presto per nuovi dettagli, stay tuned!

[update: ecco un’anteprima della quarta di copertina …e #nepare hashtag ufficiale]

Cosplay avanti tutta. Con Battle Royale di Playstation.

Chi non ha mai sognato di essere, almeno una volta, cosplayer per un giorno vestendo i panni del proprio supereroe preferito? Per l’uscita di Playstation All-Stars Battle Royale, la Sony Computer Entertainment ha organizzato COSPLAYstation, un concorso che regala a tutti l’opportunità di travestirsi e interpretare un personaggio di fantasia. Vista la vicinanza di Halloween potrei, quindi, finalmente mettermi in gioco. Non avendo il phisique du role del cattivo per antonomasia, guardandomi allo specchio, ho optato – scegliendo tra i tanti personaggi del videogioco – per Cole MacGrath.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=8ce3j0OBviw&w=440&h=360]
Anche se ora sono solito portare una folta chioma (?!?) chi ha avuto l’onore (o per meglio dire, il coraggio) di vedere la mia carta di identità sa che un tempo ero solito rasare la crapa a zero. Quindi bene o male sul taglio non ci dovrebbero essere grossi problemi, su jeans (con Union Jack stilizzata su una gamba) e scarpe nere nemmeno, una t-shirt slavata a due colori si trova, nemmeno la barba incolta è un limite invalicabile. Le questioni ancora in sospeso sono: gli elettrodi, i tattoo, la zainetto-arancione-una-spalla-con-cellulare-incorporato (trovato, costicchia un po’) ma soprattutto la capacità di manipolare l’elettricità. Per entrare meglio nella parte, ho inoltre deciso di approfondire le mie conoscenze sul personaggio (la mia personale versione del metodo Stanislavskij). Cole è un bike messenger, un lavoro del quale la madre si vergogna (con le amiche spaccia il figlio come insegnante), ma che lui svolge con dedizione. E’ appassionato di parkour e findazato con Trish Dailey, che il padre adora a tal punto da considerarla la figlia che non ha mai avuto. Un giorno, consegnando un pacchettino, Cole riceve una chiamata che gli chiede di aprire ciò che stava consegnando. Lui si rifiuta ma dopo aver ricevuto un’offerta di 500 dollari, apre il pacchetto, scoprendovi all’interno un ordigno la cui esplosione provoca migliaia di vittime. Cole ha la pellaccia dura e non solo sopravvive, ma mostra di aver in qualche modo fatto propria l’energia della deflagrazione (sto valutando una Halloween-edition di Cole con bruciature su tutto il corpo). I problemi però non vengono mai dai soli: nella città (in quarantena) ancora sconvolta, un uomo in tv fa il nome di Cole accusandolo di essere il terrorista causa di quanto accaduto, aizzandogli quindi contro praticamente chiunque. Cole oltre ad essere il protagonista della serie inFamous, è anche uno dei personaggi di Battle Royale, il nuovo crossover fighting video game (Street Fighter per intenderci) della Sony, tanti personaggi diversi che si fronteggiano a suon di colpi proibitivi su tante arene differenti. Sfide multigiocatore (sino a 4) e multicanale: il gioco è, infatti, Cross Play, amici con Playstation Vita e PS3 possono giocare la stessa partita contemporaneamente.

Ma torniamo al concorso per cosplay: una volta addobbati per benino, bisogna caricare il proprio videoclip (realizzato e interpretato) su YouTube, mandare una mail con il link, i propri dati (e il consenso all’utilizzo degli stessi) e sperare di essere tra i 7 migliori contributi scelti dalla giuria. Per i più temerari, in occasione del Lucca Comics, allo stand Playstation, ci sarà un operatore pronto a registrare le performance live dei cosplayer. In bocca al lupo e buon divertimento! …dolcetto o scherzetto?

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La videochat su Google+ dell’AC Milan #hangoutmassaro

Lo ammetto: tra tutti i miei profili nei social network, lo strumento che uso di meno è Google+. Appena rilasciato ho elemosinato in giro un invito per registrarmi e poi una volta visto il funzionamento, aver tentato di sistemare i miei contatti in cerchie dai nomi stravaganti e aver incollato qualche link per dare maggiore visibilità ai miei post, l’ho abbandonato (ricevendo nonostante la mia inattività molte notifiche su persone che invece mi consideravano nel loro network). Salvo di tanto in tanto tornare scoprendo restyling grafici, la possibilità di utilizzare hashtag e quella di partecipare a video chat. Questa possibilità in particolare ha attirato la mia attenzione si da quando Obama la utilizzò per dialogare con il proprio elettorato. Mai però avevo visto, in Italia, un qualcosa che andasse al di là di un confronto tra “adetti ai lavori”. Alcuni giorni fa ho potuto finalmente assistere a un hangout (questo il nome tecnico) da parte di un brand. Una comunicazione inusuale certo, ma pur sempre legata a un marchio più che a un singolo individuo. Il post lo pubblico oggi, ieri in maniera scaramantica stavo ancora osservando il silenzio stampa (nemmeno questo è servito per far tornare la squadra alla vittoria, sob). Il brand in questione è, infatti, l’AC Milan che ha consentito a tifosi di tutto il mondo (dal Venezuela all’Italia, dall’Inghilterra all’Indonesia) di dialogare con Daniele Massaro, portavoce ufficiale online della squadra su G+ per 30 minuti. Non è stato tutto fluidissimo nella gestione dell’interazione: quella che immagino essere un’addetta stampa aveva preparato un elenco di partecipanti alla conversazione che tramite una sorta di appello venivano chiamati per nome e avevano così modo di porre la loro domanda. Se non ho capito male, molti tra coloro che hanno avuto modo di partecipare via videochat erano in qualche modo associati a siti/fanzine in orbita Milan, quasi fosse una sorta di conferenza stampa pre-gara (tra i “semplici” fan, invece, spiccava il nome di Matteo Tagliariol, schermidore medaglia d’oro alle Olimpidi di Pechino del 2008). Massaro si è dimostrato un istrione in grado di raccontare aneddoti divertenti capaci di divertire ognuno dei protagonisti. Purtroppo il sottoscritto è arrivato tardi all’appuntamento (chissà hanno scelto proprio le 17 come ora di inizio) e si è potuto godere solo la parte finale dell’evento, quanto è bastato però per apprezzare l’opportunità insita nello strumento.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=BvR-fWzmJ94&w=440&h=360]
Ancora una volta il web propone una modalità comunicativa in grado di (quasi) azzerare le distanze tra i vari interlocutori, tutti su uno stesso livello ad alternarsi (leggermente imbarazzati) sullo schermo. Immaginare un testimonial o addirittura un responsabile di prodotto accettare la “sfida” di affrontare il pubblico di consumatori senza filtri, sottoponendosi a curiosità, critiche, delucidazioni risulta utopico? Forse. Ma credo che individuando qualcuno che sappia gestire la comunicazione portandola nei binari a lui/lei più consoni, anche un confronto in videochat su G+ possa essere un’iniziativa dai costi irrisori ma potenzialmente dal buono ritorno. Si tratterebbe di una comunicazione verso una nicchia di consumatori ma resto dell’idea che se il dialogo risulta costruttivo, si crea comunque valore, sia per gli utenti che per il brand. Senza contare l’utilizzo dalla video-chat non tanto sotto l’aspetto meramente comunicativo ma anche come cartina di tornasole per la comprensione del percepito di marca/di prodotto e dei focus sui quali gli utenti concentrano maggiormente lo proprie attenzioni.

The Waiting, la serie web per il lancio della Nuova Renault Clio #waiting4clio #enigmi4clio

Alcune settimane fa ho parlato dell’importanza dello storytelling nella comunicazione digitale per puntare al coinvolgimento del pubblico online. In questo post, continuando quei ragionamenti, vorrei spendere due parole sulla bella iniziativa proposta da Renault per il lancio della Nuova Clio. Si tratta di una vera e propria serie (dai toni vagamente sci-fi) – The Waiting questo il titolo ad anticipare l’uscita dell’auto prevista per metà mese – con protagonista Luca Argentero per la regia di Igor Borghi (noto aver contribuito ad alcuni episodi di R.I.S. Delitti Imperfetti) e la sceneggiatura di Chiellini, De Marinis, Levati, autori della parodia italiana di Nip/Tuck, Taglie e Cuci.

Tempo rallentato, colori innaturali, linguaggi sconosciuti, strane visioni iniziano ad annebbiare la vista del protagonista, incapace di capire cosa gli stia accadendo. Passano i giorni e le visioni diventano sempre più frequenti e il rapporto con chi lo circonda sempre più distaccato. Ecco il video della quinta e ultima puntata (per partire dalla puntata pilota invece cliccare qui):

La comunicazione di Renault non si è fermata al video. E’ stata creata una vera e propria community online attorno alla nuova auto e all’iniziativa (chiamata waiting4clio), con offerte dedicate a chi si è registrato (offerta limited edition sport, offerta di finanziamento, offerta di supervalutazione),  materiali dal backstage delle riprese e opportunità di sconto per gli acquisti effettuati tra i brand partner (tra i quali Spalding e Philips).

E’ stata inoltre creata una pagina Facebook enigmi4clio attraverso la quale ogni settimana, in corrispondenza del lancio di un nuovo episodio, è stato chiesto agli utenti di trovare, all’interno del video, la soluzione ad un enigma del quale veniva dato un inizio.

Il finale che personalmente avrei dato alla serie? Il protagonista, raggiunta l’auto, avrebbe aperto la portiera e avrebbe visto uscire l’uomo misterioso che, sarcastico, gli avrebbe chiesto: “Vuoi un passaggio?”. Sarebbe quindi scappato correndo veloce tra il traffico. Nella fuga, girando l’angolo di un edificio, si sarebbe trovato una nuova Renault Clio di fronte che, per evitarlo, avrebbe dovuto effettuare una portentosa frenata. Rendendosi conto del pericolo, con lo stridere dei pneumatici sull’asfalto sempre più vicino avrebbe chiuso gli occhi coprendosi quasi istintivamente il volto con le braccia urlando. In preda all’ansia, dopo alcuni secondi di improvviso silenzio, avrebbe aperto di scatto gli occhi ritrovandosi sul proprio letto. Un secondo dopo sarebbe squillato il cellulare e, riconoscendo la voce della segretaria, il protagonista si sarebbe reso conto di essere tornato al primo giorno di visioni. Stavolta, all’invito della sua lei però, avrebbe accettato evitando di isolarsi in una “realtà parallela” e spazzando contemporaneamente via le macabre visioni (per proposte di finali alternativi usate pure i commenti).

Bella iniziativa (e bella anche la nuova Clio!) che spero possa proseguire anche dopo l’uscita dell’automobile in concessionaria.

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La bellissima iniziativa Lexus su Draw Something

Alcuni mesi fa, in preda ad un incredibile entusiasmo, fa avevo presentato Draw Something, l’applicazione che riproponendo su smartphone una sorta di Pictionary (disegno qualcosa che poi un altro utente dovrà indovinare), aveva saputo attirare in brevissimo tempo le attenzioni di Zynga, che acquistò “al volo”, per una cifra attorno ai 200 milioni di dollari, la OMGPOP, realtà newyorkese che aveva sviluppato il gioco. Da allora Draw Something ha subito alcuni restyling, è uscita in versione italiana (con la quale a mio parere ha perso un po’ del suo appeal… forse anche per questo, in un mese l’app ha “perso” 3 milioni di giocatori) e sta tentando di proporsi come canale alternativo per la pubblicità. Se però ad oggi la questione era legata alla visione di video che consentivano di ottenere dei crediti virtuali con i quali acquistare bombe e colori (ricordo, ad esempio, il trailer di Rock of Ages), ho scoperto un’attività davvero particolare portata avanti da Lexus, auto segmento “lusso” di Toyota. In sostanza, per creare il famigerato engagement con gli utenti, Lexus ha chiesto agli utenti – tramite appunto Draw Somenthing – di mettersi alla prova disegnando il brand.
Ne è nata una simpatica galleria che ha fatto registrare molte interazioni. Alla parole di Teri Hill, media manager di Lexus – “Lexus continues to bring innovative advertising through great brand experiences via highly engaged mobile and social platforms” – fanno da specchio quelle di un utente che nella pagina Facebook dell’applicazione, commentando ha scritto: “Personally, I don’t see how pictures of your product that look like they were drawn by retarded children is helping your brand.” Disegnare su iPhone con le dita non è per nulla semplice (sono convinto che i contributi migliori vengano da giocatori su iPad che usano penne capacitive). L’iniziativa però mi è parsa assolutamente degna di nota: l’idea di far “giocare” gli utenti con un brand, senza necessariamente pensare esclusivamente al proprio target di potenziali consumatori, la considero un’ottima occasione per diminuire la distanza tra marca a proprio pubblico, per far parlare (positivamente) di Lexus a prescindere da quale sia la tipologia di auto preferita, e per testare l’efficacia di una campagna del tutto non convenzionale sul mobile. Da ripetere!

Video non spot. O dell’importanza dello storytelling.

Da tempo mi ero ripromesso di spendere due righe sui video online (intendo realizzati pensando alla Rete) caricati su YouTube non tanto per far conoscere un prodotto/servizio, quanto per coinvolgere gli utenti nel tentativo da una parte di migliorare la percezione del brand dietro l’operazione e dell’altra di riuscire a fare in modo che gli stessi (potenziali) consumatori veicolino il messaggio attraverso i loro network on e offline.

Cercavo qualche esempio “nostrano” sulla stessa linea d’onda del (bellissimo) video The Lego Story, un cortometraggio animato realizzato per celebrare gli 80 anni della celebre casa danese di mattoncini colorati. Il video – che ha ormai superato i 2.6 milioni di visualizzazioni a poco più di un mese dal caricamento – racconta la nascita e le successive disavventure del gruppo quasi fosse una sorta di fiaba a lieto fine capace di premiare tenacia, creatività e determinazione.

[youtube http://youtu.be/NdDU_BBJW9Y&w=440&h=360]

Ho individuato i video di due campagne pubblicitarie ora onair che mi sembrano, seppur in maniera molto diversa, raggiungere lo scopo di creare il cosiddetto engagement, lasciando da parte l’idea del tradizionale spot (“Questo è il prodotto, queste le sue caratteristiche, provalo!”) per una comunicazione trasversale più vicina ai “canoni estetici” degli utenti online.

Il primo esempio punta sull’ironia di Maccio Capatonda per spingere il sito (con relativo concorso) Lavatrici Finite Male, nel quale trova spazio il manifesto di una sorta di campagna di sensibilizzazione contro le lavatrici “cresciute sole e senza amore […] rovinate dal calcare e abbandonata a se stesse”. Cinque video (più il trailer qui sotto) molto divertenti che mostrano, in diverse situazioni tragicomiche, il declino di elettrodomestici mal funzionanti che, subito un degrado non solo materiale, sono confinati ai margini della società. L’iniziativa (di prevenzione per salvare le lavatrici dal tunnel del calcare) è di Calgon e punta far conoscere la propria linea di prodotti in una maniera alternativa, svecchiando un brand che nell’immaginario appare forse un po’ datato.

[youtube http://youtu.be/bn1N3h8gtWo&w=440&h=360]

Il secondo esempio è invece quello del video di Unemployee of the year, nuova campagna della Fondazione Unhate di Benetton Group tramite la quale è stato lanciato un contest a sostegno delle idee dei giovani per il cambiamento. Un contributo, in particolare, alla lotta contro la disoccupazione giovanile che vuole stimolare ragazzi e ragazze di tutto il mondo a proporre i loro progetti (con ricaduta positiva sulla comunità) e a sperare, al di là dei premi in palio, in un futuro migliore, con un lavoro (delle certezze) e soprattutto con la dignità che da questo ne può derivare (bello il claim sottointeso: senza dignità, in tutte le sfere della vita, non c’è futuro).

[youtube http://youtu.be/zKZ3w_Vg4o8&w=440&h=360]

Due esempi, anche più azzardati rispetto alla comunicazione corporate di Lego, che sottolineano una volta di più l’importanza di video in grado di emozionare nel senso più vero del termine, di far sorridere, riflettere, commuovere, insomma di non lasciare l’utente indifferente, di possedere quel quid che poi porta, una volta terminata la visione del contenuto, a sentire quasi la necessità di condividerlo con i nostri amici. No ads but content, video lontani dalla classica interruzione pubblicitaria ma (micro)storie capaci di coinvolgere. Complimenti!

Le nuove professioni del Web, per vivere la Rete da protagonisti

Dopo la pausa estiva torno a dare sfogo, tramite il blog, al mio lato più nerd. Ormai un bel po’ di tempo fa ho deciso di fare del web (e dei social media) e delle tecnologie ad esso associate, la mia passione e il mio lavoro. Alle volte però mi sono trovato quasi del tutto impreparato nello spiegare a persone non del settore di cosa mi occupassi (la risposta generica che di solito utilizzavo era: “lavoro nel campo della pubblicità online”). Per fortuna da oggi posso contare su un valido “alleato”. Si tratta del libro Le nuove professione del Web di Giulio Xhaet un testo che presenta con molti dettagli e testimonianze otto profili lavorativi, dal web editor al content curator, dal SEO al reputation manager. Il sottotitolo “fate del vostro talento una professione” non è casuale: il mondo del digital è forse – per ora – una delle poche oasi felici nel mercato dell’advertising. L’entusiasmo però alle volte crea confusione. Per cui ottima l’idea di raccogliere in un libro tutte le informazioni necessarie a capire le peculiarità dei vari profili per dare modo, a chi si voglia affacciare al mondo dell’online, di intuire quale possa fare al proprio caso. Tra l’altro, proprio a questo proposito, carinissima l’idea di individuare attitudini comuni a tutti i profili presentati che si “colorano” con delle stelline in base all’importanza o meno di quella determinata caratteristica per quel tipo di professionalità.

Nonostante la mia breve intervista compaia a pagina 150 nel capitolo dedicato all’All-line Advertiser (ebbene sì, c’è anche la comparsata del sottoscritto), le parti che hanno attirato maggiormente il mio interesse sono state le sezioni dedicate al Community Manager e al Digital PR (dove P sta per People tanto per citare il libro), forse perché più connesse a quello che tutti i giorni è ciò di cui mi occupo.

Per concludere, una nota di merito ai titoli dei vari paragrafi che formano i capitoli, sempre divertenti, e all’idea di inserire a fine capitolo dei QRCode che rimandato al sito creato ad hoc per l’uscita del libro.

Complimenti e buona lettura!

Organizzarsi per sopravvivere al mare magnum che è il web

Il mondo informativo negli ultimi anni ha subito notevoli cambiamenti. La funzione, ad esempio, di gatekeeper, di filtro di alcuni mass media appare oggi almeno in parte superata da nuovi strumenti – primo su tutti il web – che permettono da un lato a qualunque utente di diventare un “canale” comunicativo dall’altro consentono ad ognuno di noi di realizzare la propria cornice informativa personalizzata. Non bisogna però cadere nel tranello di pensare che ad un volume superiore di informazioni corrisponda automaticamente un migliore modo di utilizzarle. Ecco perché, in occasione del SOTN di Trieste, presso l’angolo Apogeo, sono stato ben felice di riuscire a strappare una copia di Sopravvivere alle informazioni su Internet – Rimedi all’information overload di Alessandra Farabegoli. Un testo del quale da subito ho apprezzato la semplicità, lo spiccato senso pratico e la sintesi con la quale le diverse necessità vengono affrontate. Il libro è una sorta di manuale di “sopravvivenza” che, inserendosi nel filone dell’alfabetismo digitale, punta a fornirci le dritte per organizzare al meglio il nostro tempo e le risorse (email, notizie, link, note, documenti, password) di cui disponiamo.

Consigli mai banali, presentati in maniera approfondita per rendere la nostra “dieta informativa” più ordinata, più efficace e quindi più facilmente fruibile.

E se, almeno per il sottoscritto, la mission inbox zero resta ancora un miraggio, è anche vero che proprio grazie agli stimoli del libro ho iniziato a organizzare la mia posta dividendola in macrodirectory in base al mittente, ho scaricato Remember the Milk una app gratuita per evitare di dimenticare le mia to do list, ho iniziato a salvare i link degli articoli che mi paiono interessanti ma che non posso leggere subito su Instapaper. Insomma mi sento un utente più smaliziato e meno in balia dell’enorme flusso informativo che ogni giorno sono chiamato a navigare.

OverBlog, l’oltre social della blogosfera

Il termine web-log iniziò ad essere utilizzato a partire dal 1997 (bisognerà aspettare due anni solo perché la parola venga abbreviata in blog!), all’inizio erano liste di link sviluppatesi poi successivamente in diari virtuali sempre più multimediali. Sono passati ormai molti anni e anche grazie ai servizi di gestione gratuiti i blog sono diventati un fenomeno diffuso attirando non solo geek ma anche giornalisti, politici, professori, sportivi e utenti “comuni” desiderosi di dire la propria online. Con l’avvento dei social network – in particolare di strumenti come Twitter e Tumblr – in molti hanno intravisto la fine di quella “bolla” chiamata blogosfera capace di proporsi come spazio alternativo di informazione UGC (o, come direbbe qualche nostalgico delle rivoluzioni liberali, dal basso) e di attirare anche l’attenzione di motori di ricerca e responsabili marketing.
Il mio primo blog risale a metà dei primi anni Duemila quando, da semplice appassionato del web, desideroso di proporre i miei giudizi su film, libri e mostre a una platea potenzialmente enorme aprii un blog su Windows Live Spaces per rendere pubbliche le mie recensioni con la speranza potessero tornare poi utili a qualcuno (decisi di puntare sin da subito sulla condivisione). Evolvendomi come utente e come blogger ho sentito poi l’esigenza di passare su una piattaforma più completa e “professionale” che potesse aiutarmi a rendere il mio spazio una vera e propria vetrina di idee, esperienze, scoperte. E nonostante l’avvento di Facebook e affini la mia passione verso il blog non si è per nulla esaurita, anzi (viceversa il tempo è sempre più tiranno, se riesco a scrivere un post a settimana posso ritenermi soddisfatto).
Nonostante i continui miglioramenti tuttavia, da blogger ultimamente sentivo la necessità di un nuovo rinnovamento, di dare una spolveratina al mio spazio rendendolo più attuale e in sintonia con i tempi. Per questo motivo, da alcuni giorni, ho deciso di testare una nuova piattaforma di blogging, OverBlog. La nuova versione italiana (ancora in beta, rilasciata ad inizio settimana dopo il successo del BlogWorld Expo 2012), presenta quello che a tutti gli effetti potrebbe essere il futuro più prossimo dei blog: il social hub. Il blog, in parole povere, diventa una sorta di raccoglitore di vari contributi multimediali (status, post, foto, video, check-in…), acquisisce cioè una multidimensionalità multicolore che prima con i soli testi linkabili non poteva avere.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=I0yzypzww6w&w=440&h=360]

Basta infatti scegliere di sincronizzare i social network più utilizzati (nel mio caso Twitter e Instagram) ed ecco in un’unica timeline fondersi gli ultimi tweet, le immagini “filtrate”, gli articoli più recenti. Il tutto attivabile in maniera semplice, immediata, con la possibilità di filtrare i propri messaggi (scartando, ad esempio, i re-tweet o le risposte ad altre conversazioni) e di rendere ai lettori la navigazione tra contenuti ricca quanto facile. In attesa della nuova versione (il cui rilascio è previsto dopo l’estate) che supporterà funzioni di revenue share, un’app mobile per lo streaming video, statistiche e nuovi layout grafici, non resta che iniziare a testare le possibilità di questo nuovo social-blog.