[recensione] Twitter senza segreti di Luca Conti

Twitter senza segretiSono un fan di Twitter, strumento che ho iniziato ad utilizzare nell’ottobre 2008 (per conoscere a quando risale il tuo primo tweet, visita Twopcharts e inserisci il tuo nickname) e che da allora rappresenta per me una sorta di rassegna stampa mattutina in virtù della quale inizio la giornata scorrendo le notizie sui temi che più interessano. E’ in assoluto l’applicazione che utilizzo con maggiore frequenza, uno strumento ormai irrinunciabili per trovare spunti sui temi che mi appassionano, per condividere mie considerazioni, per commentare le mie esperienze (anche con altri media).
Di Twitter mi hanno subito colpito la semplicità, la velocità e la sintesi cui obbligava. Ho però rapidamente capito che dietro l’immediatezza di un tweet si nascondeva una rivoluzione in grado di cambiare (per sempre?) i connotati del mondo della comunicazione e di quello dell’informazione. Nel corso degli anni ho imparato così a distinguere le peculiarità di Twitter rispetto agli altri social media diventando un utente più smaliziato via via che lo stesso strumento si evolveva. Uno dei momenti topici, l’ho personalmente raggiunto nel maggio 2012 (se la memoria non mi inganna), quando appena avvertita una forte scossa di terremoto, la prima cosa che feci, istintivamente, fu quella di prendere lo smartphone e scrivere un tweet su ciò cui ero stato testimone salvo poi passare in rassegna i cinguettii delle persone che conoscevo per capire se anche loro avessero avvertito qualcosa.

Nonostante sul fronte degli investimenti pubblicitari non abbia ancora avuto modo di utilizzare Twitter (aspetto con molta curiosità l’opportunità di provare in prima persona le soluzioni advertising), non ho esitato un attimo ad associare anche al mio News(paper) Revolution un hashtag – #nepare – per stimolare/monitorare la conversazioni attorno al saggio e agli argomenti trattati.

Per restare in tema di libri, ho da pochi giorni terminato la lettura di Twitter Senza Segreti di Luca Conti, un testo pubblicato dalla casa editrice Hoepli molto interessante che mi sento di consigliare a tutti, sia a coloro che per ora si limitano ad osservare dall’esterno lo strumento, sia a coloro che invece lo utilizzano da tempo.
Le informazioni fornite sono davvero molte e consentono di scoprire passo passo l’unicità di Twitter, i suoi aspetti tecnici e i principi fondanti, le opportunità per chi voglia ascoltare, comunicare o promuovere, con tanti esempi concreti, profili da seguire, interviste e link attraverso i quali proseguire l’approfondimento. Un libro che in qualche modo rispecchia ciò su cui si focalizza: semplice, si legge senza annoiarsi e offre spunti molto interessanti per comprendere al meglio come Twitter nel giro di pochi anni sia diventata “l’agenzia stampa globale personalizzata” usata da politici, attori, responsabili di azienda, sportivi e giornalisti.

Uno dei punti sui quali l’autore insiste spesso che mi piace sottolineare è l’aspetto legato alla consapevolezza di come Twitter sia un social network di microblogging improntato alla partecipazione, alla conversazione, alla relazione. Utilizzarlo solo come l’ennesimo canale attraverso il quale diffondere il proprio messaggio significa probabilmente non aver appieno compreso le potenzialità dei messaggi in 140 caratteri.

La sfida è quella di individuare/proporre una modalità comunicativa (anche pubblicitaria) che possa essere percepita come “servizio” dagli utenti, come qualcosa di interessante, di costruttivo, di originale capace di indurre all’azione chi ne fruisce, risposta o condivisione che sia.

Forse mi sarei aspettato qualche parolina anche su Vine, mobile app di casa Twitter, questo l’unico appunto – ma proprio a cercare l’ago nel pagliaio – che mi sentirei di fare all’autore, al quale però ribadisco i miei complimenti per un libro davvero ben pensato e scritto.

Si fa cultura digitale anche raccontando con chiarezza e semplicità i nuovi strumenti digitali. E Luca Conti, in questo, è uno dei più bravi.

Un primo giudizio sul nuovo look di Gazzetta.it

Da alcuni giorni è online la rinnovata versione de La Gazzetta dello Sport. Ho subito avuto molta curiosità circa il rinnovato design (in particolare della versione web) della “rosea”, sia in qualità di appassionato dell’evoluzione dei media in Rete, sia come lettore-tifoso della testata.

Ad una prima occhiata, la nuova impostazione mi ha ricordato subito la cornice entro la quale sono presentati gli articoli di USA TODAY.


Un po’ come per l’edizione del 2004 (visibile nella Gazzetta Timeline), il sito mostra in primo piano sulla sinistra il menu con i “quick link” alle diverse sezioni informative del sito (menu che, se si resta nel sito, mostra anche le notifiche circa nuovi articoli di una determinata sezione). Da notare come tale menu rimanga fisso anche allo scorrimento dei contenuti. I quali, si nota subito, lasciano molto più spazio alla multimedialità: foto e primi frame di video sono i veri protagonisti della homepage, i testi sono ridotti al minimo e si limitano ai titoli. Andando con il mouse sopra i contenuti, prima di cliccare per leggere l’articolo, ne vengono mostrati i “mi piace”.
Da quanto mi è parso di vedere, pare vi sia una sorta di struttura piramidale per l’organizzazione dei vari “pezzi”: una notizia principale con la foto più grande sotto la quale sono indicate altre 4 notizie ad essa correlate. A lato, lo spazio per l’aggiornamento Live, sotto le altre 2 notizie più rilevanti (con 2 link sotto le immagini, di cui solitamente la prima che rimanda ad un video).
Al primo, seguono altri due blocchi di news, uno a sviluppo orizzontale in due righe, l’altro a colonna (che in realtà può anche essere visualizzata come griglia). Bella l’idea, nell’angolo in alto a destra di indicare con un piccolo box l’argomento/la squadra di riferimento. Più che apprezzabile anche la scelta di informare circa l’autore e ultimo aggiornamento della news.
Allo scroll, trovano spazio le notizie degli altri sport, in una struttura pulita e ordinata con foto in rettangoli affiancate dai relativi  titoli che ricorda un po’ quella utilizzata dalle app con le quali si aggregano i contenuti informativi su smartphone e tablet.

Design 2014 Gazzetta
Cliccando su un articolo, resta visibile in alto la barra (nera) del menu che presenta le diverse sezioni del sito e, appena si iniziare a scorrere l’articolo, compare anche la G per tornare alla homepage. Sotto, una sorta di slideshow delle notizie principali della sezione che si sta visitando.
Sopra il titolo compare il “tag” presente nella foto della home che risulta cliccabile ma che non in realtà non porta a nulla: mi sarebbe piaciuto avere la possibilità di essere rimandato a tutti gli ultimi articoli riferiti a quella particolare tematica.
Tra titolo e sottotitolo un’altra novità, questa volta in stile New York Times: la possibilità di navigare orizzontalmente tra i contenuti, “sfogliando” il giornale online in virtù di frecce per leggere l’articolo precedente (sinistra) o successivo (destra). In realtà, nel NYTimes, le frecce restano sempre presenti a metà delle schermo mentre sulla Gazzetta sono ancorate alla parte superiore dell’articolo “costringendo”, chi abbia finito di leggere il pezzo, a tornare in alto per proseguire “orizzontalmente” con la lettura di un nuovo articolo. Trovo la soluzione nel Times migliore, più ergonomica, anche perché, fatto uno scroll, le frecce laterali consentono, quando si passa sopra con il cursore senza cliccare, di leggere il titolo dell’articolo di destra/sinistra. Nella Gazzetta, posizionandosi sopra una delle frecce, il box “Articolo Successivo” non fornisce informazioni su quello che si andrà a leggere (questo un po’ di smarrimento nell’utente lo crea: in base a cosa scelgo l’opzione di destra o di sinistra se non ne conosco la destinazione?), finendo, tra l’altro, almeno con le mie impostazioni di schermo, con il sovrapporsi al titolo.
A lato dell’articolo, in corrispondenza della data del pezzo, un box verticale con la possibilità di condividere e interagire con la news. Il numero in alto non si capisce esattamente cosa rappresenti (immagino possa essere la somma di condivisioni, like e commenti; personalmente avrei optato per il sistema che mostra le operazioni di ogni singola opzione a disposizione piuttosto che un anonimo totale) ma più che apprezzabile l’idea che anche questa parte segua lo scroll del lettore sino al termine dell’articolo.

Finito l’articolo, spazio ai commenti. Forse, anche qui avrei “osato” un po’ di più magari utilizzando, come succede nei blog (compreso questo), una riga contributi correlati o le top news del momento. Avrei insomma offerto al lettore l’opportunità di navigare tra i contenuti senza spostare troppo il cursore: finito un pezzo, per leggerne un altro, ora bisogna salire nella parte alta dello schermo nello slideshow, tornare con lo scroll al titolo per poi cliccare sulle frecce o, in alternativa, cliccare la colonna sulla destra dedicata ad Approfondimenti, Più Letti, Più Commentati che però, per gli articoli più lunghi, per essere visualizzata richiede comunque almeno uno scroll (una soluzione alternativa potrebbe essere quella di invertire gli spazi: colonna laterale con commenti a fine articolo, approfondimenti e più letti/commentati a fine pezzo).

Nei prossimi giorni proseguirò la conoscenza del nuovo design della Gazzetta, il progetto (realizzato da Sketchin) mi sembra valido e sicuramente rappresenta una efficace e innovativa modalità per raccontare la passione che anima noi tifosi. Con la speranza, nel mio piccolo, di aver fornito dei suggerimenti costruttivi, non posso che fare contemporaneamente e complimenti e gli “in bocca al lupo” di rito per il restyling!

p.s.=un’ultima annotazione: nel sito realizzato ad hoc per il lancio della rinnovata Gazzetta, non riesco a vedere (proprio) il contenuto legato alla user experience (“formato video o mime type non supportato” il messaggio di errore), sob.

La nuova veste del New York Times, tra interattività e native adv

img: from AdAge.com

Lo scorso 8 gennaio, il New York Times ha iniziato a proporre la nuova veste grafica. Obiettivo primario – come sintetizzato nel minisite del lancio – è quello di rendere l’esperienza di lettura più profonda e coinvolgente, offrendo ai lettori un’interfaccia in grado di rispondere con maggiore tempestività e semplicità ai bisogni informativi.

Le sei novità più sostanziose sono:

1. Gli articoli non sono più spezzati in diverse pagine, la lettura può proseguire con il solo scroll senza più la necessità di cliccare “Continua”. Le foto degli articoli, inoltre, possono essere ingrandite per poi tornare alla lettura.

2. L’area dedicata ai commenti è stata espansa e la si può navigare parallelamente all’articolo di modo da rendere gli interventi degli utenti di più facile comprensione;

3. La navigazione tra contenuti ora può avvenire anche in maniera orizzontale grazie a un box a lato dell’articolo e a una barra in alto che consente di scoprire gli altri contributi della sezione;

4. Il sito, nella parte alta, avvisa l’utente circa la pubblicazione delle breaking news;

5. Il tasto per la condivisione è, in alto, sempre visibile. Non è legato ai contenuti ma fa parte della cornice del sito entro la quale ogni articolo viene caricato. Lo stesso dicasi per le sezioni, raggruppate in un unico menu laterale.

6. Maggiore spazio ai suggerimenti che rimandano ad articoli correlati su una particolare tematica, e a quelli più condivisi.

Alle scelte legate al design sia affianca l’utilizzo da parte della testata del native advertising. Avevo già trattato l’argomento, ora anche il NYT ha deciso di proporre agli inserzionisti la pubblicazione di contenuti sponsorizzati.

La prima campagna, online per i prossimi tre mesi, vede protagonista Dell. A supporto della classica tabellare, è stata creata una sezione apposita che viene richiamata da un riquadro blu nella homepage nel quale campeggia la scritta “Paid Post”. Il click rimanda a paidpost.nytimes.com, un minisite che pubblica gli articoli sponsorizzati (“PAID FOR AND POSTED BY DELL” recita il titolo della pagina). Il primo post, Will millennials ever completely shun the office?, secondo quanto riportato da AdAge.com, sarebbe stato scritto da un freelance che collabora con la testata sulla base di un tema non legato in maniera diretta ai prodotti del colosso americano dell’hardware – quello appunto della cosiddetta milleniam generation – proposto da un editor del NYT e avvallato da Dell. I commenti all’articolo sono disattivati e, in caso di condivisione del contributo via Twitter, un testo predefinito suggerisce come prima parte del messaggio: “Dell Paid Post – From NYTimes.com” (da notare come il post non sia stato diffuso dalla testata nei propri profili social media).

Scorrendo la Timeline che sintetizza i vari cambiamenti della presenza online del NYT, è facile capire come il giornale in Rete stia diventando qualcosa di sempre più ibrido, capace di innovarsi facendo proprie le scelte di maggior successo di blog (es. articoli correlati, scroll per proseguire la lettura) e applicazioni (il flip laterale che in un certo senso richiama il voltare pagina di quotidiano cartaceo), e testando nuovi approcci pubblicitari (native advertising) alla ricerca di soluzioni valide a lungo termine.

Un anno di Daily Dish con Andrew Sullivan

Img: dish.andrewsullivan.com

Fine anno significa inevitabilmente anche tempo di bilanci, di valutazioni sulla base delle quali stilare buoni propositi e obiettivi per il futuro.

Uno dei progetti più interessanti dal punto di vista giornalistico dello scorso anno [citato nella versione digitale di News(paper) Revolution] è stato sicuramente The Daily Dish di Andrew Sullivan.

Il noto blogger, lasciato il Daily Beast, con una redazione di una mezza dozzina di persone, ha iniziato un nuovo progetto – il The Dish, appunto – completamente finanziato dai lettori (tramite donazioni o abbonamenti), senza pubblicità, sponsorizzazioni né finanziamenti da parte di terzi.

Una sfida difficile quanto intrigante, con un traguardo ben definito: arrivare, e magari superare, quota 900.000 dollari di entrate in un anno, l’editorial budget della precedente collaborazione al The Beast.

Com’è andata? Come reso noto dallo stesso Sullivan, la cifra agognata non è stata raggiunta, anche se davvero per poco (gli introiti da abbonamenti del 2013 si sono fermati a 851.000 dollari). L’iniziativa, tuttavia, per molti versi si può ritenere un successo.

Come già in parte accennato, il “sistema Dish” si regge su abbonamenti annuali (19,99 dollari) e mensili (1,99 dollari). Ogni utente non registrato ha un bonus di 5 click per leggere per intero gli articoli del blog, usufruito il quale scatta il blocco del paywall.

Gli abbonati annuali del 2013 sono stati 34.000, dei quali 9.000 hanno già deciso di rinnovare anche per il nuovo anno. 28.000 invece gli utenti che, raggiunto il limite di lettura gratis, non hanno deciso di abbonarsi, dimostrazione di come ci siano margini di crescita nel bacino di lettori del blog.

Nel grafico che sintetizza l’andamento delle revenue mensili del blog da notare come, dopo leggero ribasso dei mesi estivi, ottobre abbia segnato un notevole balzo in virtù della crisi del debito degli Stati Uniti che, proprio in autunno, ha innescato un acceso un dibattito al Congresso in grado di stimolare l’interesse degli utenti alle considerazioni della redazione su quanto stava avvenendo sulla scena politica.

Un’ultima considerazione. Nel suo messaggio di fine anno Sullivan scrive:

[…] we’ll finally have a solid basis for a ongoing, entirely-online blogazine with no sponsored content and (so far) no advertizing […]

L’utilizzo dell’espressione “so far” preannuncia probabilmente qualche novità nella testata. Il modello attualmente alla base del The Daily Dish potrebbe infatti declinarsi a breve in due versioni: da una parte, la fruizione gratuita per tutti gli utenti con i contenuti affiancati dalla pubblicità, dall’altra l’edizione libera dall’adv per gli abbonati.

Il primo anno si concluso molto bene, ripetersi e mantenere in piedi il progetto redendo solida la base di lettori non sarà certo facile (se dai 34.000 abbonati togliamo i 9.000 che hanno già rinnovato e immagininamo che i 25.000 restanti siano utenti interessati al supporto annuale con il blog, questi rappresentano circa 500.000 dollari, più della metà degli incassi dell’anno, non dovessero continuare a supportare la testata, sarebbe un bel problema!).

Con la speranza che il progetto continui ad avere un seguito, non posso che augurare ad Andrew e al suo staff un 2014 ricco di (nuove) soddisfazioni.

[recensione] Stop agli incantatori del web, di Elena Schiaffino

Img: bookrepublic.it

Il 2013 che sta per finire è stato un anno di notevoli cambiamenti e di nuove sfide da affrontare. Dal punto di vista lavorativo, ad esempio, dallo scorso aprile, sono passato dal lavorare (semplifichiamo) in una web agency al collaborare in pianta stabile direttamente con un’azienda. Se è vero che continuo ad occuparmi di comunicazione e marketing su web e social media, non posso certo liquidare come “banale” la mia nuova mansione e le relative modifiche al modo di pormi nei confronti della Rete che da qualche mese sto sperimentando. Il “salto” da agenzia ad azienda, almeno per il sottoscritto, ha comportato una notevole modifica della prospettiva e dell’approccio all’online. Una della differenze più evidenti è stata il passaggio da una realtà che offre servizi a una che invece è chiamata a valutare i partner esistenti e ad individuarne di nuovi per progetti specifici.
Calarsi nel nuovo ruolo, dall’altra parte della scrivania, non è stato immediato.
Per anni la mia visione del web è stata, diciamo così, limitata a un solo emisfero, mancava una visione di insieme che potesse in qualche modo rendere più chiaro il panorama nel suo complesso. Venivo interpellato per rispondere ad esigenze ben precise (diffondere un video piuttosto che creare passaparola attorno a un prodotto o un’iniziativa) ma non potevo approfondire le valutazioni che avevano portato alla scelta di utilizzare gli strumenti messi a disposizione e, soprattutto, non avevo modo di misurare l’efficacia in termini di ritorno di una determinata “campagna” andando al di là dei parametri che si è soliti utilizzare online per valutare le performance nel breve periodo.

Questo preambolo spiega forse il motivo per cui, quando mi è capitato sotto mano Stop agli incantatori del web di Elena Schiaffino, il libro abbia subito attirato la mia curiosità. Il testo è una guida pratica per aiutare chiunque sia alla ricerca di professionalità in grado di supportare la propria presenza in Rete. Partendo dalla definizione di web agency e digital company, il saggio offre utili consigli per scegliere con oculatezza il fornitore web più idoneo alle proprie necessità e ai propri obiettivi, mettendo in guardia dai tranelli da evitare.

Nonostante il testo sia del dicembre 2012, risulta ancora un più che valido punto di partenza per essere più consapevoli di ciò che si è chiamati ad affrontare e, quindi, per vagliare al meglio le diverse opzioni.

Come ricorda l’autrice, infatti, se è vero che ormai è (quasi) impensabile non essere online, è altrettanto vero che ormai l’epoca pionieristica del web è terminata e, di conseguenza, oggi esistono molti più strumenti per valutare i potenziali partner e scegliere – come recita il sottotitolo del libro – “i professionisti giusti per un progetto digital di successo”.

Sono convinto che ci sia ancora molto da fare nell’ambito della educazione/formazione al “mezzo Internet”, soprattutto lato cliente. Un libro semplice e chiaro (curato anche dal punto di vista grafico) come quello della Schiaffino, di certo contribuisce a rendere il web più credibile.

News Corp scommette sul social journalism di Storyful

Img: CNN.com

Ho scoperto Storyful circa un anno fa. Stavo ultimando lo studio sul rinnovamento del mondo dell’informazione che poi ha portato a News(paper) Revolution e, concentrato sul “fenomeno” del citizen journalism (anche se personalmente preferisco l’espressione open journalism), ero alla ricerca di qualche nuovo progetto capace di ben interpretare esigenze e ruolo del rinnovato panorama informativo. Storyful attirò subito la mia attenzione proprio per l’originalità del proprio approccio alle sfide della Rete.

[…] società con sede a Dublino composta da un team di professionisti che 24 ore su 24 monitorano i web (e in particolare i social media) catturando immagini e contenuti degli utenti da poi vendere alle testate di tutto il mondo. Ecco “manifesto” presente nel sito ufficiale: «Storyful is the first news agency of the social media age. We separate the news from the noise. Storyful gives journalists and media professionals the power to discover, validate and deliver the most compelling content on the social web. Storyful helps newsrooms and publishers create newswires designed to meet the needs of their target audiences. Our goal is to create a sustainable model for a new form of social and collaborative journalism». Come funziona? In estrema sintesi, individuato un contenuto “dal basso”, lo staff ne approfondisce i dettagli mettendo poi in caso tra loro in contatto utente – ad esempio un ragazzo con i propri scatti diffusi tramite Twitter è diventato testimone degli scontri di Tripoli – e testata giornalistica.

Non nascondo quindi che, leggendo dell’acquisizione di Storyful da parte del colosso News Corp di Rupert Murdoch (per 25 milioni di dollari) abbia provato un certo orgoglio per aver “scovato” una realtà che nel giro di un anno dalla mia citazione, ha saputo attirare le attenzioni di uno dei maggiori gruppi editoriali.

Ma cosa ha suscitato così tanto l’interesse della società del Wall Street Journal e del New York Post? Di certo le valutazioni che hanno portato all’acquisizione della start-up irlandese saranno state molte ma, a mio modo di vedere, due su tutte hanno fatto la differenza.

Storyful ha messo a punto una routine lavorativa che consente, seguendo i dettami del “buon giornalismo”, di verificare e commercializzare i cosiddetti user-generated content. La capacità di separare del brusio delle conversazioni online, materiali fotografici o video interessanti anche dal punto di vista giornalistico, rappresenta un valore aggiunto notevole. Vincere la sfida di proporre al pubblico delle breaking news – tramite i contributi di semplici cittadini testimoni diretti di ciò che è accaduto – prima delle altre testate, non può che essere un risultato al quale ambire.

L’abilità nell’uso dei social media e, in generale, la robusta presenza nell’ambito dei media digitali di Storyful, può tornare decisamente utile anche sul fronte dell’advertising sempre alla ricerca di valide soluzioni.

Delle tante dichiarazioni seguite all’acquisizione, mi ha colpito quella del CEO di News Corp, Robert Thomson, che ha sintetizzato i cambiamenti in atto come la trasformazione di un gruppo fondato su brand legati a giornali cartacei in quello che punta su piattaforme informative digitali.

La rivoluzione continua.

De Correspondent, la proposta olandese per un nuovo giornalismo

Img: gigaom.com

In questi giorni ho avuto modo di conoscere un progetto giornalistico che mi ha davvero colpito per la propria originalità. Si tratta di De Correspondent, start-up olandese che, nata lo scorso settembre (la campagna di comunicazione è in realtà partita alcuni mesi prima, a marzo), è riuscita a raccogliere, grazie alle donazioni di circa 19.000 utenti, la considerevole cifra di 1.7 milioni di dollari.

Di cosa si tratta? Di una piattaforma giornalistica online che punta sull’analisi approfondita di storie che normalmente non trovano spazio – o ne trovano poco – nel mainstream.
Forse la definizione sembra un po’ fumosa ma sta di fatto che il team guidato da Rob Wijnberg (classe ’82!)– che conta su 11 professionisti full-time tra giornalisti, fotografi e grafici, e una 15ina di corrispondenti – può già contare su oltre 20.000 abbonati.

Scorrendo le informazioni riportate nel sito, appare chiaro come la sfida di De Correspondent sia decisamente impegnativa. Al centro dell’iniziativa vi è, infatti, il superamento del concetto di “notizia” come attualmente viene concepito dalle redazioni tradizionali.
La start-up con sede ad Amsterdam, nella sua attività punta alla realizzazioni di “pezzi” che scavino in profondità un determinato argomento senza l’ansia del dover coprire per forza di cose le breaking news. La rilevanza di un fatto, quindi, supera la sua attualità: un modo alternativo di fare giornalismo basato sul fact-checking, capace di trascendere le divisioni con le quali solitamente vengono organizzate le notizie (carattere nazionale, internazionale, di politica, di economia, eccetera), con reportage curati direttamente dalla redazione, e sull’autonomia di giudizio che deriva dalla semplice considerazione che i giornalisti non sono automi ma professionisti con una propria sensibilità che non deve quindi portare a nascondere la sorpresa, le speranze, i timori e gli entusiasmi che derivano dalle loro inchieste, dai loro contributi. Un recupero del lato umano sottolineato anche dall’invito alla partecipazione attiva dei lettori chiamati e a contribuire sui diversi temi trattati dalla redazione non solo economicamente ma in virtù della propria esperienza.

Un progetto for-profit ma il cui modello di business si basa su contenuti da vendere ai lettori non agli advertiser. Abbonamenti e donazioni che saranno la base degli ulteriori sviluppi della piattaforma la cui innovazione sarà finanziata da, almeno, il 20% dei guadagni della testata. De Corrispondent non si avvale della pubblicità e, anche per questo motivo, nella scelta degli argomenti da trattare, previene la necessità di dover, ad esempio, analizzare ciò che un determinato target potrebbe trovare interessante. Come sostegno, chiede 60 euro anno ai propri lettori. E’, a tutti gli effetti, un digital medium e quindi è fruibile su desktop, tablet, smartphone e anche via app. Consente la condivisione di articoli anche ai non iscritti ma con delle precise limitazioni.

Un’iniziativa sicuramente da seguire, un’alternativa all’idea stessa di giornale che in qualche modo, facendo propria la lezione del The Dish di Sullivan, punta sullo sviluppo di una community attorno alle notizie e al superamento del “palinsesto” canonico delle news. Complimenti e in bocca al lupo!

Promuovere gli ebook, il mio intervento su #nepare

Nella giornata di ieri ho avuto l’onore di partecipare, in qualità di relatore, al primo corso dedicato agli editori digitali promosso da Simplicissimus Book Farm. Un intervento, a chiusura della giornata di formazione dedicata agli ebook, che mi ha dato modo di raccontare alcune delle iniziative da me attivate nella Rete a supporto di News(paper) Revolution.

Una semplice carrellata di suggerimenti (non volevo certo infierire dopo ore e ore di attenzione massima) che mi sono sentito di condividere nella mia duplice veste di autore e di “stratega” della promozione online del libro. Immagino non sia una situazione usuale, ma in virtù della mia esperienza con web e social media, l’editore (Fausto Lupetti che ringrazio per avermi messo in contatto con gli organizzatori del corso), al momento del lancio del saggio, mi ha lasciato carta bianca offrendomi massima libertà di azione.

Quando gli investimenti pubblicitari sono di tasca propria e si utilizzano per “spingere” il frutto del proprio lavoro, di ore passate davanti alla schermo di un computer, la responsabilità insita nella sfida di utilizzare al meglio le poche risorse disponibili è ancora più sentita.

La promozione del libro continua (il prossimo 19 novembre presenterò il testo su Second Life) ma, dopo alcuni mesi dall’uscita, era forse tempo di stilare un primo bilancio. La presentazione, in questo senso, è stata una buona occasione per vagliare aspettative, difficoltà incontrare, miglioramenti apportati in corsa e nuove nozioni apprese.

Non si tratta di soluzioni tecniche che garantiscono il successo, ma di 6 semplici step che rappresentano l’approccio al web che mi sento di consigliare.

Ringraziando ancora una volta chi mi ha dato modo di parlare della mia esperienza (e, di riflesso, del mio libro), resto a disposizione per eventuali curiosità o suggerimenti.

[update: l’intervento di cui sopra è diventato un ebook, Web Marketing: questione di metodo]

New York Times Company, crescono i profitti. Ma non grazie all’adv.

nyt_3rdquarter_13Ultimamente ho focalizzato la mia attenzione su alcune redazioni locali statunitensi e sul loro approccio alla crisi della stampa. Con questo post, invece, torno ad occuparmi di uno dei colossi del giornalismo a stelle e strisce. Sono infatti stati resi noti i dati relativi al terzo quarter del 2013 di The New York Times Company. Le cifre pubblicate permettono di avere un’idea sullo stato di salute di una delle aziende più importanti al mondo nel panorama dei media.
Il primo dato è quello che, rispetto allo stesso periodo del 2012, i profitti sono in aumento: dagli 8.9 si è passati quest’anno ai 12.9 milioni di dollari, una crescita che, al netto della svalutazione, dell’ammortamento e di alcune liquidazioni di fine rapporto, è stimata attorno al 35%.
Nel terzo quarter del 2013 il totale delle entrate è aumentato del 1.8%, 4.8% se considerata la sola distribuzione. Da notare come, proprio per quel che concerne la diffusione dei giornali, i guadagni crescano sia per il comparto digitale sia per quello della stampa classica nonostante quest’ultima registri un calo delle vendite. La diminuzione del numero di copie cartacee acquistate è stato infatti bilanciata da un aumento del prezzo del quotidiano.

I guadagni provenienti degli abbonamenti digitali ammontano, nel terzo quarter del 2013, a 37.7 milioni di dollari, +29% rispetto allo stesso periodo del 2012. Se l’analisi si allarga ai primi nove mesi del 2013, la percentuale rispetto allo scorso anno sale al 42.4.

Il numero delle iscrizioni digitali continua ad aumentare attestandosi, per quel che concerne New York Times e Herald Tribune, a circa 727.000, il 29% in più rispetto al medesimo periodo del 2012.

Nell’insieme di cifre in progresso è però da notare la frenata degli introiti derivanti dalla pubblicità. Se il -1.6% dei guadagni da adv cartaceo era quantomeno prevedibile, il -3.4% dell’adv online rispetto al 2012 fa sicuramente riflettere. I guadagni da adv digitali, rispetto al totale delle revenue pubblicitarie del gruppo, scendono a 23.8% rispetto al 24.1% dello scorso anno. In realtà è da inizio anno che le entrate pubblicitarie sembrano soffrire: considerando i primi nove mesi del 2013 rispetto a quelli del 2012, l’adv digitale registra un -7.3%, quello a stampa un -3.2%.

In sostanza, da quanto emerge, il The New York Times Company si dimostra ancora una volta un gruppo solido e in salute. Con il progressivo abbassamento dei costi in atto e la parallela crescita dei profitti, il colosso statunitense sta affrontando al meglio le sfide che le testate giornalistiche sono chiamate oggi ad affrontare.

Il fatto che gli introiti pubblicitari, digitali o a stampa, non riescano a tornare a crescere, risulta, in estrema sintesi, un “monito” per tutte le testate: ad oggi, preferibile puntare sui contenuti (e, in generale, sulle iniziative volte a migliorare il rapporto con i lettori) piuttosto che sulla pubblicità che questi possono veicolare.

Scrivi e vinci una copia di News(paper) Revolution

logo_nepare

L’editore mi ha fornito alcune copie di News(paper) Revolution in versione cartacea e ho pensato di distribuirle mediante un’iniziativa che vado a presentare.

(rullo di tamburi)

Nelle occasioni pubbliche spesso mi è capitato di sottolineare come il mio saggio voglia essere l’inizio di una conversazione, un punto di partenza per una riflessione sui cambiamenti in atto nel mondo dell’informazione e, più in generale, della comunicazione.

Ecco perché vorrei coinvolgere direttamente gli utenti per chiedere loro quale sia lo strumento utilizzato maggiormente per informarsi online.

Scrivi una email all’indirizzo indicato nella sezione @bout indicando una delle opzioni. Con un po’ di fortuna, sarai ricontatto per la conferma dell’assegnazione di una copia del saggio.

Quale strumento utilizzi in misura maggiore per informarti online?

Quotidiano solo online
Versione online di quotidiano cartaceo
Magazine online
Motore di ricerca (Google, GoogleNews…)
Applicazione “social magazine” (Zite, Flipboard…)
Facebook
Twitter
Google+
Blog

Un ringraziamento a chi deciderà di partecipare e a chi segnalerà l’iniziativa nei social network (su Twitter utilizzate l’hashtag #nepare, mi raccomando). In bocca al lupo!

 

[update: ho replicato il “sondaggio” nella colonna di destra per chi volesse esprimere una preferenza senza dover partecipare al contest scrivendo una email]