Nelle mie analisi – su blog e in News(paper) Revolution – ho focalizzato l’attenzione sulle soluzioni mediante le quali il giornalismo “tradizionale” tenta di rispondere alle sollecitazioni provenienti dal web dando forse per scontato che fosse l’intero comparto legato al “quarto potere” a doversi adattare ai social media, all’informazione su mobile e a tutte le altre peculiarità delle Rete. E se, invece, il fulcro del cambiamento in atto non fosse strutturale ma bensì legato al formato attraverso cui il “quarto potere” si è per anni concretizzato? Se, in altre parole, fosse il formato “giornale” ad essere entrato in crisi non rispondendo alle esigenze delle persone, più che la routine lavorativa che produce e distribuisce le notizie?
A scatenare in me le riflessioni sul concetto di “quotidiano” è stata la notizia pubblicata da molte redazioni circa la scelta di tre delle maggiori testate statunitensi – New York Times, Wall Street Journal e Washington Post – di aderire al progetto Blendle distribuendo attraverso la start-up olandese i propri articoli. In realtà il New York Times – con un altro gigante editoriale quale Alex Springer Digital Ventures – già lo scorso ottobre aveva dimostrato un notevole interesse per Blendle, contribuendo al progetto con un investimento di 3 milioni di euro. Obiettivo dichiarato: espandere il servizio a mercati europei al di fuori dell’Olanda per verificare la bontà dell’iniziativa.
In una bella intervista pubblicata su Contently, Marten Blankesteijn, co-founder di Blendle, ha spiegato il ragionamento alla base del servizio: i lettori che sono ben predisposti ad un abbonamento digitale trovano oggi molti valide alternative; chi invece non vuole abbonarsi perché non gradisce le modalità/i costi degli abbonamenti proposti o perché non apprezza la testata a tal punto da volersi legare ad essa in maniera continuativa, non ha invece molta scelta (questo ragionamento è valido soprattutto fuori dall’Italia, dove le principali testate adottano il paywall che, senza abbonamento, consente la fruizione gratuita di un numero limitato di articoli al mese). Non è detto però che chi non sottoscrive un abbonamento non sia disposto a pagare per informarsi. Ed è proprio qui che entra in gioco Blendle: una volta registrati e caricato del denaro nel proprio portafogli virtuale (es. 10 o 20 euro), l’utente può scegliere uno degli articoli da leggere tra i giornali e le riviste in database, pagandolo singolarmente una cifra che solitamente si aggira tra i 15 e i 30 centesimi a pezzo. Con inoltre la possibilità, una volta terminata la lettura, di vedersi restituita la cifra se l’articolo non soddisfa appieno le aspettative. Una vera e propria rivoluzione: gli articoli all’interno di Blendle sono proposti in maniera autonoma rispetto alla loro testata di riferimento ed entrano in diretta competizione tanto con gli altri pezzi dello stesso giornale quanto con gli articoli dei gruppi editoriali concorrenti. Il sistema consente di seguire gli articoli legati ad un determinato argomento e di essere informati circa i contenuti scritti da uno specifico giornalista.
Dal punto di vista finanziario, della cifra pagata dall’utente, il 30% resta a Blendle, il 70% viene riconosciuto alla testata.
Per stessa ammissione dei fondatori, Blendle non si configura come alternativo ai sistemi un uso oggi nelle testate, quanto piuttosto va a completare il panorama informativo offrendo agli utenti l’opportunità di una fruizione delle notizie trasversale alle testate.
Se il sistema può sicuramente fungere da incentivo per un giornalismo di qualità – le redazioni devono impegnarsi ancora di più per guadagnare, pezzo dopo pezzo, il favore degli utenti – restano almeno due i punti da chiarire.
Quanti articoli al mese, in media, un utente acquisti (in questo modo si potrebbero fare valutazioni sulla sostenibilità del servizio) e in che modo il superamento della “cornice” giornale – con le prime pagine nelle quali trovano posto notizie su diversi argomenti – finisca con l’influire nella conoscenza del mondo da parte del lettore.
I micro-pagamenti sconvolgeranno il mondo del giornalismo in maniera analoga a quanto accaduto con gli store digitali per la musica?
p.s.= ho provato a contattare il team Blendle per chiedere dei numeri; mi hanno risposto che le uniche che possono rendere pubbliche sono i 230.000 subscribers dei quali il 21% paying users.