Alejandro Gonzalez Inarritu è uno dei miei registri preferiti, il suo modo di raccontare per immagini la vita e la morte mi ha sempre affascinato (in particolare 21 grammi è il suo film che preferisco). Da pochi giorni è di nuovo nei cinema nostrani con Biutiful opera per la quale Javier Bardem ha vinto la Palma d’oro di miglior attore protagonista.
Un film lungo – a tratti forse un po’ lentino – che racconta le vicende di un gruppo di individui accomunati da una vita (difficile) ai margini. In una Barcellona molto lontana dai festi di Vichy Cristina Barcellona, un gruppo di uomini e donne cerca di sopravvivere grazie a piccoli espedienti al limite della legalità. Ciò che accomuna i personaggi è un destino segnato nello stesso tempo dall’amore (tra genitore e figli, tra marito e moglie, tra amanti…) e dalla miseria di un’esistenza votata al sacrificio e amara di gioie (forse proprio per questo motivo il titolo del film è una storpiatura di termine inglese “bello”).
Mentre colonne di fumo si levano da enormi ciminiere – show must go on come cantava Freddy Mercury – la vita ai bordi della città si può semplificare in un dualismo sfruttatori-sfruttati che poco spazio lascia all’umanità.
In un consteso simile, il protagonista, Uxbal, dovrà ogni giorno dimostrarsi forte tanto da poter gestire il rapporto con i figli desiderosi di affetto e cure, con la propria fragile e volubile moglie, con “colleghi” di lavoro diversi e dalle esigenze spesso contrastanti e, infine, con il proprio corpo dalla “cagionevole salute”. Trovando non solo il modo di sbarcare il lunario ma che anche di grantire a sé stesso la pace che riesce, quando interpellato, a donare ai defunti.
Un film intenso, a volte crudo, contrassegnato dal classico “misticismo” di Inarritu che non può lasciare indifferenti.