Un nuovo giorno che tarda ad arrivare

Img: newstatesman.com

Trascorse solo nove settimane dal lancio di The New Day, il progetto del nuovo quotidiano inglese è già arrivato al capolinea. A darne l’annuncio Alison Phillips, la responsabile dell’ormai ex-quotidiano cartaceo che su Facebook ha spiegato come, nonostante l’impegno e il supporto ricevuto, il giornale non abbia saputo far fronte alle aspettative in termini di copie vendute (delle 200.000 copie giornaliere auspicate, a poche settimane dal lancio, le vendite si sono stabilizzate a quota 40.000). Politicamente neutrale, con un maggior spazio per le notizie “positive” e con un ridotto numero di inserzioni pubblicitarie, The New Day nutriva l’ambizione di far breccia su un pubblico giovane (in particolar modo femminile) con un “prodotto” di facile e veloce lettura, una sorta di versione “alleggerita” del Daily Mirror, il “fratello maggiore” del gruppo Trinity. Per raccogliere consensi e tentare di imporsi sin da subito, il giornale non aveva lesinato su investimenti pubblicitari e sul coinvolgimento di nomi noti quali, nel primo numero, il Primo Ministro David Cameron (con un articolo pro-Europa) l’ex attaccante del Liverpool e della nazionale inglese, Robbie Fowler.
L’ironia del destino ha però voluto che lo slogan del nuovo giornale – Life’s short, let’s live it well – si concretizzasse in coincidenza della diffusione dei dati dei primi tre mesi del 2016 relativi al gruppo editoriale di riferimento. Percentuali che, come forse era auspicabile aspettarsi, segnano un nuovo calo degli introiti del gruppo Trinity Mirror (-8,6%), un ulteriore rallentamento dei guadagni dalla pubblicità su carta (-19%) e dalla vendita dei giornali (-4,5%). L’unica voce positiva è risultata quella legata alla digital audience degli spazi online del gruppo, in crescita del +15,7%. Alla quale però il The New Day non ha per nulla contribuito in quanto, al lancio del giornale, per paradossale che possa sembrare, la redazione decise di non prevedere un sito web legato alla nuova testata.

James Wildman, chief revenue officer di Trinity Mirror Solutions, commentando quanto accaduto, si è definito orgoglioso di far parte di una realtà pronta a rischiare nel tentativo di (r)innovare. Un gruppo che farà sicuramente tesoro della “breve ma intensa” esperienza del New Day per continuare il proprio processo di diversificazione, per migliorare la distribuzione (da molti addetti ai lavori indicata come una delle principali carenze che hanno portato alla chiusura anticipata del giornale) e il packaging dei contenuti.

Dichiarazioni evidentemente di rito che però omettono un aspetto della vicenda tutt’altro che secondario: sono stati gli stessi analisti del Trinity Mirror ad avvallare il progetto prevedendo erroneamente che il The New Day potesse iniziare a guadagnare già entro l’anno. Salvo poi essere smentiti dai vertici del gruppo che, dopo poco meno di due mesi, hanno deciso di arginare le perdite mettendo fine all’esperimento. Sfida che evidentemente, visto il repentino cambio di programma, a loro avviso non aveva basi poi così solide sulle quali svilupparsi.

I giornalisti delle testate concorrenti, pur rammaricati per l’ennesima concreta dimostrazione della crisi del comparto editoriale, probabilmente non si stanno strappando le vesti per la chiusura anticipata di The New Day. Fosse passata l’idea che è sufficiente un team di 25 persone per produrre un quotidiano cartaceo di successo in un breve lasso di tempo, molto probabilmente ciò avrebbe dato il là a numerosi licenziamenti nel nome di riorganizzazioni giustificate da una presunta miglior efficienza oltre che dal contenimento dei costi.

Ciò che è accaduto dimostra ancora una volta quanto risicate siano le certezze del settore legato alla stampa. Nel quale anche una realtà di grande esperienza nell’ambito informativo dà la sensazione di brancolare nel buio nel tentativo di fermare quello che ad oggi sembra un inesorabile declino.

E’ la stampa (di oggi), bellezza.

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