Qualche considerazione sul Digital News Report 2013

Pic from ReutersInsitute

Da poco più di un mese è stato pubblicato il Digital News Report 2013 Tracking the Future of News che, a causa dei miei molteplici impegni, ho potuto leggere con attenzione solo negli ultimi giorni. La mole di dati analizzati, sulla base delle risposte di sondaggi online (per l’Italia 965 il numero degli utenti interpellati) è davvero notevole e, provenendo da diversi Paesi (un blocco europeo, Stati Uniti, Giappone e Brasile), permette una visione di insieme del mondo delle notizie molto interessante.

Scorrendo l’indice dello studio, tra le tante voci, una ha subito colpito la mia curiosità: quella relativa al pagamento delle notizie. Il capitoletto – intitolato Paying for Digital News – esordisce indicando due percentuali non molto incoraggianti per il giornalismo online. Rispetto alla data di compilazione del questionario sulla quale è basata l’analisi dello studio (gennaio/febbraio 2013), se il 50% degli intervistati dichiara di aver acquistato un giornale cartaceo, solo il 5% afferma di aver pagato, nelle stesso periodo, per fruire di notizie in via digitale. Se è vero che tale percentuale tiene conto del fatto che ad oggi la maggior parte dei quotidiani online continua ad offrire le notizie senza richiederne un corrispettivo in denaro, considerando l’avanzare di strategie quali paywall, abbonamenti combinati carta-digitale e applicazioni a pagamento, questa mi pare piuttosto bassa. E’ anche vero che in Inghilterra, proprio sulla scia delle nuove più restrittive modalità con le quali le redazioni d’Oltremanica propongono i propri contenuti nel web, la percentuale di acquisto di informazione digitale, in un anno, tra un sondaggio e l’altro, è passata dal 4% al 9%. La media dei lettori paganti, tuttavia, non sembra al momento poter rispondere al calo degli introiti della pubblicità delle testate su carta.
Per quel che concerne il nostro Paese, nello specifico, il 76% degli intervistati non ha mai pagato per una notizia digitale. Andando più a fondo della questione e suddividendo la audience dei lettori in classi di età, netta è la differenza tra gli individui compresi tra i 25 e i 34 anni e gli utenti più anziani. Mentre i primi risultano in media i più predisposti all’acquisto di notizie digitali (con un 20% degli appartenenti rispetto al numero totale del gruppo di età sopracitato), per gli altri la percentuale si abbassa notevolmente. Ciò è probabilmente dovuto ad un utilizzo maggiore, da parte della classe 25-34, di dispositivi quali tablet, smartphone e ebook reader e, quindi, di applicativi che su abbonamento o attraverso micropagamenti permettono l’acquisto di brani musicali, libri, giochi e notizie.
Altra particolarità, proprio per restare in tema di tablet, è quella legata ai possessori di iPad e affini: questi mostrano infatti una propensione doppia, rispetto a chi fruisce delle notizie da computer, all’acquisto di informazione digitale (e, ancora entrando ancora più nello specifico, i prodotti Apple, rispetto ai concorrenti registrano le percentuali più alte di propensione dei propri utilizzatori all’acquisto di informazione online). Questo deriva sicuramente dalle caratteristiche intrinseche dello strumento e delle sue modalità di utilizzo ma anche del tenore di vita superiore rispetto alla media di chi appartiene alla classe che utilizza tali mezzi.
Altro aspetto interessante è quello relativo alla tipologia di pagamento associato alla notizia digitale: se negli Stati Uniti e in Danimarca di gran lunga è l’abbonamento la forma di pagamento più utilizzata tra i lettori della Rete, in Europa e Giappone, pur con differenti percentuali, resta ancora il pagamento “one-off” (un singolo pagamento) la tipologia più scelta, segno che sul versante della distribuzione delle notizie ci sia ancora molto da lavorare (come anche sulla costruzione di un rapporto più solido e continuativo tra utente e testata). Tra l’altro, proprio il nostro Paese, con Francia e Spagna, è quello nel quale, in base alle risposte degli intervistati, il pagamento delle notizie avviene soprattutto tramite applicazioni.

Se l’individuazione di un modello alternativo alla gratuità supportata dalla pubblicità online registra una certa resistenza da parte delle testate, per ciò che concerne gli utenti, leggendo i dati dello studio, non mi pare di aver notato in nessuna sezione una loro ritrosia al pagamento delle notizie in Rete. Probabilmente, quindi, la vera sfida non è tanto convincere i lettori a pagare per la fruizione di informazioni digitali quanto stimolare una predisposizione che emerge dai dati dell’analisi del Reuters Institute ma che va sicuramentecoltivata e assecondata con proposte che in termini economici, di modalità di fruizione e di contenuto, possano convincere il lettore a pagare, anche nella Rete, per essere informato.

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