99 franchi e un’effimera felicità

Arrivo in stazione con largo anticipo rispetto all’orario di partenza. E senza nulla da leggere. Così, ricontrollato l’orologio, decido di rifugiarmi dal freddo e dalla noia in libreria. All’ingresso campeggiano un bel po’ di libri scontati del 25%. Sono quasi certo di non trovare nulla di accattivante – non al primo sguardo almeno – ma in realtà un testo dalla copertina verde riesce ad incuriosirmi. Prendo in mano il libro, evito accuratamente la quarta di copertina e, come si fa con i prestigiatori, pesco una pagina a caso, la numero 16. Senza pensarci troppo leggo:

Tutto è provvisorio e tutto si compra. L’uomo è un prodotto come gli altri, con una data di scadenza. Ecco perché ho deciso di andare in pensione a 33 anni. Pare sia l’età migliore per resuscitare.

Gulp, rileggo perché non mi sembra vero. E, invece, non è un sogno (o un incubo): ho 33 anni, sono nel pieno di una crisi di mezza età (beh, forse un po’ meno di mezza…) e ho appena letto le pagine di un libro verde che sembra descrivere perfettamente quello che provo. Il caso ha deciso per me, non posso esimermi dall’acquisto. Salgo sul treno e, curioso più che mai, inizio a leggere il romanzo che mi ritrovo tra le mani. Parla di Octave, un pubblicitario che tenta, scrivendo un libro sulla sua vita e il suo lavoro, di sfuggire al mondo fatto di bugie, eccessi e bisogni inutili al quale egli stesso contribuisce. Un urlo disperato di una persona famosa ma sola, ricca ma priva di ciò che conta veramente, di successo nel lavoro quanto scarsa per quel che concerne la sfera privata. Un’analisi spietata sul mondo della pubblicità, sui suoi eccessi, sulle sue stravaganze, sui suoi rituali, sui suoi controsensi, su un crescendo di avvenimenti che alla fine lasciano un retrogusto amaro in bocca e tanti interrogativi senza risposta. Frédéric Beigbeder, l’autore del libro, ha veramente lavorato in un’agenzia pubblicitaria (Young & Rubicam) ed è stato realmente licenziato dopo la pubblicazione del libro e lo scalpore seguito al suo successo: quanto di vero c’è nell’universo che descrive? Una lettura spassosa, una riflessione lucida sui nostri tempi (anche se il libro è datato 2000) assolutamente consigliata. Un unico appunto alla casa editrice (Universale Economica Feltrinelli): era proprio necessario tradurre il titolo originale 99 Francs con Lire 26.900, cifra che mi pare non avere né appeal né senso (lo stesso ragionamento vale per i 13,89 euro della copertina)?

p.s.= il romanzo, nel 2007, è diventato anche un film

La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo

La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo è un libro di Audrey Niffengger che ha saputo, con il suo titolo, attirare da subito la mia attenzione. Protagonista del libro è Henry, uomo che, in virtù di un “disturbo” sconosciuto, si differenzia dalla normalità delle persone per la propria capacità di viaggiare nel tempo, di lasciare per alcuni minuti la realtà nella quale vive per catapultarsi in un tempo, sempre a lui legato, ma che rappresenta il passato o futuro di quella che è stata o sarà la sua vita. Di solito in questo suo giocare con le lancette dell’orologio resta un puro spettatore nascosto a osservare le prospettive di fatti già vissuti o succose anteprime circa avvenimenti che lo vedranno coinvolto con il passare del tempo. In uno dei viaggi Henry però si ritrova, senza vestiti – questo uno dei punti dolenti delle sue perenigrazioni lungo l’asse temporale – nel prato della casa di una giovanissima Clare: lei ha sei anni, lui trentasei, iniziano a parlare e, vinte le reciproche paure, cominciano ad instaurare quel rapporto di complicità che poi diventerà concreto quandi i due, entrambi ventenni, si incontranno in una biblioteca. I viaggi tuttavia non finiranno. E con loro non si esauriranno nemmeno le difficoltà, i timori e i mille interrogativi connessi ad un’esistenza sempre in sospeso tra passato, presente e futuro. Una vita che quindi diventa ancora di più tante vite, ognuna con il proprio fardello, la malinconia e al contempo la rabbia per non aver poter fermare il tempo una volta per tutte. Con una persona abituata a vivere non solo nel presente, a non avere certezze se non l’incertezza e l’instabilità della propria persona si può porre in essere un rapporto costruttivo? Il libro parla proprio di questa sfida, del modo diverso ma in fondo unito da un comune sentimento, di (soprav)vivere le tante vite di Henry, i suoi viaggi nel tempo e la sua incapacità di essere solo “ora”, raccontando contemporanemente i sentimenti e le riflessioni di chi si trova a vivere in prima persona l’esperienza del viaggio nel tempo e di chi invece non può che assistere inerme al continuo apparire e scomparire di colui con il quale si è deciso di vivere.
Il libro – come ho potuto notare su aNobii – riesce perfettamente nell’intento di dividere il pubblico di lettori: da una parte chi si lascia trasportare trovando il romanzo di assoluto rilievo, dall’altro chi invece sottolinea come la storia sia troppo melensa e irreale. Tra queste due opposte visioni mi pongo nel mezzo: il testo è di piacevole lettura e grossomodo scorrevole. Bello anche il continuo racconto in doppia prospettiva Henry-Clare. Ma in effetti forse sul finale la storia corre molto, tante cose rimangono in sospeso altre invece si euriscono senza una spiegazione che giustifichi appieno l’accaduto. Ma il mistero va da sé in trame del genere non può essere ignorato.

p.s.= Nel 2009 è stato realizzato un adattamento cinematografico del romanzo, diretto da Robert Schwentke, intitolato Un amore all’improvviso