Tesoro, mi si è ristretta la copertina

La questione del diritto d’autore su web è una di quelle tematiche che, nonostante l’evoluzione della Rete, continua a restare spinosa. Per sua natura il contenuto digitale presuppone l’aspetto della duplicazione, quasi impossibile imbrigliare gli utenti vincolandoli al rispetto di una ferrea disciplina che tuteli chi i contenuti li produce. Tracce audio, film e serie tv che si scaricano con software peer-to-peer, partite in streaming che si guardano in una diversa lingua, video di trasmissioni televisive “specularmente” editati, blog che ripropongono post di altri spazi, sono solo alcuni dei molti esempi seguendo i quali superare il concetto di proprietà intellettuale.
Pur seguendo gli sviluppi del dibattito (soprattutto in occasione del mancato rinnovo della collaborazione tra Rai e YouTube) non mi sono mai appassionato sino in fondo alla questione, almeno sino a ieri.
Lo scorso mercoledì ho infatti casualmente scoperto qualcosa che mi ha lasciato – uso un eufemismo – sconcertato. Navigando nella sezione Bibliotech di Key4Biz (nella quale era appena stata pubblicata la segnalazione del mio “Web Marketing: questione di metodo”), tra i libri proposti ho notato qualcosa di molto familiare.
La copertina di un testo di nuova pubblicazione (la metà sulla destra dell’immagine qui sotto), usava parte della grafica di quello che è il fronte del mio News(paper) Revolution.

copertina_usata_senzapermesso

Mi sono sentito intimamente defraudato. Perché la copertina l’ho pensata in prima persona (mia l’idea di aeroplani di carta di giornale guidati da utenti che “puntano” gli strumenti digitali; copertina materialmente realizzata su mie indicazioni dalla bravissima Valeria De Angelis) ed è una delle parti del libro che mi rendono più orgoglioso.
Nessuno ha chiesto al sottoscritto, a Valeria o all’editore (Fausto Lupetti Editore) il permesso di usare la grafica del mio saggio, vederla ripresa – in maniera grossolana – in un altro libro è stato davvero un colpo al cuore. Se poi aggiungiamo che il testo è edito da una realtà di Padova (mia città natale nella quale vivo), che tratta argomenti affini alla mia prima opera in solitaria e che è scritto da un “addetto ai lavori”, il quadro risulta forse ancora più grottesco. Non ho modo né voglia di individuare le eventuali responsabilità, non mi interessa sapere se sia una casualità o meno. Per quanto mi riguarda – anche se ammetto di non essere un esperto – si tratta di una probabile violazione del copyright ragione per cui ho dato mandato al mio legale di approfondire quanto accaduto.

Se è vero che il web è per molti versi baluardo di libertà ciò non significa necessariamente che tutto ciò che è in Rete si possa liberamente utilizzare. Internet non è completamente altro dal cosiddetto “mondo reale”, non si tratta di un luogo virtuale quanto anarchico, non va pensata come una sorta di frontiera dove tutto è lecito. Il web è parte della nostra quotidianità, spesso basterebbe anche solo il buon senso.

Ai posteri (meglio se avvocati), l’ardua sentenza.

p.s. = diffidate dalle imitazioni, mi raccomando!

[update: la controversia si è risolta con l’impegno della casa editrice a comunicare nel sito, nel materiale informativo relativo al libro e in un avviso da inserire nelle copie cartecee del testo, il copyright dell’immagine tratta dalla copertina del mio saggio]

La continua crescita del formato video e l’effetto Vine

Vine vs. Instagram via Willa.me

Negli ultimi anni ho avuto modo di approfondire lo sviluppo e la crescita del video online (parte di ciò che ho appreso è poi stato raccontato nel libro Viral Video del quale sono co-autore). Nessuna sorpresa, quindi, nel constatare la crescita sempre maggiore del “mercato del video” anche al di fuori della pianificazione pubblicitaria che, sul formato più impattante rispetto al semplice banner, ha iniziato a concentrarsi già da alcuni anni (riproponendo però, nella fase iniziale, gli stessi contenuti televisivi senza alcun adattamento al web e alle peculiarità della Rete).

Quello che però mi ha sorpreso è, invece, il lasso di tempo nel quale gli utenti si stanno trasformando da semplici fruitori multimediali in veri e propri registri. Se poco più di un anno fa parlavo di Socialcam e Viddy, oggi invece mi trovo a raccontare dell’esplosione di Vine, strumento (per chi non ancora non lo conoscesse, permette di registrare e condividere video di 6 secondi) utilizzato anche nelle proteste di questi giorni dei giovani turchi e brasiliani (la rivolta verdeoro è detta “rivoluzione dell’aceto”, vinegar in inglese, termine che curiosamente contiente proprio la parola Vine) per rendere ancora più efficaci le loro rivendicazioni di una rinnovata equità sociale.

E così, mentre Vine ha da poco lanciato anche la versione per Android, Facebook, dopo aver lasciato trapelare l’obiettivo di far proprio l’utilizzo degli hashtag, pare possa controbattere ai filtri fotografici di Twitter permettendo agli utenti di Instagram di girare, editare e condividere video, superando così il concetto di pura applicazione fotografica (update: con la versione 4.0.0, Instagram ha esteso i filtri anche ai contenuti video di 15 secondi). Da appassionato di fotografia su/con Instagram, ragionando senza pensare troppo al “business”, la notizia al momento non mi esalta: troppo vivo il timore di una “deriva” che possa portare il servizio a diventare una (brutta?) copia di YouTube, con (odiati) spot che anticipano i contenuti degli utenti.

In ogni caso, tanta attenzione verso il formato video certifica lo sviluppo ad una multimedialità più evoluta. Il claim della prossima pubblicità dell’iPhone, dopo aver sottolineato che con lo smartphone della Mela si ascolta più musica e si scattano più foto che con ogni altra macchinetta, potrebbe quindi focalizzare l’attenzione proprio sul video.
In fondo, a ben pensarci, la condivisione è esplosa prima testualmente (blog), si è arricchita di immagini (dalle gif animate a Pinterest) e ora uno dei fronti caldi sembra proprio essere quello legato al video, per un superamento di YouTube e delle piattaforma di videosharing con spazi che esaltano forme di creatività ridotta (i 140 caratteri di Twitter in fondo corrispondono ai 6 secondi di Vine) più facilmente e velocemente fruibili e distribuibili sugli smartphone che portiamo sempre con noi. Una bella sfida per coloro che i occupano di comunicazione di marca: i 6 secondi diventeranno lo standard, la soglia massima di attenzione oltre la quale gli utenti passeranno ad un altro contenuto video? Per scoprirlo, forse, non bisognerà aspettare nemmeno molto.

Citizen Journalism con Instagram? Proviamoci! #igersmilanonews

instatweetawardsSi avvicina il giorno dell’uscita nelle librerie del mio NEWS(paper) REVOLUTION, aspetto con crescente trepidazione il fatidico giorno in cui vedrò la mia prima “fatica in solitaria” sugli scaffali delle librerie che sono solito frequentare. Con un barlume di lucidità nonostante l’entusiasmo alle stelle, per ingannare l’attesa, ho deciso di tentare una sorta di esperimento. In collaborazione con lo staff di IgersMilano (ringrazio sin da ora Orazio e tutto il team) ho pensato di coinvolgere la community di utenti di Instagram chiedendo loro di diventare reporter per un giorno. Come? Semplicissimo. Dal 13 al 20 gennaio prossimi, scattata una foto legata a un avvenimento/fatto di cronaca del quale si è stati testimoni (nulla di complicato, non pretendo scoop!), basterà caricare la foto utilizzando il particolare hashtag scelto per l’occasione – #igersmilanonews – per creare, insieme, un album dal quale verranno poi selezioni tre contributi (i migliori a insindacabile giudizio del “comitato” formato dal sottoscritto e dai rappresentanti di IgersMilano) che saranno premiati, in occasione dell’evento di presentazione del testo, il prossimo 24 gennaio (giorno di uscita ufficiale del saggio), con una copia cartacea con tanto di dedica del libro. L’idea è quella di dimostrare che anche Instagram (come indicato nel terzo capitolo, 3.4 Strumenti a supporto del giornalismo) è un valido strumento per rendere l’informazione più puntuale, multimediale e partecipata. Con la speranza possa risultare gradita e far registrare un’alta partecipazione, non mi resta che fare il mio personale “in bocca al lupo” a tutti coloro che vorranno essere parte integrante dell’iniziativa! Per tutti gli altri, l’appuntamento è, invece, in libreria, grazie.

Instatips, la guida (gratuita) alla fotografia via Instagram

instatipsSono sempre stato un appassionato di fotografia, mi piace gustare belle immagini e mi affascina anche l’idea di riuscire a fermare il mondo attraverso uno scatto. Da fanatico de La Camera Chiara di Roland Barthes più che all’attrezzatura ho sempre puntato alla ricerca del punctum, di quel particolare – assolutamente personale – che rende la foto una sintesi di emozioni. Una delle mie foto che ricordo con maggiore lucidità è ormai sbiadita: stavo visitando lo zoo di Sydney quando, oltre il recinto degli scimpanzé vidi un esemplare maschio, retto sulle due gambe posteriori che con un rudimentale bastone in mano, richiamare l’attenzione delle altre scimmie radunatisi davanti. Purtroppo il riflesso della luce nel vetro di protezione non rese lo scatto memorabile ma quell’immagine riesce ancora oggi commuovermi (e riesce anche a rimandarmi sempre e comunque alle famosa scena di 2001 Odissea nello spazio). Oggi non uso più una macchinetta fotografica ma porto sempre con me il mio smartphone con il quale mi piace raccontare e condividere le esperienze – dirette e meno – che mi vedono testimone. Come? Beh con Instagram (e Twitter, nonostante tutto)! Ecco perché non posso non segnalare una bellissima iniziativa realizzata da Media Word in collaborazione con Instagramers Italia che si è concretizzata in un ebook dal download gratuito che punta ad essere una guida alla fotografia realizzata a partire da contributi e consigli degli stessi utenti.
Dati degli temi-hashtag attorno ai quali sbizzarrire la proprio creatività, sono state scelte alcune immagini più rappresentative. Una delle quali è proprio un mio scatto con filtro (#Instatipsdigitalthings pagina 50). Si è molto parlato di Instagram in questi giorni: per la temuta minaccia della vendita delle immagini degli utenti, per la “guerra” con Twitter, per l’imminente (a quanto pare) avvento della pubblicità nel social network che ruota attorno a tag, foto e filtri. Nonostante gli allarmismi continuo ad rendere quadrati i miei scatti con l’applicazione tentando di correggerne le imperfezioni con i filtri, sperando di poter raccontare con immagini anche il 2013, ancora auguri a tutti!

Ballata dell’odio e dell’amore

Di solito, quando decido di andare al cinema, scelgo il film sulla base di quello di Dylan Dog chiamerebbe “quinto senso e mezzo”, una sorta di richiamo con il quale la pellicola in qualche modo mi invita ad assecondarla. Insomma, faccio di tutto per evitare locandine, sinossi e trailer. Questa volta però, sbirciando gli orari degli spettacoli, non ho potuto non incrociare due paroline che hanno finito per incuriosirmi: Spagna e guerra civile.
Seduto in sala, prima che il film iniziasse, avevo immaginato molte varianti di ciò che da lì a pochi minuti avrei seguito sullo schermo, ma mai avrei sospettato che due dei protagonisti della storia raccontata fossero clown. E non due clown uno mimesi dell’altro – versione circense del bene e del male, almeno non al di fuori del circo – bensì due clown svitati e violenti. E la rivoluzione civile spagnola? Lo sfondo sul quale si svolgono le vicende, (forse) l’origine e conseguenza del “male” che sfocia nel disprezzo della vita e nella sete di vendetta. A ben vedere però, il centro della scena non è tanto un attore in carne ed ossa quanto un concetto astratto seppur tangibile: la tristezza. Tristezza per l’infanzia perduta, per l’affetto non ricambiato, per un destino segnato, per un amore malato, per la libertà negata. Sì, forse è proprio così, è la tristezza nelle sue diverse forme (stavo per scrivere “…e colori” ma in realtà i paesaggi del film sono quasi sempre scuri, in perfetta congruenza con lo sviluppo della trama) la vera protagonista del film, un sentimento che si lega ai personaggi segnandone il destino. Scontato quindi che, alla fine, non ci siano vincitori ma solo vinti e che le lacrime accomunino tutti coloro che nell’amore (per il proprio padre, per una donna, per il proprio lavoro, per la Patria) avevano intravisto una via di fuga.
E’ quindi forse del tutto “normale” che uscito dalla sala parte di tristezza abbia assalito anche il sottoscritto (che non si aspettava un film genere Un giorno di ordinaria follia, datato 2010 ma distribuito in Italia solo ora nonostante i due premi al Festival di Venezia), missione compiuta. Curioso.

Twitter campo di battaglia per la conquista del Trono di Spade

Il rapporto tra la tv, nella sua fruizione, e gli altri media mi ha sempre incuriosito (ne ho anche già scritto qui). Proprio l’altro giorno ho letto un articolo di eMarketer che, in estrema sintesi, porta alla ribalta dati molto interessanti rispetto al rapporto tra social media e mezzo televisivo. Secondo la ricerca citata nel pezzo e condotta da Horowitz Associates, un utente su cinque inizierebbe a guardare un particolare show dopo averne letto online dei feedback su blog e social network. Ennesima dimostrazione di come l’online influisca (eccome) anche sulla vita “reale”, sui nostri usi e costumi esterni alla Rete.

La scorsa settimana anch’io, nel mio piccolo, sono stato “cavia” di una sorta di esperimento crossmediale che ha unito una serie tv e il web. Per la prima puntata dell’attesa seconda stagione de Il Trono di Spade – la serie HBO tratta dai best seller di George R. R. Martin ormai diventata per molti appassionati, un fenomeno di culto – sono stato ospite, con altri/e blogger, di Sky Cinema per una divertente sfida a colpi di tweet. Appena arrivato mi è stata assegnata la spilla della mia fazione – i Baratheon, cervo incoronato nero in campo oro – e, con il mio piccolo team (pochi ma buoni), ho sfidato i “rivali” in gare di conoscenza della serie ma soprattutto di velocità (dei cosplay ispirati ai personaggi principali della serie leggevano delle domande, a noi il compito di utilizzare Twitter nel più breve tempo possibile per dare la risposta corretta indicando #tronodispade e quello della nostra casata, ecco un video che riassume la serata). Una volta partito l’episodio, invece, è stato divertente commentare, con anche gli altri spettatori, pressoché in tempo reale, quanto vedevamo sullo schermo (o, nel mio caso sentivamo, mi sono buttato sulle frasi epiche).

Una serata divertente (forse un po’ meno per i miei follower letteralmente inondati dai tweet, hihi) per una serie tv la cui seconda stagione – che mi dicono discostarsi un po’ dai romanzi di Martin – dopo la morte del finale del primo atto, mi incuriosisce molto (aspetto i draghi!): per quanto ancora riuscirà il giovane e crudele Joffrey a occupare l’ambito Trono di Spade?

Socialcam e Viddy, c’è vita (social) oltre YouTube

Il traffico video online è in vertiginoso aumento. Gli smartphone ormai offrono fotocamere molto sofisticate e il web propone molte semplici utility per editare con semplicità i propri contenuti. Due applicazioni, in particolare, sono nelle ultime settimane le più chiacchierate, entrambe paragonate, per quel che riguarda la parte video, a Istangram, l’applicazione foto-filtri di maggior successo recentemente acquisita da Facebook.

La prima app è Socialcam. Realizzato un video, gli si associa un titolo, la posizione, il livello di condivisione (pubblico o riservato al proprio network) e poi si passa ad editare il file scegliendo un tema e una musica di sottofondo (se il video lo si gira con l’applicazione è invece possibile scegliere anche un filtro). Fatto questo si scelgono i tag delle persone presenti nel video – e nella community di Socialcam – o i loro indirizzi mail per informarli della pubblicazione e i social network con i quali sincronizzare la diffusione del video. Proprio come Istangram, è possibile in ogni momento seguire il proprio profilo in termini di iscrizioni, iscritti, commenti e tag. E anche su Socialcam è possibile inserire nei commenti degli hashtag per organizzare al meglio i propri contenuti rendendoli più facilmente individuabili anche dagli altri utenti.

La seconda app che segnalo è salita agli onori delle cronache per aver attirato le attenzioni di Mark Zuckerberg (per ora solo come utente, ha caricato un video del proprio cagnolino dal titolo “baby beast” capace di raccogliere oltre 2500 like e oltre 300 commenti in un solo giorno, qualcuno vocifera si sia trattato di una sorta di “prova” in vista di una possibile acquisizione) e di altri personaggi dello start system (da Jay-Z a Biz Stone, da Shakira a Will Smith come investitori del progetto).

Anche in questo caso si tratta di condividere video, per ora solo della durata di masssimo 15 secondi (nel caso il video fosse più lungo se ne può scegliere solo una parte). E forse proprio per questo Viddy mi attira di più, è più semplice condividere e vedere i video altrui (per default si segue un utente chiamato JJ Aguhob seguito da oltre 15 milioni di utenti!).

Scelto il video si possono inserire degli effetti e musica facendo il download, gratuito o a pagamento passando dal marketplace. Nel caso invece lo si voglia girare mediate la app, tramite le opzione avanzate si possono regolare il focus, l’esposizione, bilanciare il bianco, settare il microfono, inserire il timer e modificare il formato del video (4:3 o 16:9).

Il funzionamento di Viddy non è molto dissimile da quello di Socialcam ma la applicazione mi pare decisamente più curata, più semplice, più “professionale”, con un’interfaccia più immediata che permette subito di vedere i video più popolari e quelli appena caricati (mi sono esaltato guardando “Flair on a curb”, il video di un ragazzo che fa una capriola su se stesso con un monopattino) e con una community più attiva. Tra l’altro ho notato come, tra i vari filtri da applicare al video, ci sia anche un Linkin Park Bundle, un bel modo che la band ha scelto per coinvolgere i proprio utenti permettendo loro di personalizzare i propri video con la grafica.

Luci spente, silenzio in sala, ho come l’impressione che questo sia solo l’inizio di un’altra piccola grande rivoluzione che porterà chiunque ad avere (almeno) i suoi 15 secondi di celebrità.

Camparisoda “vola” sul Fuorisalone

Anche quest’anno ho risposto con molto entusiasmo all’invito di Campari per quella che è ormai la classica anteprima al Fuorisalone: il Camparitivo in Triennale. Appuntamento reso ancora più sentito visti gli 80 anni che Camparisoda festeggia: l’esordio nel mercato italiano del primo prodotto monodose, perfetto mix di Campari e seltz, dalla bottiglietta a calice rovesciato by Depero risale infatti al 1932.
E oggi come allora Campari è sinonimo di un interessantissimo connubio tra arte e largo consumo. Dalla Design Week milanese del 2009 prosegue infatti la collaborazione tra il brand e Matteo Ragni che quest’anno si articola – giusto per mantenere un linguaggio vicino all’architettura – secondo tre diversi assi. Il primo è quello legato alla reinterpretazione della bottiglietta Camparisoda che il giovane architetto e designer milanese ha “vestito di un elegante abito”, una texture a decoro geometrico che si può toccare con mano nella special edition disponibile per bar e grande distribuzione della scorso mese di marzo.
Il secondo asse è Learn to Fly, la nuova installazione del Camparitivo in Triennale con la quale Ragni ha lanciato il suo “augurio verso chi si sta affacciando alla vita e al mondo del lavoro”; il terzo asse è per me quello forse più accattivante: GATE3 Temporary Studio. Di cosa si tratta? Di una sorta di officina creativa nella quale chi possiede talento può, affacciandosi al mondo del lavoro, mettersi alla prova nello spazio che ha l’ambizione di diventare uno studio temporaneo gestito da Matteo Ragni. Un luogo – a sentire le parole dello stesso Ragni – vivo, che ospiterà workshop di ricerca per grandi brand e nel quale far nascere idee, spunti, riflessioni capaci di innovare. Il primo marchio ad accettare la “sfida” è stato proprio Campari che lancerà a breve il primo workshop i cui risultati poi saranno ospitati all’interno della Galleria del gruppo.

Non resta che stappare una bottiglietta Camparisoda e brindare insieme a questa serie di stupende iniziative legate alla cultura e al mondo dei giovani: cincin e… in bocca al lupo!

E’ ufficiale, sono Draw Something addicted

In questi giorni la app più chiacchierata è, probabilmente, Istangram la cui versione ora anche per Android sta facendo registrare un notevole tamtam tra i possessori di smartphone. Io personalmente, da snob con iPhone, in realtà mi sono lasciato conquistare da un’altra applicazione: Draw Something.

In estrema sintesi è una app che ripropone in chiave mobile Pictionary: si sceglie una parola, la si interpreta con un disegno e poi si sfida un utente che in base a 12 caratteri da scegliere dovrà indovinare ciò che si è disegnato. Più siamo bravi – a disegnare e a indovinare – più monetine totalizziamo: questo denaro virtuale può essere utilizzato per acquistare nuovi colori o delle “bombe” che permettono di aiutarci a elidere le lettere non legate alla parola da scoprire.

Il gioco ha fatto della sua semplicità di utilizzo – anche per chi non conosce così bene l’inglese – la sua forza tanto che i milioni di download (50 milioni di download in 50 giorni!) hanno saputo attirare le attenzioni del colosso Zynga che con una velocità incredibile ha acquisito OMGPOP per una cifra intorno ai 200 milioni di dollari.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=EjF9rM_8KiI&w=440&h=360]

La prima release del gioco in realtà nasce in flash per desktop – chiamata Draw My Thing, con un timer e una pennina virtuale – ma proprio la versione per device touchscreen ha saputo fare le fortuna della casa di New York (tra l’altro pare che uno degli sviluppatori, Shay Pierce, creatore di Connectrode, si sia rifiutato di passare dalla parte del “diavolo” come lui stesso ha definito il colosso di San Francisco).

Draw Something mi piace un sacco, sto stressando tutti, lo trovo un passatempo intuitivo ed intelligente con il quale sfidare i propri amici (esiste una versione free con pubblicità e una viceversa una a pagamento senza adv). Da visitare la pagina Facebook dedicata all’applicazione che mostra dei disegni incredibili, quasi troppo ben fatti per essere veri (qui sopra un mio modesto Elvis Aaron).
Buon divertimento, mi raccomando non scrivete, limitatevi a disegnare!

[update: aggiornando la app alla versione 1.5.14 i disegni si potranno commentare, salvare, condividere]

Giornata FAI, prenditi cura di te

Per chi non avesse ancora piani per il week-end segnalo la Giornata FAI di Primavera, giunta quest’anno alla sua 20a edizione. Si tratta dell’iniziativa che vede protagonisti beni di interesse artistico, culturale, naturalistico aperti eccezionalmente al pubblico. Quest’anno, tra l’altro, il FAI è sostenuto anche da Garnier, brand storico del gruppo L’Oréal in un connubio che ha la bellezza come punto di incontro: come il FAI mette l’accento sul nostro incredibile (e spesso sottovalutato) patrimonio, così Garnier con i propri prodotti punta a rende la bellezza accessibile a tutti, in un parallelismo che – passatemi il paragone – vede i nostri capelli e la nostra pelle come beni preziosi da valorizzare.
A Milano, sbirciando tra i luoghi proposti, hanno attirato la mia attenzione la Banca di Italia – per la prima volta aperta al pubblico – la Biblioteca Civica di Palazzo Sormani Andreani, i Laboratori Scala Ansaldo con i loro 60.000 costumi di scena e Palazzo Lombardia, con la sua torre di 39 piani che non ho ancora avuto modo di visitare.
Buon week-end, sosteniamo il FAI con un sms e visitando almeno uno dei 670 luoghi d’arte e natura aperti oggi e domani in esclusiva in tutte le Regioni italiane.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=8t_2YWR_ok8&w=440&h=360]