Il futuro di Twitter nelle news più che nelle conversazioni?

Img: buzzfeed.com

Dallo scorso lunedì 3 agosto, per alcuni utenti statunitensi e giapponesi, tra le voci del menu orizzontale (Home, Notifiche, Messaggi e Account le opzioni sinora presenti) è apparsa anche la nuova icona News. Si tratta di un esperimento portato avanti dalla società californiana nel tentativo di offrire nuove e più semplici modalità per individuare i contenuti più interessanti. Una volta cliccato News, Twitter visualizza le notizie più discusse mostrandone l’origine (la testata), il titolo e un’immagine di anteprima. Scelta una voce, il messaggio si espande visualizzando, oltre a titolo e alla fonte, un blocco di testo dell’articolo e il link cliccando il quale leggere il pezzo. Come sottolinea un interessante articolo di BuzzFeed (tra le prime testate a riportare la notizia dalla nuova feature di Twitter), con questa mossa – e con il crescente interesse per gli eventi live – Twitter ha forse intrapreso definitivamente la strada che porterà la app a diventare una sorta di motore di ricerca di contenuti piuttosto che esclusivamente uno strumento per condividere informazioni. Il cambio di prospettiva, però, non è solo finalizzato a un miglioramento della cosiddetta user experience (e, quindi ad incrementare il numero della base di active user la cui crescita resta piuttosto lenta), alla base della decisione c’è sicuramente anche l’aspetto legato ai profitti. Il limite di Twitter per molti inserzionisti è oggi come oggi rappresentato dalla difficoltà di inserire messaggi pubblicitari all’interno di conversazioni tra utenti senza che questi siano percepiti come ostacolo al flusso comunicativo. Prevedendo una sezione apposita per le notizie (che in questa fase sperimentale non presenta advertising ed è appannaggio di un numero limitato di partner), è facile intuire come obiettivo di Twitter sia quello di offrire nuovi spazi di azione più efficaci a chi desidera pubblicizzare la propria azienda, rinnovando le possibilità di native advertising messe a disposizione dallo strumento.
Ad inizio aprile Twitter ha abbandonato Discover, superando la possibilità di individuare contenuti sulla base delle persone seguite e semplificando l’emergere di hashtag e argomenti di tendenza (che vengono elencati scegliendo lo strumento della lente per la ricerca in alto a destra) a livello più esteso.

Dopo Facebook e Snapchat, anche Twitter dunque punta sulle news offrendo ad un comparto media, sempre più competitivo, una più stretta collaborazione. Con la speranza che la sinergia possa essere win-win, proficua per entrambi i soggetti in gioco.

[recensione] Twitter senza segreti di Luca Conti

Twitter senza segretiSono un fan di Twitter, strumento che ho iniziato ad utilizzare nell’ottobre 2008 (per conoscere a quando risale il tuo primo tweet, visita Twopcharts e inserisci il tuo nickname) e che da allora rappresenta per me una sorta di rassegna stampa mattutina in virtù della quale inizio la giornata scorrendo le notizie sui temi che più interessano. E’ in assoluto l’applicazione che utilizzo con maggiore frequenza, uno strumento ormai irrinunciabili per trovare spunti sui temi che mi appassionano, per condividere mie considerazioni, per commentare le mie esperienze (anche con altri media).
Di Twitter mi hanno subito colpito la semplicità, la velocità e la sintesi cui obbligava. Ho però rapidamente capito che dietro l’immediatezza di un tweet si nascondeva una rivoluzione in grado di cambiare (per sempre?) i connotati del mondo della comunicazione e di quello dell’informazione. Nel corso degli anni ho imparato così a distinguere le peculiarità di Twitter rispetto agli altri social media diventando un utente più smaliziato via via che lo stesso strumento si evolveva. Uno dei momenti topici, l’ho personalmente raggiunto nel maggio 2012 (se la memoria non mi inganna), quando appena avvertita una forte scossa di terremoto, la prima cosa che feci, istintivamente, fu quella di prendere lo smartphone e scrivere un tweet su ciò cui ero stato testimone salvo poi passare in rassegna i cinguettii delle persone che conoscevo per capire se anche loro avessero avvertito qualcosa.

Nonostante sul fronte degli investimenti pubblicitari non abbia ancora avuto modo di utilizzare Twitter (aspetto con molta curiosità l’opportunità di provare in prima persona le soluzioni advertising), non ho esitato un attimo ad associare anche al mio News(paper) Revolution un hashtag – #nepare – per stimolare/monitorare la conversazioni attorno al saggio e agli argomenti trattati.

Per restare in tema di libri, ho da pochi giorni terminato la lettura di Twitter Senza Segreti di Luca Conti, un testo pubblicato dalla casa editrice Hoepli molto interessante che mi sento di consigliare a tutti, sia a coloro che per ora si limitano ad osservare dall’esterno lo strumento, sia a coloro che invece lo utilizzano da tempo.
Le informazioni fornite sono davvero molte e consentono di scoprire passo passo l’unicità di Twitter, i suoi aspetti tecnici e i principi fondanti, le opportunità per chi voglia ascoltare, comunicare o promuovere, con tanti esempi concreti, profili da seguire, interviste e link attraverso i quali proseguire l’approfondimento. Un libro che in qualche modo rispecchia ciò su cui si focalizza: semplice, si legge senza annoiarsi e offre spunti molto interessanti per comprendere al meglio come Twitter nel giro di pochi anni sia diventata “l’agenzia stampa globale personalizzata” usata da politici, attori, responsabili di azienda, sportivi e giornalisti.

Uno dei punti sui quali l’autore insiste spesso che mi piace sottolineare è l’aspetto legato alla consapevolezza di come Twitter sia un social network di microblogging improntato alla partecipazione, alla conversazione, alla relazione. Utilizzarlo solo come l’ennesimo canale attraverso il quale diffondere il proprio messaggio significa probabilmente non aver appieno compreso le potenzialità dei messaggi in 140 caratteri.

La sfida è quella di individuare/proporre una modalità comunicativa (anche pubblicitaria) che possa essere percepita come “servizio” dagli utenti, come qualcosa di interessante, di costruttivo, di originale capace di indurre all’azione chi ne fruisce, risposta o condivisione che sia.

Forse mi sarei aspettato qualche parolina anche su Vine, mobile app di casa Twitter, questo l’unico appunto – ma proprio a cercare l’ago nel pagliaio – che mi sentirei di fare all’autore, al quale però ribadisco i miei complimenti per un libro davvero ben pensato e scritto.

Si fa cultura digitale anche raccontando con chiarezza e semplicità i nuovi strumenti digitali. E Luca Conti, in questo, è uno dei più bravi.

L’innovazione? A Boston è di casa

Img: 61Fresh.com

Il mercato dell’editoria sta vivendo un momento molto difficile. Il termine innovazione è ormai sulla bocca di quasi tutti gli addetti ai lavori, concentrati nel capire quale sia la strada più sicura sulla quale affrontare i cambiamenti in atto. Mettere in pratica processi che portino a risultati migliori è però molto complicato: in un contesto nel quale, a fronte di investimenti, l’obiettivo risulta ottenere effetti pressoché immediati, ragionare in termini di lungo periodo, vista la rapida evoluzione della Rete, è quasi impossibile.

Nonostante tutto, alcune testate, continuano a provare nuovi approcci al web. Non si tratta esclusivamente di redazioni arcinote, esiste un “sottobosco” di quotidiani a carattere locale che, come avvenne agli esordi di internet con il Chicago Tribune e il Nando Times (in Italia con l’Unione Sarda), per tentare di allargare il proprio pubblico di riferimento o per offrire un’alternativa al mainstream, continuano a proporre nuovi strumenti e nuove modalità di approccio all’informazione.

Uno dei casi di maggior successo in questo senso (successo misurato non esclusivamente in termini di parametri numerici quanto di capacità di rinnovare la propria identità adattandola agli sviluppi della Rete) è il Boston Globe. La testata – come citato anche in News(paper) Revolution – possiede due declinazioni: una, a pagamento, propria del giornale cartaceo, un’altra gratuitamente fruibile – Boston.com – molto più focalizzata sulle notizie locali e indirizzata a un pubblico più trasversale.

Di questi giorni è la notizia che, proprio lo spazio informativo Boston.com, dal prossimo anno, offrirà una maggiore flessibilità ai propri lettori. Non sono trapelate moltissime informazioni a proposito ma sulla base di quanto dichiarato da Jeff Moriarty – Vicepresidente del Boston Globe e General Manager di Boston.com – il sito proseguirà lo sviluppo della sua costruzione “responsive” anche in ottica utente. Nel 2011 il quotidiano di Boston è stato tra i primi a implementare un sito in grado di adattarsi al device utilizzato. Il giornale, in altre parole, fermo restando i contenuti, è in grado di modificare il proprio aspetto in base al supporto con il quale viene fruito. In questo modo, ad esempio, l’impaginazione è differente se l’utente visita lo spazio informativo da computer, da tablet o da smartphone.
Dal 2014 però la testata farà un ulteriore passo modellandosi anche in base alle modalità di utilizzo del lettore: se l’utente preferirà leggere piuttosto che sfruttare il materiale multimediale a disposizione, il sito sarà in grado di proporre un più alto numero di testi. In qualche modo, quindi, sarà il comportamento stesso dell’utente a configurare la griglia informativa del quotidiano. Un progetto ambizioso che, sulla scia di quanto sta accadendo su Facebook, punta alla personalizzazione, al superamento del giornale indifferenziato, uguale per tutti.

Altro progetto da seguire, sempre a firma Boston Globe, è 61Fresh. E’ uno spazio informativo capace di captare i tweet locali di Boston e dintorni che richiamano le notizie di uno dei 500 siti di notizie della capitale del Massachusetts. Alla base un algoritmo in grado di vagliare la popolarità e la freschezza delle news per riproporre le notizie più chiacchierate dell’area metropolitana.

Complimenti ai responsabili della testata, anche un periodo di crisi può in fondo rappresentare un’opportunità. Per mettersi in gioco e vagliare nuove opzioni.

La continua crescita del formato video e l’effetto Vine

Vine vs. Instagram via Willa.me

Negli ultimi anni ho avuto modo di approfondire lo sviluppo e la crescita del video online (parte di ciò che ho appreso è poi stato raccontato nel libro Viral Video del quale sono co-autore). Nessuna sorpresa, quindi, nel constatare la crescita sempre maggiore del “mercato del video” anche al di fuori della pianificazione pubblicitaria che, sul formato più impattante rispetto al semplice banner, ha iniziato a concentrarsi già da alcuni anni (riproponendo però, nella fase iniziale, gli stessi contenuti televisivi senza alcun adattamento al web e alle peculiarità della Rete).

Quello che però mi ha sorpreso è, invece, il lasso di tempo nel quale gli utenti si stanno trasformando da semplici fruitori multimediali in veri e propri registri. Se poco più di un anno fa parlavo di Socialcam e Viddy, oggi invece mi trovo a raccontare dell’esplosione di Vine, strumento (per chi non ancora non lo conoscesse, permette di registrare e condividere video di 6 secondi) utilizzato anche nelle proteste di questi giorni dei giovani turchi e brasiliani (la rivolta verdeoro è detta “rivoluzione dell’aceto”, vinegar in inglese, termine che curiosamente contiente proprio la parola Vine) per rendere ancora più efficaci le loro rivendicazioni di una rinnovata equità sociale.

E così, mentre Vine ha da poco lanciato anche la versione per Android, Facebook, dopo aver lasciato trapelare l’obiettivo di far proprio l’utilizzo degli hashtag, pare possa controbattere ai filtri fotografici di Twitter permettendo agli utenti di Instagram di girare, editare e condividere video, superando così il concetto di pura applicazione fotografica (update: con la versione 4.0.0, Instagram ha esteso i filtri anche ai contenuti video di 15 secondi). Da appassionato di fotografia su/con Instagram, ragionando senza pensare troppo al “business”, la notizia al momento non mi esalta: troppo vivo il timore di una “deriva” che possa portare il servizio a diventare una (brutta?) copia di YouTube, con (odiati) spot che anticipano i contenuti degli utenti.

In ogni caso, tanta attenzione verso il formato video certifica lo sviluppo ad una multimedialità più evoluta. Il claim della prossima pubblicità dell’iPhone, dopo aver sottolineato che con lo smartphone della Mela si ascolta più musica e si scattano più foto che con ogni altra macchinetta, potrebbe quindi focalizzare l’attenzione proprio sul video.
In fondo, a ben pensarci, la condivisione è esplosa prima testualmente (blog), si è arricchita di immagini (dalle gif animate a Pinterest) e ora uno dei fronti caldi sembra proprio essere quello legato al video, per un superamento di YouTube e delle piattaforma di videosharing con spazi che esaltano forme di creatività ridotta (i 140 caratteri di Twitter in fondo corrispondono ai 6 secondi di Vine) più facilmente e velocemente fruibili e distribuibili sugli smartphone che portiamo sempre con noi. Una bella sfida per coloro che i occupano di comunicazione di marca: i 6 secondi diventeranno lo standard, la soglia massima di attenzione oltre la quale gli utenti passeranno ad un altro contenuto video? Per scoprirlo, forse, non bisognerà aspettare nemmeno molto.

Il 2012 visto da Twitter

anno_tweetSono un fanatico di Twitter, ormai è diventata la rassegna stampa alla quale mi rivolgo per scoprire notizie interessanti. Proprio per evitare di perdere tweet ho però in questo giorni deciso di bloccare il numero delle persone che seguo a 200, missione difficilissima perché di utenti che scrivono cose stimolanti sono (per fortuna!) molti, ma ci sto provando (affidandomi anche ai re-tweet di chi seguo), un tetto dovevo metterlo, altrimenti impossibile seguire i profili selezionati in maniera opportuna (sopratutto se per gli aggiornamenti si interroga Twitter solo alcune volte al giorno). In ogni caso, ormai mancano pochi giorni alla fine dell’anno e il periodo nel quale si “tirano le somme” è alle porte. Anche su Twitter. E’ online, infatti, il sito 2012.twitter.com che riassume un anno di cinquettii con il social network di San Francisco, un modo per rileggere i messaggi (foto e testo) salienti, quelli che a tutti gli effetti sono stati in grado di entrare nel cosiddetto mainstream. Sul gradino più alto del podio il Presidente Obama che con il suo “Altri quattro anni” è riuscito a ottenere oltre 810.000 retweet finendo 300.00 volte tra i preferiti. Segue la pop star Justin Bieber, che con un suo sintetico messaggio ha voluto ricordare una giovane fan stroncata da una malattia. Terzo posto per uno sportivo, TJ Lang, guardia dei Green Bay Packers che con un suo tweet ha fomentato le proteste contro un “arbitro di riserva” reo di aver chiamato erroneamente in una azione finale del match contro i Seattle Seahawks (la classe arbitrale non ha pace nemmeno oltreoceano). Per quel che concerne gli eventi, invece, a farla da padrona sono state le olimpiadi in UK (e, nello specifico, il picco massimo si è avuto durante la gara dei 200 metri di Usain Bolt), le elezioni statunitensi e i Video Music Awards di MTV (gli Europei si assestano in quinta posizione, dietro il Super Bowl). Bella anche la sezione delle tematiche più “hot” dell’anno: i Paesi sconvolti da conflitti o da tragici fenomeni naturali, risultano ai primi posti, il Bel Paese balza all’onore delle cronache soprattutto per gli scandali di politica e sport. Con la collaborazione di Vizify è però possibile anche approfondire il proprio anno su Twitter: selezionando “Il tuo anno su Twitter” si potrà scoprire il “golden tweet” il “golden follower” e navigare tra le proprie interazioni più rilevanti (l’analisi si riferisce agli ultimi 3200 messaggi, questo il mio 2012). Nonostante la “sfida a suon di filtri” ora in atto contro Instagram, Twitter si conferma ormai a tutti gli effetti un media, un canale in grado di raccontare il mondo che ci circonda con una chiave di lettura (almeno potenzialmente) alternativa attraverso la quale leggere e interagire con gli altri utenti. Millemila di questi tweet!

Twitter campo di battaglia per la conquista del Trono di Spade

Il rapporto tra la tv, nella sua fruizione, e gli altri media mi ha sempre incuriosito (ne ho anche già scritto qui). Proprio l’altro giorno ho letto un articolo di eMarketer che, in estrema sintesi, porta alla ribalta dati molto interessanti rispetto al rapporto tra social media e mezzo televisivo. Secondo la ricerca citata nel pezzo e condotta da Horowitz Associates, un utente su cinque inizierebbe a guardare un particolare show dopo averne letto online dei feedback su blog e social network. Ennesima dimostrazione di come l’online influisca (eccome) anche sulla vita “reale”, sui nostri usi e costumi esterni alla Rete.

La scorsa settimana anch’io, nel mio piccolo, sono stato “cavia” di una sorta di esperimento crossmediale che ha unito una serie tv e il web. Per la prima puntata dell’attesa seconda stagione de Il Trono di Spade – la serie HBO tratta dai best seller di George R. R. Martin ormai diventata per molti appassionati, un fenomeno di culto – sono stato ospite, con altri/e blogger, di Sky Cinema per una divertente sfida a colpi di tweet. Appena arrivato mi è stata assegnata la spilla della mia fazione – i Baratheon, cervo incoronato nero in campo oro – e, con il mio piccolo team (pochi ma buoni), ho sfidato i “rivali” in gare di conoscenza della serie ma soprattutto di velocità (dei cosplay ispirati ai personaggi principali della serie leggevano delle domande, a noi il compito di utilizzare Twitter nel più breve tempo possibile per dare la risposta corretta indicando #tronodispade e quello della nostra casata, ecco un video che riassume la serata). Una volta partito l’episodio, invece, è stato divertente commentare, con anche gli altri spettatori, pressoché in tempo reale, quanto vedevamo sullo schermo (o, nel mio caso sentivamo, mi sono buttato sulle frasi epiche).

Una serata divertente (forse un po’ meno per i miei follower letteralmente inondati dai tweet, hihi) per una serie tv la cui seconda stagione – che mi dicono discostarsi un po’ dai romanzi di Martin – dopo la morte del finale del primo atto, mi incuriosisce molto (aspetto i draghi!): per quanto ancora riuscirà il giovane e crudele Joffrey a occupare l’ambito Trono di Spade?

Fopping.com, l’e-commerce si veste di social…

Non chiedetemi come ma non molto tempo fa mi sono imbattuto in un marketplace indiano davvero particolare. Si tratta di Fopping.com uno shop online a suo modo geniale. Perché? Offre agli utenti capi di abbigliamento, calzature e accessori a prezzi competitivi con la possibilità di ulteriori ribassi: basta, una volta selezionato ciò che ci interessa, condividere il link al prodotto su Facebook o Twitter guadagnando così dei Fopps, monete virtuali da utilizzare per ottenere un prezzo ancora più conveniente. Visibilità nei canali social in cambio di sconti che, per alcuni prodotti (pochi per la verità), possono anche arrivare sino al 50% della cifra inizialmente proposta (tra l’altro proprio a fine mese si concluderà all’interno di Fopping.com un contest che mette in palio un’Harley 883 per chi arrivi ad accumulare almeno 15.000 Fopps).

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=hzrOXb8aUbI&w=440&h=360]

L’idea alla base del servizio mi pare ottima (anche se, per esempio, una volta ottenuto lo sconto ho cancellato il tweet con il quale avevo condiviso il prodotto di mio interesse pur conservando i Fopps) e potrebbe rappresentare una sorta di avanguardia per quel che concerne il cosiddetto social commerce, acquisti in un ambiente che permette di interagire direttamente o indirettamente con il proprio network ottenendo magari anche quale beneficio. Il futuro è già qui?

Io, Gavin, i Fiberoctopus e il web 2.0

fiberoctopus[Avviso ai lettori, questo post è autocelebrativo]

Tempo fa – ormai più di tre anni orsono – mi sono imbattuto nel sito di un gruppo di San Diego mai sentito prima di allora, i Fiberoctopus. Mi sono piaciuti da subito, il loro sound malinco-elettronico è stato capace di rapirmi sin dalle prime note e così, in pochi giorni canzoni come Wet Match, She was my hostage, Waiting in heaven e When you dream sono diventati i miei personali tormentoni, canzoni che ascoltavo in loop per ore. Tanto mi ero appassionato alla band che ho (ben) pensato di creare un gruppo su Facebook per tentare di farli conoscere anche ai miei contatti diffondendo così il loro indie-pensiero. Dopo alcuni mesi il gruppo continuava però ad essere formato da pochissime persone (che avevo “pressato”) e così, non senza sconforto, in qualità di ammistratore, decisi di cancellarlo optando per una più pagina più sobria pagina “diventa fan”.
Pochi giorni fa, con mia somma sorpresa/orgoglio, ho ricevuto un messaggio dal frontman della band – Gavin – nel quale mi ringrazia per aver cercato di diffondere la musica dei Fiberoctopus e mi chiede di poter diventare anch’egli amministatore per poter così aggiornare e rendere più accattivante il frutto della mia passione. Pazzesco no? Il leader della band che chiede al sottoscritto di diventare amministratore della sezione fan su Facebook relativa al proprio gruppo, surreale, hi hi.
Dopo due giori di suspance (non potevo dargliela vinta subito, l’occasione era troppo ghiotta), l’ho accettato a bordo, convincendolo anche ad aprire un account su Twitter (oltre a Myspace già attivo) con il quale restare in costante contatto con la band.
Per la serie: “Dio benedica i social network”. E ovviamete anche la musica dei Fiberoctopus.

Twitterellando per la Capitale

rome_twestivalUn amico ha voluto, quasi a mia insaputa, iscrivermi al Rome Twestival. Non utilizzo Twitter da molto ma considero uno strumento utile e divertente, meno impegnativo di FriendFeed e più costruttivo di Facebook. E così, dopo il lavoro, decido di lasciarmi trascinare da questo minievento digital, dando libero sfogo alla mia sete di tecnologia comunicativa. Il mio prode scudiero nonostante il suo iphone con tanto di navigatore non riesce a destreggiarsi nei vicoli di Campo dei Fiori, continuando a zoomare allargando le dita della mano nel vano tentativo di farmi morire di invidia per il suo touchscreen. Dopo aver vagato un po’ a zonzo, decido di prendere le redini della situazione e impavido fermo una suora chiedendole, con cortesia, di indicarmi “via del pellegrino” (in fondo, chi meglio di lei può saperlo?). Riesco così ad arrivare al luogo prescelto per l’incontro, il cocktailbar Femme. Stringo la mano ai primi arrivati, consegno moocard ai più fortunati (ne porto con me sempre troppo poche) e compilo un foglietto che indica il mio username nel caso qualcuno dei presenti volesse da domani seguire i miei status, attaccandolo con una spilla da balia al maglione. Il tempo passa, si formano dei gruppetti, mangio qualcosa e bevo analcolico-fruttato. Dopo un po’ abbandono con un retrogusto amaro in bocca. Avevo sentito di grandi numeri all’estero e anche in questa occasione la capitale non ha saputo soprendermi piacevolmente. Alla serata sono forse mancati i momenti di condivisione web 2.0 che auspicavo. Per carità, forse è dipeso anche dal mio atteggiamento e dal mio modo di essere – non proprio l’espansività e la loquacità fatte uomo – però in alcuni frangenti mi si è insinuato il dubbio che alla serata avessero partecipato persone che già si conoscevano e che i loro discorsi fossero un po’ troppo web-style, troppo vicini a quelli fatti ogni giorno in Rete nonostante la presenza in carne e ossa offline. Comunque sia, un plauso a chi ha voluto realizzare l’incontro va fatto, diffondere un utilizzo più consapevole di Internet è una missione da elogiare (come quella del CharityWater), soprattutto in Italia dove forse alcuni mezzi sono ancora ad esclusivo appannaggio dei cosiddetti “nerd” (tra i quali, il sottoscritto). In bocca al lupo per le prossime occasioni!

AAA cercasi antispam per Twitter

twitterCon Twitter il microblogging ha conosciuto e sta conoscendo una notevole notorietà. La social messaging utility è utilizzata da uomini politici (BarackObama), sportivi (The_Real_Shaq) e da grandi network (la CNN ad esempio propone un canale che risulta ad oggi seguito da oltre 14.700 di profili) che usano i 140 caratteri a disposizione non solo per rispondere alla domanda “What are you doing?” ma anche per condividere con il proprio network di amici e conoscenti il loro status. Non solo azioni ma anche liberi pensieri o segnalazioni di link e news da diffondere nel web senza troppa fatica anche tramite i cellulari di “ultima generazione”. Insomma un modo veloce per parlare e tenersi aggiornati senza dover entrare troppo nello specifico, il compromesso ideale in un mondo come quello attuale nel quale la comunicazione è sempre più veloce. Il lato oscuro però non è tardato ad arrivare e così lo spam ha lambito anche le coste del micro-blogging sinora solo appena sfiorate dalle selvagge operazioni di marketing che espandendosi di profilo in profilo creando spesso solo un fastidioso rumore. Una delle cose da me maggiormente apprezzate è senza dubbio la possibilità di seguire chiunque voglia per default, senza dover lasciare alcuna richiesta in pending. Questa libertà  si è però dimostrata in diverse occasioni un boomerang, una scorciatoia per profili legati ad agenzie pubblicitarie bramose di farmi conoscere a tutti i costi (anche in lingue a me sconosciute, sob) le loro ultime fantastiche (?!?) iniziative verso le quali nella stragrande maggioranza dei casi risulto non essere per nulla interessato. Personalmente sento questo approccio “dall’alto” come una notevole intrusione del mio spazio comunicativo e non esito a bloccare ogni profilo sospetto. D’altra parte però non demordo e romanticamente continuo a matenere il profilo “aperto” in piena ottica condivisione 2.0 nonostante il continuo crescere di contatti indesiderati. Non mi resta che giocare la carta Babbo Natale e chiedergli di regalarmi un antispam per Twitter…