Maurizio Crozza in Italialand

“Perché andare sino a Disneyland?”: questa la domanda che apre Italialand il nuovo spettacolo teatrale di Maurizio Crozza, ieri al Teatro Nazionale (e stasera in prima serata su La7).

Una riflessione sull’Italia di oggi, sulla nostra classe politica e quindi in definitiva su noi stessi, sul nostro atteggiamento nei confronti dei vizi e caratterizzazioni di chi ci rappresenta (o almeno in teoria dovrebbe farlo).

La prima parte dello spettacolo non è altro che una serie di ironiche considerazioni sulla stretta attualità, in parte riprese dagli sketch con i quali Crozza apre le puntate di Ballarò: da “Pigiapia” a Gasparri, da Berlusconi a Scilipoti.

La seconda parte è invece una carrellata di irresistibili imitazioni che vedono Crozza destreggiarsi con parrucche e travestimenti: dal cavallo di battaglia Bersani (“siampazzi?”) alle new entry Marchionne, da Giacobbo con il suo Kazzinger a Napolitano, da Marzullo a Matteo Renzi, tutti rivisti con un’incredibile capacità di farne risaltare i tratti comici e una impareggiabile disinvoltura nel passare da un personaggio a un altro del quale vengono proposte la postura, i tick, l’accento e le espressioni celebri.

Ma Italialand non è uno spettacolo “statico” ma uno di quelli nei quali anche il pubblico partecipa cantando o accompagnando con le mani le performance di Crozza (che dimostra una voce da tenore!).

Insomma una serata trascorsa all’insegna delle risate e del divertimento. Anche se poi, lo ammetto, sulle note di Bella Ciao che chiudono lo spettacolo (o meglio il “bis”), affiora un po’ di malinconia per una parentesi chiusa troppo in fretta.

La Passione secondo Luca e Paolo

Lo spettacolo con il quale Luca e Paolo stanno girando i teatri d’Italia ha destato molta curiosità. E anche qualche dibattito. In fondo il tema della morte – e quindi, in ultima analisi, del senso della vita – è uno dei grandi misteri che l’uomo cerca continuamente di comprendere, normale che ogni volta si generi un vespaio di polemiche. E allora perché non riflettere su fede e coscienza con una sorta di riproposizione in chiave ironica di “Aspettando Godot” che ci permette di sorridere su un tema solitamente molto delicato e che al cui solo accenno di solito ci si incupisce? Perché non porsi delle domande sulla fede, la speranza di una qualcosa oltre la morte, la nostra fragilità, la nostra incapacità di comprendere sino in fondo, di accettare la fine della vita? In fondo l’ironia è uno dei modi con i quali reagire a una mancanza, a un evento imprevisto quanto ineluttabile, al diventare improvvisamente consapevoli del proprio carattere “finito”, “limitato”. Il sorriso, invece, è sinonimo di vita: rido dunque sono. Per questo credo che sia importante anche saper ridere della morte – come si può fare grazie a Luca e Paolo – per evitare di trasformarla in un tabù, in qualcosa attorno al quale non poter proferire parola. Per affrontarla. Per prendersi una piccola rivincita.
E forse è proprio questo l’”insegnamento” degli scarafaggi – personaggi che si alternano ai due ladroni condannati alla crocifissione – che vivono sul Golgota sotto le croci: una vita semplice, senza troppi interrogativi e con il sogno di viverla appieno accettando sé stessi e il corso della propria esistenza.
Ben inteso, porsi delle domande, dubitare, mettere in discussione qualcosa non è necessariamente essere “contro”: non mi è parso uno spettacolo contro la Chiesa quanto piuttosto una sorta di testimonianza – dico una perché credo che i due ladroni siano semplicemente due facce della stessa medaglia, due aspetti del nostro essere – di un malessere che, credenti o meno, porta tutti a cercare il senso di ciò che accade attorno a noi, del “disegno” che ci vede come – consapevoli o inconsapevoli – protagonisti. In fondo, se non ricordo male, anche colui che i due ladroni aspettano, in base a quanto raccontano le Sacre scritture, disse: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”. Come si dice: domandare (e quindi anche domandarsi) è lecito.

Spaghetti Western Orchestra reinterpreta Ennio Morricone

Ho avuto la fortuna di potermi gustare una delle esibizioni del tour mondiale che sta portando in giro per il mondo la Spaghetti Western Orchestra, cinque musicisti-attori-rumoristi (australiani se non ricordo male) che hanno deciso di reinterpretare, in maniera particolare quanto coinvolgente, alcuni dei più grandi successi firmati Ennio Morricone, dalle musiche de Il buono, il brutto, il cattivo a Per un pugno di dollari, da C’era una volta il West a Per qualche dollaro in più. Uno spettacolo nello spettacolo (ho sempre sognato utiilizzare questa espressione!) perchè non solo la performance è guidata da un “narratore” ma gli strumenti utilizzati sono i più diversi: bottiglie di birra, campanacci di legno per mucche, mazzo di carte, registratore a bobine, rami e ramoscelli, lattine a corda sono solo alcuni dei cento “arnesi” utilizzati per suonare e rendere ancora più singolare l’atmosfera dello show (la musica è infatti anche suonata in stile Foley: i rumori, come in alcune produzioni cinematografiche, derivano cioè dall’utilizzo di oggetti quotidiani fatti suonare come effetti sonori).
Tra i protagonisti assoluti della serata una citazione doverosa per il theremin, il più antico strumento musicale elettronico: composto da due antenne, si suona avvicinando e allontanando le mani e facendo così variare il suono a metà strada tra un violino e un timbro vocale molto acuto.
Difficile descrive le sensazioni provate – a un certo punto ci si trova tutti insieme a canticchieri divertiti – una serata davvero emozionante, una di quelle in cui esci e la musica continua a risuonarti nelle orecchie per giorni (tanananana-ua-ua-ua).