News via Whatsapp, ci prova l’Oxford Mail

theguardian.com

Uno dei fronti più caldi degli ultimi anni è quello della cosiddetta “internet in mobilità”. Tra coloro che si occupano di comunicazione e advertising, il mobile rappresenta, almeno potenzialmente, una delle opportunità più ghiotte sulle quali scommettere. Smartphone e tablet sono sempre più diffusi, le connessioni proposte dagli operatori sempre più veloci, i costi mediamente accessibili, ormai per molte persone il web non è più unicamente sinonimo di personal computer. Ovviamente anche il mondo del giornalismo osserva con attenzione gli sviluppi del comparto, tentando di individuare le eventuali possibilità per adattarsi ai nuovi strumenti e sfruttarne appieno le caratteristiche.
Alle applicazioni delle varie testate sui circuiti Google Play, iTunes o sviluppate in maniera indipendente, gratuite o a pagamento, da alcune settimane si è affiancato un interessante esperimento del quotidiano locale Oxford Mail.
Dallo scorso 2 giugno è infatti attivo un servizio tramite il quale la testata inglese comunica con i propri lettori anche tramite WhatsApp, la app di messaggistica istantanea che, sfruttando la connessione alla Rete, consente di scambiare messaggi con i propri contatti senza dover pagare il costo degli SMS.
Il lettore interessato, aggiungendo alla propria rubrica il numero del giornale e indicando NEWS o SPORT (o entrambe le tematiche), riceverà le notizie della testata nel proprio telefonino. Al momento, per non risultare troppo invasivi, la comunicazione si limita a un messaggio di prima mattina contenente le 5/6 storie principali (titoli e link) e l’immagine della prima pagina, al quale seguono eventualmente, nel corso della giornata, le breaking news più rilevanti.
L’esperimento, nelle previsioni dei responsabili della testata, punta ad entrare in contatto più diretto con i lettori utilizzando uno strumento nel quale la concorrenza – a differenza di Twitter e Facebook – è al momento sicuramente meno agguerrita se non del tutto inesistente. Il superamento dei 250 contatti con i quali chattare contemporaneamente, invece, è un problema facilmente risolvibile creando un nuovo gruppo di utenti.

Nulla di nuovo, sistemi di alert che diffondono le notizie o ci informano di nuovi contenuti sono già molto utilizzati (dalle email agli RSS, dagli SMS alle notifiche).

Due però gli aspetti che mi hanno incuriosito: la comunicazione delle notizie via WhatsApp mira a raggiungere i lettori in un luogo (virtuale) nel quale sono soliti comunicare con amici e conoscenti. Le redazioni, quindi, seguono gli utenti in un terreno “incontaminato”, sarà interessante capire come i contenuti e le modalità comunicative si adatteranno a questo nuovo canale.
In secondo luogo, i responsabili del progetto dell’Oxford Mail, hanno tenuto a precisare che WhatsApp non rappresenta un’alternativa agli altri social media utilizzati dalla testata quanto uno strumento che si aggiunge a quelli già in uso e che dimostra la dinamicità del giornale nel far proprie le diverse possibilità tecnologiche offerte oggi agli utenti.

Un esperimento simile è stato messo in pratica dalla BBC News in India nel corso delle elezioni di aprile/maggio per le quali la redazione, oltre a WhatsApp, ha utilizzato anche WeChat allo scopo di raccogliere le opinioni degli elettori e di distribuire al contempo informazioni (video, grafici, interviste) sulla tornata elettorale.

I numeri sono ancora ridotti ma si intravedono buone potenzialità: se è vero che il numero dei messaggi al giorno per non essere considerato spam è da considerarsi nell’ordine delle poche unità, il tasso di interazione degli utenti con i link proposti risulta piuttosto elevato e quello di abbandono del servizio basso.

Il prossimo passo, già tracciato, sarà quello di utilizzare WhatsApp non solo per inviare le notizie ma per raccogliere con maggiore semplicità ed immediatezza le segnalazioni degli utenti rendendoli più partecipi del flusso informativo.

[update: il 9 gennaio 2015 anche la Repubblica ha lanciato un servizio di breaking news via WhatsApp]

La continua crescita del formato video e l’effetto Vine

Vine vs. Instagram via Willa.me

Negli ultimi anni ho avuto modo di approfondire lo sviluppo e la crescita del video online (parte di ciò che ho appreso è poi stato raccontato nel libro Viral Video del quale sono co-autore). Nessuna sorpresa, quindi, nel constatare la crescita sempre maggiore del “mercato del video” anche al di fuori della pianificazione pubblicitaria che, sul formato più impattante rispetto al semplice banner, ha iniziato a concentrarsi già da alcuni anni (riproponendo però, nella fase iniziale, gli stessi contenuti televisivi senza alcun adattamento al web e alle peculiarità della Rete).

Quello che però mi ha sorpreso è, invece, il lasso di tempo nel quale gli utenti si stanno trasformando da semplici fruitori multimediali in veri e propri registri. Se poco più di un anno fa parlavo di Socialcam e Viddy, oggi invece mi trovo a raccontare dell’esplosione di Vine, strumento (per chi non ancora non lo conoscesse, permette di registrare e condividere video di 6 secondi) utilizzato anche nelle proteste di questi giorni dei giovani turchi e brasiliani (la rivolta verdeoro è detta “rivoluzione dell’aceto”, vinegar in inglese, termine che curiosamente contiente proprio la parola Vine) per rendere ancora più efficaci le loro rivendicazioni di una rinnovata equità sociale.

E così, mentre Vine ha da poco lanciato anche la versione per Android, Facebook, dopo aver lasciato trapelare l’obiettivo di far proprio l’utilizzo degli hashtag, pare possa controbattere ai filtri fotografici di Twitter permettendo agli utenti di Instagram di girare, editare e condividere video, superando così il concetto di pura applicazione fotografica (update: con la versione 4.0.0, Instagram ha esteso i filtri anche ai contenuti video di 15 secondi). Da appassionato di fotografia su/con Instagram, ragionando senza pensare troppo al “business”, la notizia al momento non mi esalta: troppo vivo il timore di una “deriva” che possa portare il servizio a diventare una (brutta?) copia di YouTube, con (odiati) spot che anticipano i contenuti degli utenti.

In ogni caso, tanta attenzione verso il formato video certifica lo sviluppo ad una multimedialità più evoluta. Il claim della prossima pubblicità dell’iPhone, dopo aver sottolineato che con lo smartphone della Mela si ascolta più musica e si scattano più foto che con ogni altra macchinetta, potrebbe quindi focalizzare l’attenzione proprio sul video.
In fondo, a ben pensarci, la condivisione è esplosa prima testualmente (blog), si è arricchita di immagini (dalle gif animate a Pinterest) e ora uno dei fronti caldi sembra proprio essere quello legato al video, per un superamento di YouTube e delle piattaforma di videosharing con spazi che esaltano forme di creatività ridotta (i 140 caratteri di Twitter in fondo corrispondono ai 6 secondi di Vine) più facilmente e velocemente fruibili e distribuibili sugli smartphone che portiamo sempre con noi. Una bella sfida per coloro che i occupano di comunicazione di marca: i 6 secondi diventeranno lo standard, la soglia massima di attenzione oltre la quale gli utenti passeranno ad un altro contenuto video? Per scoprirlo, forse, non bisognerà aspettare nemmeno molto.

PaperPay, l’app per comprare i giornali cartacei dal telefonino

PaperPay

Concentrato sull’aggiornamento del mio libro – file consegnato all’editore, speriamo a fine mese possa uscire la versione ebook di News(paper) Revolution – ultimamente mi sono focalizzato maggiormente sull’innovazione del web e dei suoi nuovi strumenti per comunicare.
In realtà, nonostante ormai quasi tutte le testate abbiano puntato i loro sforzi sui device digitali, anche la tradizionale “carta”, seppur generalmente in maniera confusa e senza molta convinzione, cerca (affannosamente) di stare al passo con i tempi sposando progetti che, se non fermano il declino, quantomeno cercano di proporre nuovi percorsi da intraprendere.
E’ il caso di PaperPay, l’applicazione per sistemi Android e iOS, lanciata a fine marzo in Inghilterra da Trinity Mirror, la società editrice, tra gli altri, del Daily Mirror e del Sunday Mirror. Di cosa si tratta? Semplice. E’ un applicativo che, scaricato su smartphone, previa registrazione e sottoscrizione di una delle tipologie di abbonamento previste (settimanale, mensile o annuale, con diverse forme di sconto e possibilità di pagare con carta di credito, PayPal o SMS), consente di ottenere un codice a barre personale. Mostrando il quale, recandosi da uno dei 47.000 giornalai aderenti all’iniziativa, poter ritirare la copia cartacea del quotidiano, senza più preoccuparsi di avere spiccioli a sufficienza o di aver dimenticato a casa il portafogli. Ai primi utilizzatori dell’app venivano, inoltre, offerte 5 copie gratis del Daily Mirror e la possibilità di partecipare all’estrazione settimanale di un premio di 100 sterline.
Stando alle parole di Matt Colebourne, direttore del reparto new business del Trinity Mirror, l’applicazione potrebbe aiutare a comprendere il numero esatto di copie cartacee che i lettori desiderano. In un mercato come quello della stampa tradizionale sempre più attento alla voce dei costi (e, quindi, le perdite) – uno degli strateggi più utilizzati, in questo senso è la riduzione della foliazione – sapere quante copie stampare, evitando gli sprechi, potrebbe essere una delle soluzioni valide. Il futuro della carta sarà il print-on-demand?

#igersmilanonews: l’esperimento continua!

Instagram ha lanciato in questi giorni i feed anche via web. Il social network attorno alla fotografia, nato come applicazione per mobile per iPhone e poi acquistato da Facebook, sta continuando a evolvere senza perdere – almeno per ora – consensi (nel settembre 2012, lo stesso Mark Zuckerberg dichiarò il raggiungimento di quota 100 milioni di utenti per Instagram) e, nella mia personale classifica, è secondo solo a Twitter.

Anche il mio utilizzo sta “maturando”: sono molto più attendo all’utilizzo dei filtri, alla selezione e all’eventuale modifica delle immagini, all’uso degli hashtag e dei titoli. Insomma, anche se agli scatti “felini” non so restitere né trattenere un like, sto tentando di sfruttare la app in maniera intelligente (e, mi piace pensare, costruttiva).

Da questa consapevolezza, come scrivevo alcuni post fa, ho pensato, per il lancio del mio libro (nel quale Instagram è indicato come uno degli strumenti consigliati), di coinvolgere il team Igersmilano (che ringrazio ancora una volta per la disponibilità), per proporre agli appassionati #igersmilanonews, un hashtag pensato per chiunque voglia condividere foto-notizie di interesse pubblico.

L’iniziativa, nonostante i miei timori iniziali e il poco tempo a disposizione, ha avuto un discreto successo. E così, durante la presentazione a Milano del libro, ho avuto il piacere di premiare 3 scatti scelti per la coerenza con quanto avevo proposto alla community.

igersmilanonews_premiazione

Ma la cosa non è finita qui. Quello che è stato una sorta di test è diventato – lo dico con sommo orgoglio – una rubrica settimanale dell’instagramers milano magazine: ogni mercoledì sarà pubblicato uno scatto da me selezionato legato all’hashtag #igersmilanonews. Ieri, per esempio, abbiamo segnalato la foto caricata da @drosha, un’immagine di denuncia di un problema, quello della sicurezza sul lavoro, troppo spesso sottavolutato nel nostro Paese.

Che dire? Seguite IgersMilano e tutte le sue rubriche, utilizzate i diversi hashatag e… in bocca al lupo! igersmilano_magazine

Citizen Journalism con Instagram? Proviamoci! #igersmilanonews

instatweetawardsSi avvicina il giorno dell’uscita nelle librerie del mio NEWS(paper) REVOLUTION, aspetto con crescente trepidazione il fatidico giorno in cui vedrò la mia prima “fatica in solitaria” sugli scaffali delle librerie che sono solito frequentare. Con un barlume di lucidità nonostante l’entusiasmo alle stelle, per ingannare l’attesa, ho deciso di tentare una sorta di esperimento. In collaborazione con lo staff di IgersMilano (ringrazio sin da ora Orazio e tutto il team) ho pensato di coinvolgere la community di utenti di Instagram chiedendo loro di diventare reporter per un giorno. Come? Semplicissimo. Dal 13 al 20 gennaio prossimi, scattata una foto legata a un avvenimento/fatto di cronaca del quale si è stati testimoni (nulla di complicato, non pretendo scoop!), basterà caricare la foto utilizzando il particolare hashtag scelto per l’occasione – #igersmilanonews – per creare, insieme, un album dal quale verranno poi selezioni tre contributi (i migliori a insindacabile giudizio del “comitato” formato dal sottoscritto e dai rappresentanti di IgersMilano) che saranno premiati, in occasione dell’evento di presentazione del testo, il prossimo 24 gennaio (giorno di uscita ufficiale del saggio), con una copia cartacea con tanto di dedica del libro. L’idea è quella di dimostrare che anche Instagram (come indicato nel terzo capitolo, 3.4 Strumenti a supporto del giornalismo) è un valido strumento per rendere l’informazione più puntuale, multimediale e partecipata. Con la speranza possa risultare gradita e far registrare un’alta partecipazione, non mi resta che fare il mio personale “in bocca al lupo” a tutti coloro che vorranno essere parte integrante dell’iniziativa! Per tutti gli altri, l’appuntamento è, invece, in libreria, grazie.

Socialcam e Viddy, c’è vita (social) oltre YouTube

Il traffico video online è in vertiginoso aumento. Gli smartphone ormai offrono fotocamere molto sofisticate e il web propone molte semplici utility per editare con semplicità i propri contenuti. Due applicazioni, in particolare, sono nelle ultime settimane le più chiacchierate, entrambe paragonate, per quel che riguarda la parte video, a Istangram, l’applicazione foto-filtri di maggior successo recentemente acquisita da Facebook.

La prima app è Socialcam. Realizzato un video, gli si associa un titolo, la posizione, il livello di condivisione (pubblico o riservato al proprio network) e poi si passa ad editare il file scegliendo un tema e una musica di sottofondo (se il video lo si gira con l’applicazione è invece possibile scegliere anche un filtro). Fatto questo si scelgono i tag delle persone presenti nel video – e nella community di Socialcam – o i loro indirizzi mail per informarli della pubblicazione e i social network con i quali sincronizzare la diffusione del video. Proprio come Istangram, è possibile in ogni momento seguire il proprio profilo in termini di iscrizioni, iscritti, commenti e tag. E anche su Socialcam è possibile inserire nei commenti degli hashtag per organizzare al meglio i propri contenuti rendendoli più facilmente individuabili anche dagli altri utenti.

La seconda app che segnalo è salita agli onori delle cronache per aver attirato le attenzioni di Mark Zuckerberg (per ora solo come utente, ha caricato un video del proprio cagnolino dal titolo “baby beast” capace di raccogliere oltre 2500 like e oltre 300 commenti in un solo giorno, qualcuno vocifera si sia trattato di una sorta di “prova” in vista di una possibile acquisizione) e di altri personaggi dello start system (da Jay-Z a Biz Stone, da Shakira a Will Smith come investitori del progetto).

Anche in questo caso si tratta di condividere video, per ora solo della durata di masssimo 15 secondi (nel caso il video fosse più lungo se ne può scegliere solo una parte). E forse proprio per questo Viddy mi attira di più, è più semplice condividere e vedere i video altrui (per default si segue un utente chiamato JJ Aguhob seguito da oltre 15 milioni di utenti!).

Scelto il video si possono inserire degli effetti e musica facendo il download, gratuito o a pagamento passando dal marketplace. Nel caso invece lo si voglia girare mediate la app, tramite le opzione avanzate si possono regolare il focus, l’esposizione, bilanciare il bianco, settare il microfono, inserire il timer e modificare il formato del video (4:3 o 16:9).

Il funzionamento di Viddy non è molto dissimile da quello di Socialcam ma la applicazione mi pare decisamente più curata, più semplice, più “professionale”, con un’interfaccia più immediata che permette subito di vedere i video più popolari e quelli appena caricati (mi sono esaltato guardando “Flair on a curb”, il video di un ragazzo che fa una capriola su se stesso con un monopattino) e con una community più attiva. Tra l’altro ho notato come, tra i vari filtri da applicare al video, ci sia anche un Linkin Park Bundle, un bel modo che la band ha scelto per coinvolgere i proprio utenti permettendo loro di personalizzare i propri video con la grafica.

Luci spente, silenzio in sala, ho come l’impressione che questo sia solo l’inizio di un’altra piccola grande rivoluzione che porterà chiunque ad avere (almeno) i suoi 15 secondi di celebrità.

E’ ufficiale, sono Draw Something addicted

In questi giorni la app più chiacchierata è, probabilmente, Istangram la cui versione ora anche per Android sta facendo registrare un notevole tamtam tra i possessori di smartphone. Io personalmente, da snob con iPhone, in realtà mi sono lasciato conquistare da un’altra applicazione: Draw Something.

In estrema sintesi è una app che ripropone in chiave mobile Pictionary: si sceglie una parola, la si interpreta con un disegno e poi si sfida un utente che in base a 12 caratteri da scegliere dovrà indovinare ciò che si è disegnato. Più siamo bravi – a disegnare e a indovinare – più monetine totalizziamo: questo denaro virtuale può essere utilizzato per acquistare nuovi colori o delle “bombe” che permettono di aiutarci a elidere le lettere non legate alla parola da scoprire.

Il gioco ha fatto della sua semplicità di utilizzo – anche per chi non conosce così bene l’inglese – la sua forza tanto che i milioni di download (50 milioni di download in 50 giorni!) hanno saputo attirare le attenzioni del colosso Zynga che con una velocità incredibile ha acquisito OMGPOP per una cifra intorno ai 200 milioni di dollari.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=EjF9rM_8KiI&w=440&h=360]

La prima release del gioco in realtà nasce in flash per desktop – chiamata Draw My Thing, con un timer e una pennina virtuale – ma proprio la versione per device touchscreen ha saputo fare le fortuna della casa di New York (tra l’altro pare che uno degli sviluppatori, Shay Pierce, creatore di Connectrode, si sia rifiutato di passare dalla parte del “diavolo” come lui stesso ha definito il colosso di San Francisco).

Draw Something mi piace un sacco, sto stressando tutti, lo trovo un passatempo intuitivo ed intelligente con il quale sfidare i propri amici (esiste una versione free con pubblicità e una viceversa una a pagamento senza adv). Da visitare la pagina Facebook dedicata all’applicazione che mostra dei disegni incredibili, quasi troppo ben fatti per essere veri (qui sopra un mio modesto Elvis Aaron).
Buon divertimento, mi raccomando non scrivete, limitatevi a disegnare!

[update: aggiornando la app alla versione 1.5.14 i disegni si potranno commentare, salvare, condividere]

Mobile Marketing, il futuro nelle nostre mani

Quando sono all’estero e decido di non navigare in roaming mi rendo effettivamente conto di quanto ormai la mia vita sia scandita dall’utilizzo dello smartphone che porto sempre con me. Consultare Twitter, utilizzare Google Maps, caricare foto con instagr.am sono solo tre esempi di azioni diventate ormai – almeno per il sottoscritto – routine.
Ecco perchè quando mi è stato offerta la possibilità di leggere a pochi giorni dalla sua uscita Mobile Marketing: la pubblicità in tasca – libro edito da Fausto Lupetti, autori: Paolo Mardegan, Massimo Pettiti, Giuseppe Riva, prefazione Layla Pavone) sono stato ben contento di approfondire una tematica i cui sviluppi mi interessano molto e che, da utente, tocco letteralmente tutti i giorni con mano.
In effetti in un momento – quello attuale, i cui contorni sono stati ben delineati, ad esempio, nell’evento Google Think Mobile – nel quale il mobile (smartphone + tablet) ha superato i PC (desktop + notebook) e che fa registrare solo in Italia 20 milioni di smartphone (dovremmo orami essere prossimi al sorpasso degli smartphone sui cellulari), non parlare di opportunità legate al mondo della telefonia mobile sempre connessa sembrerebbe ingenuo.
L’emergere di una nuova tecnologia modifica gli assetti “mediali” del mondo dal quale emerge. Diventa allora fondamentale riflettere sui segnali che il mercato sta lanciando per tentare se possibile di comprendere come questa ennesima evoluzione degli strumenti a disposizione possa creare valore sia per gli utenti che per le aziende.
Il testo, con un’analisi teorica molto approfondita (soprattutto in relazione alla “giovinezza” del mezzo smartphone), analizza i nuovi paradigmi del marketing (in the moment) presentando l’orizzonte del nuovo scenario attraverso lo studio del mobile advertising, della geolocalizzazione, del mondo applicazioni e del mobile payment, offrendo al lettore dati di mercato, valutazioni e, nella parte finale, anche casi concreti e testimonianze di alcuni tra coloro che per lavoro quotidianamente si confrontano con un fenomeno in continua dilagante evoluzione.
Visto che ci sono ne approfitto per complimentarmi con gli autori del libro e per ringraziarli pubblicamente per la “citazione” – nella parte relativa al marketing conversazione e al buzz marketing – al libro del quale sono co-autore.

Foursquare atto terzo

In questi ultimi giorni ho seguito con estrema (eccessiva?) curiosità gli sviluppi della nuova versione di foursquare, uno dei social network che utilizzo di più.

L’idea che si passasse da una versione 2.3x a 3.0 già faceva intuire una notevole mole di cambiamenti. Finalmente ieri ho effettuato il tanto atteso download.

Le novità si possono sintetizzare in quattro punti:

1. La sezione “Esplora” mostra un menu veloce con il quale scegliere velocemente diverse “directory” con le quali sono organizzati i vari “place” (cibi, caffè, vita notturna, negozi, arte e divertimento). Scegliendo “cibi”, foursquare visualizzerà diverse sottocategorie in base alle proprie preferenze (per quanto mi riguarda, ad esempio, leggo: italian, pizza, japanese, sushi, ice cream);

2. Rimanendo nella sezione “Esplora” sotto il menu rapido compaiono le “raccomandazioni” dei nostri amici e dell’intera community dei luoghi attorno ai quali ci troviamo (dei “place” visitati da noi, dai nostri amici o semplicemente “popular on foursquare”). Lettura molto più semplice e spazio sempre più rilevante al “passaparola”;

3. Spazio maggiore agli “Specials Nearby”, le promozioni legate ai check-in con maggiore possibilità di azioni di loyalty per i “sindaci” dei vari locali, negozi (sconti, free drink, offerte speciali…);

4. Rinnovata anche la sezione legata al proprio profilo. Oltre al numero di check-in, ai badge e alle mayorship ora c’è anche una barra che mostra i “punti” degli ultimi 7 giorni (c’è anche un goal fissato a 50, chissà a cosa è legato!), la classifica di punti della settimana, categorie più esplorate e “primi posti”, numero di consigli pubblicati. Maggior spazio quindi alla “competizione” tra amici di uno stesso network per incentivare così l’utilizzo sempre più assiduo dell’applicazione.

E’ forse ancora presto per affermare con assoluta certezza che il fenomeno “geolocal” non sia solo una moda passeggera. Ma è interessante notare come foursquare, dopo aver superato i 7 milioni di utilizzatori, continui il proprio sviluppo e punti a diventare uno strumento per un pubblico sempre più ampio di persone. Cercare, offrire consigli sul come organizzare le proprie serate, condividere immagini e commenti diventa sempre più divertente e utile.

LG Optimus One with Google, la mia prova

Lo scorso week-end ho avuto modo di provare LG Optimus One with Google uno dei nuovi cellulari della linea Optimus, la famiglia dei nuovi smartphone LG.

Nonostante non sia un super esperto di telefonini confesso di essere stato molto incuriosito dai test sul cellulare: da utente iPhone volevo conoscere più da vicino il mondo Android e capire in che modo LG fosse riuscita a “sfruttare” la partnership con Google.

Il cellulare – leggero e compatto – ha uno schermo multitouch da 3.2 pollici e una più che buona sensibilità al tocco. Il processore a 600 HZ, la memoria RAM a 512 MB e il sistema operativo Android 2.2 rendono lo smartphone veloce e di utilizzo intuitivo. La collaborazione con Google, inoltre, non poteva non garantire ottime performance anche con i servizi i mobilità quali Gmail, Netlog, YouTube, Google Talk, Google Maps (con anche la funzione Navigatore in versione beta), Google Luoghi e Google Latitude.

Per qualsiasi altra esigenza basta collegarsi all’Android Market che con tantissime applicazioni, in gran parte gratuite, è in grado di soddisfare praticamente qualsiasi necessità (le applicazioni che si decidono di scaricare sono salvate nella micro SD da 2 GIGA inclusa nella confezione).

LG Optimus One with Google legge video in DivX e xVid, registra filmati (video in formao VGA a 30 frame al secondo), è dotato di radio e scatta foto grazie a una fotocamera da a 3 Megapixel in grado di riconoscere sorriso e volto del soggetto ripreso (oltre che a possedere alcune funzione quali macro, ritratto, tramonto…).

Ah, quasi dimenticavo: lo smarphone permette di essere utilizzato anche come hotspot con il quale condividere la connessione wifi con un computer. Merita infine una menzione anche la batteria da 1500 mAh in grado di “reggere”, nonostante l’utilizzo intenso, per un lasso di tempo di assoluto rispetto.

L’unici “nei”, a voler proprio trovare il pelo nell’uovo, sono: assenza del flash per la fotocamera, fruscio nelle chiamate, un po’ di lentezza quando il cell è sollecitato parecchio e la SD troppo “ballerina”.

Il nuovo dispositivo LG Optimum One with Google ha raggiunto il milione di pezzi venduti nel mondo in soli 40 giorni dal lancio a dimostrazione di come sia un prodotto più che valido soprattutto se considerato in rapporto al prezzo con il quale viene posizionato sul mercato (attorno ai 229 euro).

Per scoprire tutti gli altri modelli della linea Optimus (LG Optimus GT, LG Optimus Chic e LG Optimus 7), rimando direttamente al sito ufficiale LG.

Articolo Sponsorizzato