Quartz, la app di notizie in stile chat

Img: theverge.com

Da alcune settimane sto provando Quartz, applicazione per iOS (la versione per Android è in fase di realizzazione) proposta dallo scorso febbraio dall’omonimo sito di notizie del gruppo Atlantic Media. Avevo letto qualche tweet a riguardo, ma non avendo approfondito, il primo utilizzo mi ha davvero spiazzato. Il progetto, infatti, a differenza di altri applicativi per mobile, fa proprio l’approccio comunicativo degli smartphone proponendo le notizie sottoforma di (brevi) messaggi di una chat. Una volta ricevuto il saluto di benvenuto, viene mostrata la sintesi di una notizia, una sorta di strillo di due righe di testo, sotto la quale due pulsanti blu permettono all’utente di interagire: quello di destra consente di passare alla notizie successiva, quello di sinistra permette invece di approfondire quanto sintetizzato in precedenza. Appaiono così dei messaggi di testo (un po’ più corposi) che sviscerano la notizia ed eventualmente rimandano per ulteriori approfondimenti ad un sito esterno alla app (e talvolta anche alla redazione). Letti i contenuti, si passa alla notizia successiva che, come la precedente, si può decidere di approfondire o di saltare.
L’aspetto singolare non sta solo nella modalità conversazionale di proporre al pubblico delle notizie su temi non necessariamente leggeri – ad esempio, su politica ed economia – ma di farlo utilizzando, oltre che un numero ristretto di caratteri, un linguaggio tanto sintetico quanto efficace ben supportato dall’uso di emoticon, grafici e gif animate che rendono ancora più immediata e accattivante la fruizione delle news.
Terminata la sessione – di solito dopo sei notizie – la app invita a tornare in un secondo momento per altre news (configurando la app è possibile attivare le notifiche automatiche rispetto a nuove news da leggere).
A margine di una news può capitare di imbattersi in un messaggio pubblicitario (Mini è la prima azienda ad aver creduto nel progetto): un piccolo banner che in piena ottica native adv si “mimetizza” tra le notizie ma che non risulta invasivo né mina l’usabilità della app.

Le notizie, scritte ad hoc da redattori capitanati da Adam Pasick (i “messaggi informativi” non risultano copia-e-incolla del materiale di qz.com), sono veicolate sottoforma di chat da un bot (un software che gestisce l’interazione con l’utente) e hanno l’obiettivo di informare e al contempo intrattenere. La app può essere consultata in treno, in metro, aspettando in fila al supermercato: i contenuti sono fruibili con una velocità e con una facilità davvero notevoli.

Se per stessa ammissione dell’executive editor Zach Seward, gli sviluppi di Quartz al momento sono difficilmente prevedibili perché ad oggi l’aspetto interessante è quello legato alla studio del comportamento degli utenti, sono pronto a scommettere che la app sarà in grado di fornire indicazioni utili alle testate giornalistiche, sempre più interessate al traffico da mobile e a raggiungere i lettori attraverso applicativi di messaggistica quali (multi)chat e social network.

News Corp scommette sul social journalism di Storyful

Img: CNN.com

Ho scoperto Storyful circa un anno fa. Stavo ultimando lo studio sul rinnovamento del mondo dell’informazione che poi ha portato a News(paper) Revolution e, concentrato sul “fenomeno” del citizen journalism (anche se personalmente preferisco l’espressione open journalism), ero alla ricerca di qualche nuovo progetto capace di ben interpretare esigenze e ruolo del rinnovato panorama informativo. Storyful attirò subito la mia attenzione proprio per l’originalità del proprio approccio alle sfide della Rete.

[…] società con sede a Dublino composta da un team di professionisti che 24 ore su 24 monitorano i web (e in particolare i social media) catturando immagini e contenuti degli utenti da poi vendere alle testate di tutto il mondo. Ecco “manifesto” presente nel sito ufficiale: «Storyful is the first news agency of the social media age. We separate the news from the noise. Storyful gives journalists and media professionals the power to discover, validate and deliver the most compelling content on the social web. Storyful helps newsrooms and publishers create newswires designed to meet the needs of their target audiences. Our goal is to create a sustainable model for a new form of social and collaborative journalism». Come funziona? In estrema sintesi, individuato un contenuto “dal basso”, lo staff ne approfondisce i dettagli mettendo poi in caso tra loro in contatto utente – ad esempio un ragazzo con i propri scatti diffusi tramite Twitter è diventato testimone degli scontri di Tripoli – e testata giornalistica.

Non nascondo quindi che, leggendo dell’acquisizione di Storyful da parte del colosso News Corp di Rupert Murdoch (per 25 milioni di dollari) abbia provato un certo orgoglio per aver “scovato” una realtà che nel giro di un anno dalla mia citazione, ha saputo attirare le attenzioni di uno dei maggiori gruppi editoriali.

Ma cosa ha suscitato così tanto l’interesse della società del Wall Street Journal e del New York Post? Di certo le valutazioni che hanno portato all’acquisizione della start-up irlandese saranno state molte ma, a mio modo di vedere, due su tutte hanno fatto la differenza.

Storyful ha messo a punto una routine lavorativa che consente, seguendo i dettami del “buon giornalismo”, di verificare e commercializzare i cosiddetti user-generated content. La capacità di separare del brusio delle conversazioni online, materiali fotografici o video interessanti anche dal punto di vista giornalistico, rappresenta un valore aggiunto notevole. Vincere la sfida di proporre al pubblico delle breaking news – tramite i contributi di semplici cittadini testimoni diretti di ciò che è accaduto – prima delle altre testate, non può che essere un risultato al quale ambire.

L’abilità nell’uso dei social media e, in generale, la robusta presenza nell’ambito dei media digitali di Storyful, può tornare decisamente utile anche sul fronte dell’advertising sempre alla ricerca di valide soluzioni.

Delle tante dichiarazioni seguite all’acquisizione, mi ha colpito quella del CEO di News Corp, Robert Thomson, che ha sintetizzato i cambiamenti in atto come la trasformazione di un gruppo fondato su brand legati a giornali cartacei in quello che punta su piattaforme informative digitali.

La rivoluzione continua.

Facebook sempre più information network [parte 1]

Facebook News Feed

Img: Newsroom.fb.com

Alcuni giorni fa, la Newsroom di Facebook ha diffuso la notizia circa l’ulteriore sviluppo del design del News Feed, l’algoritmo alla base della visualizzazione degli status.

Il social network di Mark Zuckerberg sta progressivamente spostando la propria attenzione verso i contenuti informativi avvicinandosi, per certi versi, al concetto di information network che Twitter ha fatto proprio sin dagli esordi.

La sfida – dichiarata pubblicamente – per gli sviluppatori dell’azienda di Palo Alto è quella di offrire il giusto contenuto, alle giuste persone nel momento giusto. Proprio in quest’ottica, l’evoluzione del News Feed punta ad assecondare l’esigenza degli utenti (particolarmente accentuata nell’utilizzo da mobile) di leggere le notizie più rilevanti.

In altre parole, più un contenuto sarà in grado di far interagire gli utenti con “mi piace”, commenti e condivisioni, più guadagnerà in visibilità. La novità, rispetto a quanto già accade, è la volontà di Facebook di puntare su contenuti di qualità a discapito, per esempio, dei meme, i tormentoni online capaci di diffondersi con notevole rapidità. Da quanto sinora emerso circa il rinnovato News Feed, il sistema sembrerebbe quindi premiare contenuti informativi esterni a Facebook piuttosto che, ad esempio, semplici contributi fotografici diffusi dagli utenti proprio grazie al social network.

Inoltre, se uno dei nostri amici commenterà una delle notizie ritenute rilevanti dall’algoritmo, questa sarà visibile anche nel nostro flusso di status: ciò, senza i recenti sviluppi, non sarebbe potuto accadere.

Per stimolare ancora di più l’interesse degli utenti di Facebook verso i contenuti informativi “di qualità”, il social network ha iniziato a testare anche un sistema che consente di mostrare articoli correlati a ciò che si sta leggendo e il cui contenuto si potrebbe quindi trovare utile.

Un’opportunità da non lasciarsi sfuggire per le redazioni online. In ottobre, dati Facebook, il cosiddetto referral traffic dal social network ai siti informativi è cresciuto in media di oltre il 170%, percentuale triplicata rispetto a quella dello scorso anno.

Facebook si appresta a diventare sempre più “media” e sempre meno “personale”?

UPDATE: leggi anche Facebook sempre più information network [parte 2]

De Correspondent, la proposta olandese per un nuovo giornalismo

Img: gigaom.com

In questi giorni ho avuto modo di conoscere un progetto giornalistico che mi ha davvero colpito per la propria originalità. Si tratta di De Correspondent, start-up olandese che, nata lo scorso settembre (la campagna di comunicazione è in realtà partita alcuni mesi prima, a marzo), è riuscita a raccogliere, grazie alle donazioni di circa 19.000 utenti, la considerevole cifra di 1.7 milioni di dollari.

Di cosa si tratta? Di una piattaforma giornalistica online che punta sull’analisi approfondita di storie che normalmente non trovano spazio – o ne trovano poco – nel mainstream.
Forse la definizione sembra un po’ fumosa ma sta di fatto che il team guidato da Rob Wijnberg (classe ’82!)– che conta su 11 professionisti full-time tra giornalisti, fotografi e grafici, e una 15ina di corrispondenti – può già contare su oltre 20.000 abbonati.

Scorrendo le informazioni riportate nel sito, appare chiaro come la sfida di De Correspondent sia decisamente impegnativa. Al centro dell’iniziativa vi è, infatti, il superamento del concetto di “notizia” come attualmente viene concepito dalle redazioni tradizionali.
La start-up con sede ad Amsterdam, nella sua attività punta alla realizzazioni di “pezzi” che scavino in profondità un determinato argomento senza l’ansia del dover coprire per forza di cose le breaking news. La rilevanza di un fatto, quindi, supera la sua attualità: un modo alternativo di fare giornalismo basato sul fact-checking, capace di trascendere le divisioni con le quali solitamente vengono organizzate le notizie (carattere nazionale, internazionale, di politica, di economia, eccetera), con reportage curati direttamente dalla redazione, e sull’autonomia di giudizio che deriva dalla semplice considerazione che i giornalisti non sono automi ma professionisti con una propria sensibilità che non deve quindi portare a nascondere la sorpresa, le speranze, i timori e gli entusiasmi che derivano dalle loro inchieste, dai loro contributi. Un recupero del lato umano sottolineato anche dall’invito alla partecipazione attiva dei lettori chiamati e a contribuire sui diversi temi trattati dalla redazione non solo economicamente ma in virtù della propria esperienza.

Un progetto for-profit ma il cui modello di business si basa su contenuti da vendere ai lettori non agli advertiser. Abbonamenti e donazioni che saranno la base degli ulteriori sviluppi della piattaforma la cui innovazione sarà finanziata da, almeno, il 20% dei guadagni della testata. De Corrispondent non si avvale della pubblicità e, anche per questo motivo, nella scelta degli argomenti da trattare, previene la necessità di dover, ad esempio, analizzare ciò che un determinato target potrebbe trovare interessante. Come sostegno, chiede 60 euro anno ai propri lettori. E’, a tutti gli effetti, un digital medium e quindi è fruibile su desktop, tablet, smartphone e anche via app. Consente la condivisione di articoli anche ai non iscritti ma con delle precise limitazioni.

Un’iniziativa sicuramente da seguire, un’alternativa all’idea stessa di giornale che in qualche modo, facendo propria la lezione del The Dish di Sullivan, punta sullo sviluppo di una community attorno alle notizie e al superamento del “palinsesto” canonico delle news. Complimenti e in bocca al lupo!

Da free al paywall. E dal paywall all’all-access subscription

Img: jxpaton.wordpress.com

Lo scorso martedì 19 novembre, in uno degli appuntamenti su Second Life di Gate42 (progetto che, per chi non lo conoscesse ancora, invito a seguire, un ringraziamento a @imparafacile per avermi ospitato), ho avuto modo presentare il mio libro parlando dei cambiamenti in atto nel mondo del giornalismo.
Una delle questioni venuta a galla, inevitabilmente, è stata quella legata all’advertising su web e alla sostenibilità del mondo dell’informazione in Rete.

Proprio su questo (delicato) versante, da segnalare una novità firmata John Paton, CEO di Digital First Media, colosso statunitense che gestisce più di 800 attività online/digitali (soprattutto legate a redazioni a carattere locale) in 18 stati americani in grado di far registrare oltre 61 milioni di utenti mese.
In un blog, l’ex direttore del Guardian e di El Pais, spiega le scelte operate presentandole alla forza lavoro della realtà che è chiamato a dirigere ma, chiaramente, pubblicandole su web senza alcun vincolo, le rende note anche a tutti noi “semplici” utenti.

Da un po’ di tempo seguo quello spaccato di quotidianità giornalistica online. Ho potuto così seguire il percorso adottato dal gruppo in merito alla gestione dei contenuti.
Come molte altre realtà legate al mondo dell’informazione, Digital First Media, per 22 suoi quotidiani online prima fruibili in maniera gratuita, successivamente opta per il Paywall. Una scelta dettata dalla necessità di sperimentare più che della consapevolezza di adottare una soluzione valida a lungo periodo. Una modalità per tentare di rendere più stretto il rapporto con i lettori, chiedendo loro di sottoscrivere un abbonamento. I risultati però non sono per nulla soddisfacenti, le cifre, in termini di guadagni, troppo basse. Il gruppo decide così di passare a un Paywall 2.0, una evoluzione di quanto utilizzato in prima istanza strutturata sulla base delle best pratice del settore.
Contemporaneamente avvia in 75 quotidiani un esperimento alternativo al concetto di “pagamento”. Con la collaborazione di Google, nella sezione multimediale Media Center, ogni 10 immagini mostra all’utente un sondaggio al quale è chiamato a rispondere per proseguire la navigazione all’interno del sito. I risultati di quest’ultima iniziativa sono incoraggianti per cui i vertici del gruppo decidono di concentrarsi sullo sviluppo di un Paywall 3.0 che riesca a combinare le due soluzioni in qualcosa di più dinamico, capace di garantire introiti senza ridimensionare troppo il traffico.

A meno di un anno di distanza però, Digital First Media cambia di nuovo rotta. Il guadagni del gruppo sono in crescita (rispetto al 2009, il digital adv è cresciuto, nel 2012, dell’89%) ma la soluzione del paywall, nelle sue diverse versioni, non convince appieno.
L’esperimento con Google, dopo un inizio promettente, perde di efficacia e quindi, un po’ a sorpresa, il gruppo decide di superare, almeno in parte, la strategia del paywall puntando sull’All-Access print-digital subscription: i lettori non registrati alla testata potranno leggere solo alcuni articoli al mese, gli utenti abbonati, invece, avranno accesso all’edizione cartacea, a quella digitale e ai contenuti su mobile.

Stimolante sfida, non resta che restare sintonizzati nel blog di John Paton per conoscere il bilancio di questo nuovo approccio adottato da Digital First Media.

Un mese esatto all’uscita di News(paper) Revolution!

Non avrei mai immaginato di pubblicare un comunicato stampa senza nemmeno cambiare una virgola del testo. L’occasione però è particolare, tra un mese da oggi uscirà la mia prima fatica letteraria (si tratta di un saggio, per il primo romanzo ci vorrà ancora un po’ di tempo…) in “solitaria”, in onore della quale ho cambiato l’immagine di testata del blog. Che dire? Sono davvero emozionato, non vedo l’ora di avere le prime copie tra le mani, di vedere il testo nelle librerie, di leggere le impressioni sul libro e, magari, di poterlo presentare in qualche occasione pubblica. A presto e nel caso non ci sentissimo prima, buone Feste! [update 09.01.13 : il libro è ora acquistabile sul sito dell’editore con zero spese di spedizione]

News(paper) Revolution, il libro sull’informazione online al tempo dei social network, da gennaio 2013 nelle migliori librerie

Milano, Dicembre 2012Novità editoriale di prossima uscita firmata Lupetti: News(paper) Revolution / L’informazione online al tempo dei social network, di Umberto Lisiero.

immagine_copertinaNews(paper) Revolution è un saggio sulle modalità di approccio dei quotidiani alla Rete, su alcuni dei tratti distintivi del Web (multimedialità, ipertestualità, interattività…) e sul modo con il quale questi vengano sfruttati per diffondere le notizie. Nessuna ambizione di riuscire a “imbrigliare” un mondo – quello online – sempre in continuo mutamento e sviluppo, quanto piuttosto una riflessione sullo scenario attuale e su come sia cambiato il modo di comunicare, sulle odierne sfide e sui nuovi strumenti a disposizione.

Il volume risponde alle esigenze sia dei professionisti del settore (giornalisti, docenti, responsabili PR e comunicazione) sia a quelle di studenti universitari e semplici lettori che vogliano approfondire e comprendere appieno le potenzialità della comunicazione online.

Il libro, frutto di uno studio dell’autore iniziato nel 2006, concilia la teoria con la pratica, per delineare i tratti della comunicazione online e chiarire le caratteristiche essenziali della Rete.

Il volume, con prefazione di Angelo Perrino (fondatore e direttore Affaritaliani.it), è strutturato in cinque sezioni. La prima è una breve introduzione sulle nuove tecnologie della comunicazione, la seconda è la cronistoria del giornalismo online, la terza sintetizza i cambiamenti del ruolo del giornalista, dell’editore e della redazione. La quarta sezione espone le caratteristiche salienti del quotidiano online mentre l’ultima analizza gli sviluppi futuribili del “quarto potere”. Chiudono il libro, come appendice, le considerazioni di Mario Tedeschini Lalli (vicedirettore, direzione Innovazione e Sviluppo, Gruppo Editoriale L’Espresso).