Progressive Web App, la risposta di Google agli Instant Articles di Facebook

Img: theguardian.com

Catturare l’attenzione degli utenti, questa la primaria sfida di chi online si occupa di informazione (ma non solo).

Nel tentativo di aiutare le media company a centrale l’obiettivo, dopo un periodo di test con alcune selezionate testate, Facebook da aprile dello scorso ha iniziato a proporre gli Istant Articles, uno strumento che le testate, anche in Italia, hanno subito cominciato ad utilizzare con l’ambizione di sfruttare al meglio l’enorme bacino di potenziali lettori del social network di Zuckerberg.

Pubblicando le notizie direttamente su Facebook piuttosto che rimandare i lettori al proprio sito, gli editori hanno deciso di puntare in particolare sull’aspetto legato alla velocità che, secondo fonti interne al social network, risulta di ben 10 volte superiore alla “normale” navigazione web da mobile.

Con gli Instant Articles a migliorare in realtà è l’intera fruizione delle notizie – più interazione e una più intelligente multimedialità – ma è indubbio che proprio la rapidità sia l’aspetto dell’esperienza ad appagare maggiormente l’utente, predisponendolo in maniere più decisa non solo alla lettura del contenuto, ma anche alla sua condivisione.

Ai progetti di Facebook in termini di distribuzione dei contenuti non poteva non rispondere l’altro gigante del web, Google. Forte della propria esperienza con le Accelerated mobile pages (Amp), un protocollo aperto fatto testare a 30 editori (tra i quali la Stampa) che consente di realizzare pagine molto più “leggere” da caricare, l’azienda di Mountain View ha deciso di puntare sulle cosiddette Progressive Web App. Senza entrare troppo nel tecnico, si tratta di una nuova tecnologia che combina i lati positivi del web con quelli delle mobile app. Due degli esempi più noti sono da una parte il canale e-commerce Flipkart, dall’altra la compagnia aerea Air Berlin. Con il nuovo linguaggio è stato possibile per entrambe le realtà non solo velocizzare l’esperienza degli utenti rendendola più piacevole – e, quindi, più proficua in termini di engagement – ma anche offrire una navigazione più flessibile con notifiche e contenuti disponibili anche senza una connessione internet.

Pioniere per quel che concerne il settore media è il Washington Post che proprio sulla tecnologia di Google sta da mesi testando una versione beta del proprio spazio online. Per renderne più veloce la consultazione e per dare modo agli utenti, in caso di perdita temporanea del segnale, di continuare a fruire dei propri contenuti (il sistema in automatico scarica tutti gli articoli della sezione visitata in un preciso momento da un utente, come anche le pagine a cui i collegamenti del pezzo rimandano).

Anche il britannico Guardian ha voluto mettere alla prova la nuova tecnologia firmata Google: in occasione delle olimpiadi, il team USA del quotidiano, ha lanciato Rio Run, un podcast interattivo – ricco di contenuti giornalistici ma dal lato anche ludico oltre che informativo, con badge da sbloccare e medaglie virtuali da aggiudicarsi – per seguire il percorso della torcia olimpica in Brasile.

Se è vero che resta ancora qualcosa da migliorare in termini di compatibilità – come è lecito aspettarsi, le PWA funzionano molto bene su Chrome in ambiente Android, meno su iOS – in molti tra gli addetti ai lavori sono pronti a scommettere che le PWA, spostando l’attenzione ancor di più sull’ottimizzazione dei contenuti per il mobile, possano rappresentare una valida soluzione per proseguire l’innovazione del comparto legato al mondo dell’informazione.

Il Times e la coda lunga applicata al giornalismo

Img: thetimes.co.uk

Img: thetimes.co.uk

In occasione delle votazioni sulla Brexit, il giorno successivo al referendum, The Times ha deciso di rendere libera anche ai non abbonati la consultazione delle notizie del proprio sito.

Una scelta, quella del giornale britannico, che ha riportato in auge la questione del paywall, strumento utilizzato dalla testata a partire dal 2010 che ha consentito allo storico quotidiano di superare quota 410mila abbonati, chiudendo così l’anno in attivo (primo segno positivo nel bilancio dal 2002).

La contrapposizione con The Guardian, giornale senza alcuna “barriera all’ingresso” che di mese in mese continua ad espandere il proprio bacino di utenza ma il cui gruppo ha fatto registrare negli ultimi dodici mesi un notevole incremento delle perdite (passate da 14.7 milioni di sterline del 2015 a 68,7 milioni di sterline nel 2016), almeno per un giorno, è quindi venuta meno.

Quello del Times non è in realtà un paywall completamente restrittivo: consente infatti anche ai non abbonati di visualizzare i contenuti video condivisi attraverso i social network e, novità delle ultime settimane, permette agli utenti registrati al sito senza abbonamento di “sbloccare” due articoli alla settimana da poter leggere gratuitamente, ricevendo poi nella caselle di posta elettronica la segnalazione delle notizie più rilevanti della giornata. Iniziative queste che puntano ad attirare nuovi potenziali abbonati al giornale (il cui prezzo minimo di sottoscrizione digitale + cartaceo ammonta a 5 sterline a settimana) e a comprendere in maniera migliore il pubblico di riferimento della testata.

La scelta del paywall si inserisce in una più ampia strategia che il Times ha deciso di adottare: per differenziarsi dalle numerose risorse gratuite incentivando la fidelizzazione dei lettori, dal punto di vista editoriale, il quotidiano punta su approfondimenti, analisi e report, superando il continuo aggiornamento delle cosiddette breaking news. Con contenuti offerti agli utenti a orari fissi (alle 9, alle 12 e alle 17), la redazione ha creato veri e propri appuntamenti informativi con il bacino di lettori. Un approccio che, oltre ad ottimizzare le risorse, stando a quanto riferito da Alan Hunter, head of digital del Times, ha contribuito ad aumentare del 20% le visite settimanali al sito di ogni singolo user.

Anche per quel che concerne la delicata questione della moderazione dei commenti agli articoli, il Times adotta un intelligente compromesso: consente di utilizzare pseudonimi ma solo dopo che gli utenti abbiano fornito i loro estremi. Un semplice modo per responsabilizzare i lettori nel momento in cui desiderano interagire con la redazione rafforzando al contempo la relazione tra lo staff del giornale e il proprio pubblico.

In definitiva, il Times risulta uno degli esempi di maggior successo della teoria della coda lunga di Chris Anderson applicata al giornalismo: un modello che punta a soddisfare le esigenze informative di una “nicchia” ben definita di lettori affezionati i quali, sottoscrivendo una delle forme proposte di abbonamento, dimostrano concretamente di riconoscersi nella testata e partecipano, anche su web, alla sostenibilità del progetto.

The New Day: il giornale di carta per l’epoca digitale

Img: thedrum.com

Dopo l’articolo su The Independent delle scorse settimane, torno ad occuparmi della stampa d’Oltremanica. Oggetto del mio approfondimento è stavolta The New Day, il nuovo esperimento firmato Trinity Mirror, lanciato lo scorso 29 febbraio. Si tratta di un quotidiano in edicola dal lunedì al venerdì, il primo giornale cartaceo a pagamento lanciato nel Regno Unito dal 2010. Sono state ben 2 milioni le copie distribuite gratuitamente il primo giorno, precedute da una robusta campagna mediatica che ha visto anche l’utilizzo di radio e tv (5 i milioni di sterline spesi per la pianificazione dell’attività pubblicitaria a supporto del lancio del quotidiano).
Un giornale nuovo nell’approccio e nel formato: non politicamente schierato, senza editoriali né sito web (ma con profili Facebook e Twitter), The New Day è un giornale di 40 pagine appositamente pensato per essere letto in una 30ina di minuti, tempo questo ritenuto il più opportuno in considerazione del “bombardamento” mediatico al quale ognuno di noi è quotidianamente sottoposto.
Anche il linguaggio risulta rinnovato rispetto a quello degli altri giornali: il target di riferimento ha un’età compresa tra i 35 e i 55 anni, persone che – secondo le parole di Alison Phillips, direttrice di The New Day – non comprano più i giornali non perché abbiano smesso di apprezzare la carta stampa, quanto piuttosto perché in edicola non trovano ciò che possa assecondare le loro esigenze.
Un progetto ambizioso, strutturato per riempire il vuoto lasciato dal The Indepenent (che ha optato per il solo online) ma che può essere definito low-cost: le notizie sono le medesime del Daily Mirror e dal Mirror Online, (ri)elaborate dallo staff di 25 giornalisti della nuova testata.
L’obiettivo dichiarato dall’editore – Trinity Mirror ha appena reso noti ricavi in discesa anche per il 2015 – è quello di diventare profitable entro il 2017, attestandosi auspicabilmente sulle 200.000 copie vendute al giorno.

Anche la politica di prezzo, nella sua formulazione, risulta piuttosto aggressiva: dopo la distribuzione gratuita del giorno del lancio, da calendario, il prezzo di The New Day avrebbe dovuto restare per due settimane di 25 centesimi di sterline salvo poi attestarsi sui 50 centesimi.

Il secondo giorno a pagamento, il mercoledì successivo al lancio, il quotidiano ha venduto 148.000 copie, -4% rispetto al giorno precedente. Nel corso dei giorni a seguire le copie sono ancora scese, stabilizzandosi attorno alle 90.000 copie, motivo per il quale l’editore ha deciso di congelare ancora per “qualche settimana” il prezzo di 25 cent, evitando di raddoppiare la cifra per non perdere ulteriori lettori (contemporaneamente, l’editore ha anche scritto una lettera agli edicolanti, chiedendo il loro supporto nella distribuzione del giornale).

Insomma, il progetto a meno di un mese dal lancio deve già affrontare le prime difficoltà. E se all’interno della redazione tutti sperano si tratti di una “normale” flessione dopo i primi giorni di grande visibilità del giornale, qualcuno tra gli addetti ai lavori segnala come in realtà possa non trattarsi di qualcosa di banale. Un’altra delle novità del quotidiano è infatti quella di dar poco spazio alla pubblicità (e di non darlo per nulla agli annunci a pagamento). Motivo per cui il dato delle copie vendute risulta di capitale importanza. Soprattutto se, come riportato dal Guardian, gli spazi pubblicitari di The New Day sono stati proposti agli inserzionisti con la garanzia di un’audience di almeno 200.000 copie, pena il rimborso del 50% di quanto stanziato in advertising.

La speranza che The New Day non si dimostri un azzardo resta ancora viva. Ma la strada per il giornale, alla luce dei primi risultati, se possibile pare ancora più in salita.

Quartz, la app di notizie in stile chat

Img: theverge.com

Da alcune settimane sto provando Quartz, applicazione per iOS (la versione per Android è in fase di realizzazione) proposta dallo scorso febbraio dall’omonimo sito di notizie del gruppo Atlantic Media. Avevo letto qualche tweet a riguardo, ma non avendo approfondito, il primo utilizzo mi ha davvero spiazzato. Il progetto, infatti, a differenza di altri applicativi per mobile, fa proprio l’approccio comunicativo degli smartphone proponendo le notizie sottoforma di (brevi) messaggi di una chat. Una volta ricevuto il saluto di benvenuto, viene mostrata la sintesi di una notizia, una sorta di strillo di due righe di testo, sotto la quale due pulsanti blu permettono all’utente di interagire: quello di destra consente di passare alla notizie successiva, quello di sinistra permette invece di approfondire quanto sintetizzato in precedenza. Appaiono così dei messaggi di testo (un po’ più corposi) che sviscerano la notizia ed eventualmente rimandano per ulteriori approfondimenti ad un sito esterno alla app (e talvolta anche alla redazione). Letti i contenuti, si passa alla notizia successiva che, come la precedente, si può decidere di approfondire o di saltare.
L’aspetto singolare non sta solo nella modalità conversazionale di proporre al pubblico delle notizie su temi non necessariamente leggeri – ad esempio, su politica ed economia – ma di farlo utilizzando, oltre che un numero ristretto di caratteri, un linguaggio tanto sintetico quanto efficace ben supportato dall’uso di emoticon, grafici e gif animate che rendono ancora più immediata e accattivante la fruizione delle news.
Terminata la sessione – di solito dopo sei notizie – la app invita a tornare in un secondo momento per altre news (configurando la app è possibile attivare le notifiche automatiche rispetto a nuove news da leggere).
A margine di una news può capitare di imbattersi in un messaggio pubblicitario (Mini è la prima azienda ad aver creduto nel progetto): un piccolo banner che in piena ottica native adv si “mimetizza” tra le notizie ma che non risulta invasivo né mina l’usabilità della app.

Le notizie, scritte ad hoc da redattori capitanati da Adam Pasick (i “messaggi informativi” non risultano copia-e-incolla del materiale di qz.com), sono veicolate sottoforma di chat da un bot (un software che gestisce l’interazione con l’utente) e hanno l’obiettivo di informare e al contempo intrattenere. La app può essere consultata in treno, in metro, aspettando in fila al supermercato: i contenuti sono fruibili con una velocità e con una facilità davvero notevoli.

Se per stessa ammissione dell’executive editor Zach Seward, gli sviluppi di Quartz al momento sono difficilmente prevedibili perché ad oggi l’aspetto interessante è quello legato alla studio del comportamento degli utenti, sono pronto a scommettere che la app sarà in grado di fornire indicazioni utili alle testate giornalistiche, sempre più interessate al traffico da mobile e a raggiungere i lettori attraverso applicativi di messaggistica quali (multi)chat e social network.

Giornali su Facebook, la sperimentazione continua

Img: niemanlab.org

In più occasioni nel blog ho parlato degli Instant Articles, l’innovativa soluzione testata da Facebook con alcuni selezionati partner del comparto media. Sono stato felice di constatare come le sperimentazioni dei giornali con il social network di Mark Zuckerberg in realtà non si limitino alle soluzioni più gettonate (e dibattute) ma, nel tentativo di incontrare l’interesse e le modalità di fruizione più affini ai lettori, possano anche prevedere un certo grado di “creatività”. Due gli esempi ai quali, più degli altri, mi riferisco.
Il primo – e forse quello un po’ più scontato dopo i test delle notizie via Whatsapp – è quello del quotidiano tedesco Bild, il secondo – a mio modo di vedere molto originale – quello del Boston Globe.

Per quel che concerne il giornale fondato da Alex Springer, la redazione ha iniziato a sperimentare l’invio di un numero limitato di notizie attraverso Facebook Messanger. Sfruttando le news sportive legate al calcio mercato (la cui finestra invernale si è da poco conclusa anche in Germania) e, in una sorta di secondo canale tematico, le informazioni legate a un reality show ora in onda nel Paese, gli utenti iscritti al sistema vengono informati dal giornale circa le principali notizie mediante dei messaggi consultabili nella propria casella su Facebook. Al di là dei numeri dei partecipanti all’esperimento (la pagina Bild Ticker ha raccolto sinora poco meno di 700 like) e del fatto che non si tratta di contenuti esclusivi ma di semplici rimandi a pezzi visibili nel sito della testata, il progetto mi pare comunque interessante da seguire. Se da un lato il progetto può risultare invasivo vuoi per un numero di messaggi percepito come eccessivo, vuoi perché le news giocoforza si mescolano a conversazioni della propria sfera privata, i messaggi, proprio perché diretti e “personali”, potrebbero risultare efficaci in termini di partecipazione. Messenger in questo senso, rappresenta la frontiera da poco sdoganata e aperta dal social network agli sviluppatori per creare nuove esperienze interattive.

Il Boston Globe, invece, ha pensato di iniziare a utilizzare con maggiore efficacia (e intelligenza) una tab che in alcune pagine Facebook non risulta nemmeno visibile. Usando le Note il quotidiano della capitale del Massachusetts propone una sorta di newsletter dedicata alle primarie per la presidenza degli Stati Uniti: una pagina molto semplice, con testi (normali e in grassetto) e link al sito del giornale (la sezione note non consente molta libertà di manovra, niente embed di video di YouTube o foto di Instagram). Anche in questo caso il test, al di là del numero di like e di condivisioni, può rappresentare un primo passo verso una modalità alternativa di confronto tra utenti e testate giornalistiche. Dallo scorso settembre la sezione Note è stata “riesumata” da Facebook che l’ha resa più flessibile (e personalizzabile) e, come i più “nobili” Instant Articles, pare faccia registrare tempi di caricamento dei contenuti molto rapidi, aspetto tutt’altro che secondario soprattutto in virtù del crescente numero di utenti da mobile.

Forse i due esperimenti citati non risulteranno di immediato né rilevante impatto sul pubblico ma evidenziano una volta di più l’interesse delle testate nei confronti di Facebook, strumento principe nella quotidianità digitale di moltissimi utenti.

Il Wall Street Journal sbarca Snapchat alla caccia dei giovanissimi

Lo scorso 6 gennaio il prestigioso Wall Street Journal ha ufficializzato, dopo mesi di voci a riguardo, la propria presenza su Snapchat Discover. Si tratta del primo quotidiano statunitense a testare il social network, molto utilizzato dai cosiddetti millennials – un pubblico giovane avvezzo agli strumenti digitali – che ha sin da subito ha trovato interessante la possibilità di scambiare foto e video disponibili per un tempo limitato.

I contenuti della testata non sono visibili al di fuori degli Stati Uniti per cui, per un’idea della comunicazione dei giornali su Snapchat, non posso che fare riferimento al Daily Mail, il primo quotidiano ad essere presente su Discover e il cui canale è visibile anche oltre i confini del Regno Unito.

dailymail_snapchat

Img: Daily Mail on Snapchat

Gli articoli, visibili per 24 ore, sono introdotti da una sorta di anteprima animata – ottimizzata per il mobile – che punta a catturare l’attenzione e che strizza l’occhio alle “gif”. Le notizie sono sfogliabili, se si decide di approfondirle è sufficiente cliccare “leggi” o “guarda” nella parte bassa della schermata (in alcuni casi infatti la notizia è in realtà un contributo video). Per quel che riguarda il giornale inglese, il materiale proposto concerne soprattutto notizie tra gossip, showbiz e “strano ma vero”, ma ho trovato anche news un po’ più seriose circa, ad esempio, il lancio di un nuovo razzo della Blue Origin di Jeff Bezos o le (scioccanti) immagini di alcuni cittadini britannici che, simpatizzanti dell’Isis, hanno fatto impersonare ai loro piccoli figli dei terroristi. Se decido di leggere l’articolo, posso scorrere il pezzo sino alla fine (l’articolo può presentare immagini ma, da quanto ho visto sinora, non link esterni), posso salvarlo o condividerlo con qualche contatto della mia rubrica (prima di fare ciò posso personalizzare il messaggio inserendo emoticon e un testo).

La sfida intrapresa dal WSJ è quella di sperimentare nuovi modi di veicolare notizie con l’obiettivo di analizzare il comportamento degli utenti e di intercettare giovani lettori da trasformare se possibile in nuovi potenziali abbonati. Sulla base delle parole di Carla Zanoni – responsabile emerging media team del quotidiano – il gruppo di lavoro del WSJ dedicato a Snapchat è formato da cinque persone che pubblicano 8 contenuti al giorno, 5 giorni su 7.

Sarà interessante verificare l’appeal dei contenuti economico-finanziari della testata sugli utenti di Snapchat (il primo articolo della redazione, ad esempio, ha approfondito l’aumento degli affitti degli appartamenti in US) per capire se e in che misura siano compatibili con uno strumento piuttosto “scanzonato” di utilizzo prettamente ludico (i selfie caricaturali realizzati attraverso l’utilizzo dei lenses di Snapchat sono affini all’analisi dei dati di Wall Street?).

Il successo dell’iniziativa, infatti, non è scontato. E, come dimostrato la scorsa estate con i canali di Yahoo e Warner Music, Snapchat, per salvaguardare la propria reputazione e continuare nella crescita del numero di utenti attivi, non ha esitato a interrompere il rapporto con questi partner i cui contributi pare non abbiano fatto registrare un grande impatto nella community (per inciso, i due canali sono stati sostituiti da BuzzFeed e iHeartRadio).

L’esperimento delle testate su Snapchat, oltre che dal punto di vista delle redazioni e dei contenuti giornalistici, è da seguire anche in termini prettamente pubblicitari. Le realtà presenti su Discover possono infatti proporre ai loro inserzionisti video pubblicitari su Snapchat (venduti a CPM) nella innovativa forma del native advertising.

La speranza di Snapchat è quella che i media possano contribuire a fare in modo che il social network riesca ad individuare le modalità per generare guadagni senza infastidire (troppo) gli utenti.

Facebook Instant Articles: l’immediatezza che genera valore?

Img: media.fb.com

Lo scorso 16 dicembre, a poco meno di una decina di giorni dal Natale, Facebook ha comunicato di aver esteso anche agli smartphone Android la visualizzazione degli Instant Articles. La fase di test, iniziata lo scorso ottobre con i dispositivi iPhone si è dunque conclusa con successo: sulla base di quanto comunicato sono salite a 350 le testate che lavorano con Facebook al progetto (poco meno di una 10ina le italiane), più di 100 delle quali pubblicano quotidianamente i loro articoli con questo nuovo strumento messo a punto dall’azienda californiana per venire incontro alle esigenze dei media.

La collaborazione tra le redazioni e Facebook, iniziata a metà degli anni Duemila con grandi investimenti, nel corso del tempo, con le evoluzioni del newsfeed e il conseguente ridimensionamento della visibilità degli utenti rispetto ai contenuti pubblicati, ha deluso parte delle aspettative riposte dai giornali nel social network.
Molte testate hanno infatti nel corso del tempo visto scendere il traffico ai loro siti e Facebook, considerato talvolta, in un eccesso di ottimismo, una panacea per i giornali, ha finito per diventare uno strumento di routine ma non efficace quanto auspicato nel risollevare le sorti delle testate.
Facebook ha tuttavia sempre strizzato l’occhio al comparto media, le news rappresentano “risorse” ideali da condividere, contenuti che possono contribuire ad aumentare il tempo speso dagli utenti nel social network.
Ecco perché i vertici dell’azienda hanno deciso, nei confronti dei giornali, di porsi in una rinnovata veste, più come piattaforma che come “rete di profili”: caricando i contributi direttamente su Facebook, senza rimandare a spazi esterni, e seguendo le direttive per ciò che concerne gli aspetti grafici degli articoli, la fruizione dei contenuti risulta più veloce – fattore questo discriminante nella navigazione da mobile – e decisamente più appagante in termini di interazione e di gestione di testi ed elementi multimediali che risultano ottimizzati per rendere al meglio (vedi video ufficiale).

Se uno studio di NewsWhip su 19 articoli istantanei del New York Times pare dimostrare l’efficacia dello strumento nel moltiplicare condivisioni, “mi piace” e, soprattutto, commenti rispetto ai “tradizionali” link ai pezzi diffusi nelle pagine, resta ancora da capire se gli Instant Articles funzionino anche in termini di ad revenue, se in altre parole possano aiutare le testate a fare in modo che gli articoli non solo generino un maggiore tasso di interazione dei lettori ma siano anche in grado di incrementare gli introiti dei messaggi pubblicitari che negli Istant Articles trovano spazio.
Questa credo sia per Facebook una delle sfide da vincere nell’anno appena iniziato.
Anche perché alcune delle testate che sin da subito hanno appoggiato il progetto hanno invitato il social network a rivedere parte delle proprie posizioni giudicando troppo restrittive le linee guida che regolano il rapporto tra redazioni e social network nell’ambito pubblicitario. Un primo momento, ad esempio, non erano previsti “rich media” (inserzioni multimediali) ma solo banner 320 x 500 pixel ogni 500 parole di testo.

Come indicato nella bella intervista di NiemanLab a Michael Reckhow, product manager Instant Articles, resta ancora molto da fare per definire nel migliore dei modi la “forma” più adatta per venire incontro alla esigenze degli editori supportandoli nel costruire strumenti sempre più efficaci nel catturare l’attenzione dei lettori di Facebook. Ma la strada intrapresa sembra quella buona.

Mamma, ho riperso i commenti

Img: mageewp.com

Nel passaggio dalla carta all’online uno degli aspetti più innovativi del rinnovamento della stampa è stato il passaggio da un lettore che passivamente fruiva del materiale informativo a uno che invece è in grado di interagire direttamente con la redazione e con gli altri utenti. I commenti agli articoli hanno contribuito a scrivere un nuovo paradigma in grado di superare il solipsismo della lettura individuale e di rendere le notizie, almeno potenzialmente, stimolo al confronto con un pubblico.
Gli sviluppi della Rete stanno però facendo vacillare la comunicazione bidirezionale quale caratteristica imprescindibile del giornalismo online. Iniziano infatti ad essere numerose – e rilevanti – le testate che decidono di ridimensionare o addirittura eliminare lo spazio dedicato ai commenti dei lettori. Il Chicago Sun Time, il Daily Beast, Re/code, Bloomberg ma anche piattaforme quali The Verge e Medium sono solo alcuni degli esempi di realtà informative che hanno deciso di apportare modifiche ai propri spazi di conversazione con gli utenti.
Questo in primis perché il dibattito sugli articoli da parte dei lettori per la gran parte ormai avviene al di fuori degli spazi delle testate, nei social network, spazi nei quali gli utenti possono confrontarsi con semplicità, immediatezza e a più ampio raggio rispetto ai canali “istituzionali” dei siti informativi. In seconda istanza perché la gestione del flusso di commenti è dispendiosa e, in un panorama come quello della stampa nel quale le risorse continuano ad essere piuttosto limitate, in molti hanno preferito sbarazzarsi del problema legato alla moderazione dei contenuti. Con l’auspicio che il confronto con/tra utenti non si esaurisca quanto piuttosto si sposti altrove continuando però a generare interesse nei confronti degli articoli.
Uno dei casi più rilevanti in questo senso è stata la decisione di Reuters: in un breve comunicato l’agenzia stampa britannica ha annunciato che in virtù delle novità nel modo di interagire degli utenti con le news, constatando quanto le conversazioni sulle notizie si tengano ormai in maniera preponderante su social media e forum – community di numerosi partecipanti che si confrontano in virtù di policy condivise che tendono ad emarginare coloro che abusano della libertà di espressione – ha deciso di non rendere più possibili i commenti alle notizie.
Anche Motherboard, lo spazio di Vice dedicato alle notizie scientifiche, ha deciso di mettere uno stop ai commenti optando per una nostalgica sezione “Lettere al direttore”.

E mentre Reddit lancia la propria piattaforma informativa – Upvoted – senza lasciare spazio ai commenti (con l’obiettivo probabilmente di raccogliere adesioni dagli inserzionisti, attirati dal pubblico di Reddit ma spaventati dal tono delle accese polemiche che spesso infiammano le discussioni), il New York Times, per rendere più snelle le attività di moderazione dei contenuti, introduce i “verified commenters”, utenti che l’algoritmo alla base della gestione dei commenti, in virtù dello storico delle loro interazioni, considera come affidabili senza la necessità di controlli pre-pubblicazione.

In generale, resta da capire se la scelta di eliminare i commenti possa contribuire in maniera costruttiva a fare in modo che le redazioni concentrino i loro sforzi unicamente sul versante qualitativo dei propri contenuti o se, invece, il fatto che le conversazioni degli utenti attorno alle notizie avvengano fuori dai confini dalle testate certifichi semplicemente la subordinazione di queste ultime ad altri canali comunicativi evidentemente più efficaci nell’attirare l’attenzione degli utenti.

Pangaea Alliance: qualità e tecnologia per contrastare Facebook e Google

The Pangaea Alliance

Img: newsonnews.com

Il difficile periodo della stampa sta continuando. A rendere complicato lo scenario è in particolare la percentuale relativa agli investimenti pubblicitari che, per il comparto informativo, risulta dall’inizio dell’anno ancora in contrazione. Un articolo del Guardian, ad esempio, analizzando lo scenario dei quotidiani d’oltremanica, evidenzia come le prime 10 realtà in termini di budget pubblicitari abbiano tagliato mediamente del 20% gli investimenti in adv nei giornali: dal -20% del top spender Sky, al -39% di Tesco, le grandi realtà aziendali sembrano identificare sempre meno la stampa tradizionale quale risposta alle loro esigenze di visibilità. E, aspetto forse ancora più preoccupante, non solo su carta. Anche il comparto digitale delle testate, infatti, se non registra segni meno, ha mediamente rallentato la sua crescita. Uno degli esempi più lampanti in questo senso è quello del Daily Mail che, nonostante i 200 milioni di utenti al mese, non è ancora riuscito a trovare un efficace approccio per sfruttare al meglio il proprio bacino di utenza e, dalla scorsa estate, per quel che concerne il reparto digital, ha fatto segnare una crescita minima. Intendiamoci, non è la Rete il problema, gli investimenti online crescono di anno in anno (anche se nel 2015 con tassi trimestrali di crescita inferiori rispetto a quelli dei due anni precedenti). Solo, al momento, il grosso della fetta pubblicitaria online è preda di piattaforme quali Facebook e Google piuttosto che degli editori.

Ecco spiegato il motivo per il quale il Guardian, il Financial Times, la CNN e la Thomson Reuters, pur competitor nel panorama informativo, hanno deciso di collaborare sul fronte dell’advertising in Pangaea Alliance. Combinando l’audience di ciascuna testata (sino al 10% degli spazi pubblicitari di ciascuna realtà coinvolta), il totale di 110 milioni di utenti risulta infatti molto più interessante per gli inserzionisti delle inventory di ciascuna delle singole realtà informative. I brand, tramite quella che viene chiamata in gergo programmatic technology – in parole semplici, un sistema automatizzato di compravendita di spazi pubblicitari – avranno modo, in virtù di un pubblico più ampio di riferimento, di comunicare i loro messaggi pubblicitari in maniera più efficace. Come? Senza addentrarsi in tecnicismi, al centro del progetto ci sono una data management platform (DMP) e un ad server in grado di segmentare i diversi utenti sulla base del loro comportamento online offrendo l’opportunità agli inserzionisti di identificare e mostrare messaggi pubblicitari anche a gruppi di utenti molto specifici quali, ad esempio, i viaggiatori frequenti.

Singolare il fatto che, dal punto vista tecnologico, a Pangaea Alliance partecipi indirettamente anche il Wall Street Journal, il cui gruppo di riferimento – la News Corp – detiene il 13,7% delle azione di Rubicon Project, realtà alla base del marketplace che mette in relazione editori e inserzionisti.

E’ bene sottolineare come Pangaea Alliance non sostituisce i canali ad oggi utilizzati per la diffusione dei messaggi pubblicitari (che restano in gran parte gestiti in maniera autonoma da ogni singola testata), quanto completa l’offerta con una modalità trasversale che punta sulla qualità dei contenuti che andranno ad affiancarsi ai messaggi pubblicitari.

Un progetto analogo con protagonisti il New York Times, il Tribune e i gruppi editoriali Hearst e Gannett – chiamato quadrantONE – seppur nato in un contesto differente, dopo cinque anni di attività, nel febbraio 2013 è stato abbandonato.

In un panorama complicato come quello della stampa, risulta difficile pronosticare, nonostante le testate di primissimo piano coinvolte, se Pangeaea Alliance, dopo la fase di test, sarà in grado di proporsi in maniera agguerrita nel sempre più fluido mercato pubblicitario.

Ciò da cui per i giornali pare impossibile prescindere per sopravvivere, è in ogni caso l’aspetto legato agli investimenti in tecnologia, fattore sempre più discriminante per il successo di un progetto editoriale.

Star Touch, quando il tablet vince sul paywall

Recentemente il Financial Times ha “aperto” per un giorno i contenuti del sito dando modo anche ai non abbonati di fruire del materiale informativo della testata.
Nei mesi scorsi anche il Sun e il New York Times hanno almeno parzialmente rivisto la loro strategia in Rete, diminuendo i vincoli per i lettori che arrivano agli articoli dalla condivisione di link attraverso i social media.

Tali iniziative hanno inevitabilmente rimesso al centro dalla discussione tra giornalisti e addetti ai lavori nell’ambito digital, il paywall, il sistema che consente di leggere un numero massimo di articoli gratuiti al mese, barriera strategicamente utilizzata da molti giornali per incentivare gli utenti a sottoscrivere un abbonamento.

Nei mesi scorsi, in un articolo del blog, mi sono soffermato sulla manovra “in retromarcia” effettuata dal primo quotidiano canadese, il Toronto Star che, forte della propria leadership, dapprima ha attivato un paywall salvo poi, alla luce di risultati non soddisfacenti, disconoscere la scelta fatta e tornare a una consultazione gratuita dei contenuti.

In realtà, come già accennavo nella parte finale del post dello scorso aprile, i vertici del giornale non sono tornati esattamente al punto di partenza. L’abbandono del paywall è infatti coinciso con lo sviluppo di una innovativa applicazione (per ora solo disponibile per iPad) lanciata ufficialmente il 15 settembre. Un impegno notevole per la testata che per il progetto, oltre a stanziare un considerevole budget, ha anche reclutato un centinaio di professionisti tra giornalisti, reporter, graphic designer ed esperti di multimedia.

Incuriosito, ho da alcuni giorni installato la app e devo riconoscere che, tra gli applicativi legati al mondo della stampa che avuto modo di provare direttamente, Star Touch – questo il nome della app – risulta a mio parere uno dei più originali e riusciti.

startouch_1

Una volta effettuato il download ho usato il mio ID Apple per entrare nell’edizione quotidiana del giornale (disponibile della 5:30 del mattino, sui 50 MB di peso). La navigazione tra i contenuti è davvero semplice e intuitiva: la pagina iniziale presenta 4 notizie (al centro il pezzo principale che nel caso del mio primo test riguardava la vittoria in Texas della squadra di baseball dei Toronto Blue Jays), organizzate in 3 colonne. Per procedere nella lettura è sufficiente, un po’ come su Flipboard, scorrere l’indice da destra a sinistra. Nella pagina, l’articolo è mostrato in una colonna a sviluppo verticale ed è posizionato sopra l’immagine di alcuni giocatori festanti alla fine del match (se, tenendo fisso il pollice, allargo l’indice sulla foto di sfondo, questa si ingrandisce a tutta pagina). Il testo di tanto in tanto è spezzato da citazioni esplicative in grassetto su sfondo colorato e, anche per questo, risulta molto leggibile. Sulla destra, la foto dell’autore dell’articolo che, al click, mostra la biografia del giornalista, il suo account Twitter e un form che, configurato con il proprio indirizzo email, consente di scrivere un messaggio a chi ha firmato l’articolo.

startouch_2
La pagina seguente è un’inserzione a tutto schermo: interessante notare come il contenuto non sia statico ma permetta di interagire visualizzando 5 diversi prodotti (in una sorta di slideshow) e di visitare i relativi minisite (che si aprono a pop-up).
Continuando nella navigazione, ho trovato altri spazi pubblicitari di differenti formati che, se affiancati agli articoli, restano fissi non seguendo il testo nel suo scorrimento.
Da segnalare anche la pagina dedicata alla campagna elettorale per le elezioni federali: la schermata è composta da una galleria di 10 immagini disposte in due righe che sintetizza i momenti recenti più caldi della scena politica canadese.

startouch_3

Ovunque ci si trovi è possibile, cliccando in alto sul logo della testata, capire a che punto del giornale si è e scorrere, in una carrellata orizzontale, le notizie precedenti e successive. In alto sulla sinistra, invece, affianco al logo per la condivisione dei contenuti, è riconoscibile l’icona delle live news, aggiornamenti rispetto a quanto si sta sfogliando i cui alert possono essere personalizzati sulla base di 4 tematiche (sport, business, entertainment e weather).

Più che piacevole risulta sfogliare le pagine per leggere i contenuti, ascoltare audio (bello il contributo sull’influenza di Shakespeare nella musica che permette di ascoltare brevi clip di differenti artisti), visualizzare foto, video o mappe.

startouch_4

Non si tratta insomma della replica del quotidiano a stampa quanto piuttosto di materiale pensato e organizzato proprio per l’applicazione, in virtù di un approccio redazionale che scommette su storytelling, interattività e multimedialità.

Persa la sfida legata al paywall, il giornale ha deciso di puntare sull’allargamento della base di lettori più che sugli abbonamenti con il duplice ambizioso obiettivo di attirare l’interesse del pubblico giovane e di tornare a crescere sul versante introiti dall’advertising.