Gigaom e l’integrità del giornalismo online

Img: about.me/gigaom

Tra gli addetti ai lavori – ma anche tra i semplici appassionati di tecnologia – ha fatto un certo scalpore leggere lo striminzito annuncio tramite il quale Gigaom ha ufficialmente informato di aver cessato, in mancanza di denaro per pagare i creditori, la propria attività. Fondato nel 2006 da Om Malik – ex giornalista di Forbes – il blog, raccontando l’ascesa delle società in orbita Silicon Valley, è riuscito nel giro di pochi anni ad accreditarsi nel panorama informativo legato alle nuove tecnologie superando la ragguardevole cifra dei 6,5 milioni di lettori unici al mese.
A inizio 2012, lo spazio, diventato nel frattempo a tutti gli effetti una media company (anche in virtù dei 15 milioni di capitale stanziati da vari investitori), acquisisce dal Guardian News Media, ContentNext, società che controlla alcuni siti tra i quali spicca paidContent, spazio specializzato nell’analisi della sfera digitale legata ai media. Un affare, questo, che consolida la posizione di Gigaom anche nei confronti degli agguerriti siti “rivali” che, con l’acquisto da parte di AOL di TechCrunch e di ReadWriteWeb ad opera di SAY Media, dimostrarono la vitalità del settore informativo legato alle nuove tecnologie.

Gigaom, in realtà, non è (era?) però solo news: è diventata anche un laboratorio di ricerca con un network di oltre 200 analisti indipendenti (Gigaom Research) e una realtà che organizza eventi sui trend emergenti (Gigaom Events) quali, ad esempio, focus sulla cosiddetta “internet delle cose”, la tecnologia cloud o gli aspetti strategici dell’utilizzo dei metadata. Una società, dunque, apparentemente più che valida. Soprattutto alla luce del nuovo finanziamento (8 milioni di dollari) che a inizio 2014 era sembrato certificare la bontà del progetto di Malik (Malik che, in concomitanza con il sopracitato finanziamento, decide però di lasciare il timone della società).

Molti tra gli addetti ai lavori, commentando quanto accaduto, hanno sottolineato come Gigaom fosse, all’interno del comparto informativo, uno spazio che con orgoglio rivendicava l’avversione nei confronti del clickbait, la pratica che consiste nel pubblicare contenuti di dubbia qualità finalizzati esclusivamente a generare click e, quindi, almeno potenzialmente, maggiori entrate pubblicitarie. Focalizzando il lavoro della redazione sull’aspetto più giornalistico (piuttosto che, parole di Malik, “pregare all’altare di pageview e metriche pubblicitarie che non fanno altro che svalutare il tempo e l’attenzione del pubblico di lettori”), la testata ha evitato il ricorso alle forme pubblicitarie più “invasive” nei confronti degli utenti quali il native advertising, gli auto-play video o gli overlay.

Fine di un sogno? O di un modello di giornalismo (quello del free-for-all)?

E’ il giornalismo la via d’uscita dalla crisi del giornalismo

Mentre scrivevo News(paper) Revolution mi sono spesso imbattuto in richiami al testo Giornalismo e nuovi media di Sergio Maistrello. Per paura di esserne troppo influenzato, per non perdere di vista il personalissimo percorso che avevo deciso di intraprendere, mi limitai ad aggiungere il libro alla mia lista dei desideri rimandando la sua lettura alla fine del mio lavoro. E così, ora che anche la mia opera prima “in solitaria” è sugli scaffali, ho potuto godermi appieno il libro (scoprendo, tra l’altro, una inconsapevole somiglianza nel sottotitolo tra il mio lavoro e quello di Maistrello). Giornalismo e nuovi media è davvero ben scritto e pensato, uno di quei libri che, seppur non recentissimi (datato 2010), ti senti di consigliare a chiunque sia appassionato di comunicazione e nuovi media. L’approccio, partendo dal racconto di alcune testimonianze di “semplici” utenti diventate nella Rete notizie condivise e riprese anche dai media tradizionali, pone l’accento sulla metamorfosi in atto non solo nel mondo dell’informazione, ma della cultura, della politica e del mercato della quale siamo testimoni. Grazie a Internet ciascuno di noi non deve più sottostare a un palinsesto ma è libero di creare, esplorare, rielaborare: l’organizzazione dei contenuti diventa reticolare e a misura di individuo. Proprio sull’aspetto delle interazioni sociali che la Rete permette, il testo si concentra molto: siamo nodi che condividono sapere e che si raggruppano in base ad interessi. In questo contesto, come si configura il giornalismo? I giornalisti che ora non possiedono più alcuna esclusiva, come interagiscono con gli altri anelli della catena di produzione del senso?

Non svelo di più altrimenti rovinerei la lettura a chi ancora non abbia letto il libro di Maistrello che, dopo aver presentato alcuni degli strumenti del “cittadino digitale”, analizza gli aspetti sociologici della Rete e le implicazioni sull’industria giornalistica, finendo in bellezza con un capitolo – il decimo – tutto dedicato ai casi di successo che hanno ben saputo interpretare la sfida lanciata dal Web.

I testi ovviamente hanno punti in comune ma, nonostante i miei timori, approfondiscono il tema del rapporto informazione-web da due prospettive differenti, risultando alla fine complementari (e quindi entrambi consigliati, sicuramente Giornalismo e nuovi media apparirà nella bibliografia di un’eventuale ristampa del mio libro)… buona lettura!

ps: spoil, il titolo del post è la frase finale del libro, sorry!

[ci provo] Promuovere un libro con Storify

Nei ritagli di tempo, da un po’ di mesi a questa parte, sto lavorando a un mio progetto editoriale legato al mondo del giornalismo online. Si tratta di un saggio sulle modalità di approccio alla Rete dei quotidiani, su alcuni dei tratti distintivi del Web (multimedialità, ipertestualità, interattività…) e sul modo con il quale questi vengano sfruttati per diffondere le notizie. Nessuna ambizione di riuscire a “imbrigliare” un mondo – quello online – sempre in continuo mutamento e sviluppo, quanto piuttosto una riflessione su quanto oggi c’è e ha cambiato il modo di comunicare. L’idea mi accompagna da anni, da quando, al termine del mio percorso di studi, iniziai con la tesi ad approfondire l’approccio giornalistico “telematico”. Termine quest’ultimo che oggi, al tempo dei social network, fa quasi tenerezza, ma che all’epoca, rappresentava, almeno per il sottoscritto, un mondo pieno di nuove sfide, di nuovi strumenti, di nuove possibilità. Quelle i cui sviluppi ho tentato di seguire e di mettere nero su bianco prima che tutto venga nuovamente rivoluzionato.
L’editore (persona disponibilissima e che non posso che ringraziare) mi ha però suggerito una sorta di coprifuoco attorno al libro, almeno sino a quando questo non sarà in procinto di essere sugli scaffali (gennaio 2013?). Per cui, negli ultimi giorni, mi sono arrovellato nel tentativo di individuare un metodo per “ingolosire” gli (spero numerosi) interessati all’argomento, senza però svelare troppo.
E così ho deciso di mettere in pratica parte di ciò che ho raccontato, utilizzando uno degli strumenti che ho segnalato a supporto del giornalismo: Storify. Non potendo mostrare ancora nulla del testo, ho preso un bel numero di note (in sostanza link) e le ho raccolte in un flusso di post reso pubblico. Qualcosa di volutamente semplice, un primo passo non troppo elaborato (che, mi rendo conto al momento non sfrutta appieno le potenzialità del servizio), che credo però possa fungere da anteprima rispetto agli spunti individuati nel corso della mia analisi. Chiunque sia interessato, abbia suggerimenti o curiosità non esiti a scrivermi [le mail è sulla pagina about], a presto per nuovi dettagli, stay tuned!

[update: ecco un’anteprima della quarta di copertina …e #nepare hashtag ufficiale]