Fopping.com, l’e-commerce si veste di social…

Non chiedetemi come ma non molto tempo fa mi sono imbattuto in un marketplace indiano davvero particolare. Si tratta di Fopping.com uno shop online a suo modo geniale. Perché? Offre agli utenti capi di abbigliamento, calzature e accessori a prezzi competitivi con la possibilità di ulteriori ribassi: basta, una volta selezionato ciò che ci interessa, condividere il link al prodotto su Facebook o Twitter guadagnando così dei Fopps, monete virtuali da utilizzare per ottenere un prezzo ancora più conveniente. Visibilità nei canali social in cambio di sconti che, per alcuni prodotti (pochi per la verità), possono anche arrivare sino al 50% della cifra inizialmente proposta (tra l’altro proprio a fine mese si concluderà all’interno di Fopping.com un contest che mette in palio un’Harley 883 per chi arrivi ad accumulare almeno 15.000 Fopps).

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=hzrOXb8aUbI&w=440&h=360]

L’idea alla base del servizio mi pare ottima (anche se, per esempio, una volta ottenuto lo sconto ho cancellato il tweet con il quale avevo condiviso il prodotto di mio interesse pur conservando i Fopps) e potrebbe rappresentare una sorta di avanguardia per quel che concerne il cosiddetto social commerce, acquisti in un ambiente che permette di interagire direttamente o indirettamente con il proprio network ottenendo magari anche quale beneficio. Il futuro è già qui?

Timeline dentro e fuori Facebook

La Timeline è considerata da molti tra gli addetti ai lavori una delle più salienti novità sinora realizzate (e pubblicamente diffuse) dal colosso Facebook. Il nostro nuovo diario ha rivoluzionato il profilo di milioni di utenti generando commenti entusiastici e feroci critiche. Ma da dove nasce l’idea della timeline? Uno dei primi esperimenti commercialmente diffusi risale al 2004 quando Nokia lanciò il progetto Lifeblog, una sorta di diario multimediale (con relativo strumento di gestione dei contenuti per PC) in grado di raccogliere foto, video, suoni, sms e mms creati attraverso il cellulare organizzandoli in base a informazioni quali ora, luogo, tag, descrizione e rendendo i vari contenuti ricercabili. Grazie all’applicazione per computer l’utente poteva inviare a servizi quali LifeLogger, TypePad, LiveJournal e Flickr i propri contenuti.

Il passo successivo, alcuni anni dopo, viene sintetizzato in maniera impeccabile da Paul Buccheit, uno dei fondatori di FriendFeed il servizio poi acquisito da Facebook nel 2009: “FriendFeed is trying to go beyond simply aggregating to actually creating a pleasant social experience around the content.” Credo sia proprio questa la chiave di lettura della timeline: superare il concetto del semplice “hub di status” per proporre i contenuti degli utenti in una veste più social e più facilmente consultabile. Ecco allora la copertina per personalizzare al meglio il nostro spazio, la possibilità di mettere in evidenza i post più popolari, le foto di avvenimenti importanti, le applicazioni più utilizzate.

Ma forse non tutti sanno che il concetto di timeline è stato sviluppato non solo da Facebook e dalla Nokia. Due delle più note alternative all’ultima novità del social network firmato Zuckerberg sono Memolane e Timekiwi.

La prima è una start-up che punta ad essere a superare Facebook in virtù della possibilità di organizzare in una semplice ed elegante timeline non solo post ma molteplici servizi che vanno da Twitter a SoundCloud, da Tripit a Picasa. Il bordo orizzontale in basso della pagina diventa una sorta di righello temporale che si può scorrere visualizzando i vari contenuti organizzati – sviluppo verticale a cascata – per giorno per giorno.

La seconda è invece balzata ultimamente agli onori della cronaca per essere stata acquisita da Overblog (la piattaforma europea più diffusa per aprire blog gratuitamente) e offre la possibilità di creare con semplicità ed immediatezza (non serve registrarsi, basta accedere con il proprio profilo Twitter o Facebook) una timeline intuitiva capace di raccogliere in un unico spazio i più noti social network. Lo sviluppo dello strumento in ottica blog mi pare di notevole interesse, non ci resta che attendere per scoprire quali ulteriori novità proporrà lo sviluppo nell’organizzazione dei nostri contenuti multimediali online secondo l’asse temporale.

Tommy Hilfiger: in preppy we trust

Lo scorso lunedì ho avuto il piacere di partecipare all’evento Find your Preppy Pin with Tommy Hilfiger TH 1090/S, serata nella quale sono stati presentati i nuovi occhiali unisex, geometrici, di “tendenza Eighties”, realizzati per la griffe da Safilo.

La particolarità degli occhiali – oltre la leggerezza e la struttura su aste iniettate senza anima metallica che se scaldate si possono piegare per farle aderire meglio alle nostre forme – sono appunto delle pin, una sorta di spillette magnetiche che, posizionate sul simbolino Tommy nell’asticella vicino alle lenti, consentono di rendere personalizzare l’occhiale. Quattro le varianti: il fenicottero rosa per uno stile glamour, lo stemma Hilfiger per stile sport-chic, i mini occhiali da sole per uno stile scanzonatamente ironico e il teschio (da subito la mia pin preferita) per uno stile rock anticonformista.

Ma esattamente cos’è lo stile preppy? Il termine (letteralmente: figlio di papà) nasce in America negli anni Cinquanta e viene associato ai giovani che frequentano i college privati. La cultura preppy nel corso degli anni è diventata sinonimo di uniformi, pantaloni e camicie a strisce, stemmi, motti latini, scherzi goliardici, Country Club e feste in piscina, un’identità che ancora oggi continua a ispirare la moda. Anche online.

Sì perché andando nella pagina facebook di Tommy Hilfiger e cliccando sull’applicazione The preppy point of view si possono indossare virtualmente gli occhiali grazie alla realtà aumentata. Come? Semplicissimo! Basta diventare fan del brand (mettendo like alla pagina), scaricare un plug-in, accendere la webcam, centrare il proprio volto e poi scegliere gli occhiali preferiti che appariranno sull’immagine riflessa sullo schermo (sarà poi possibile scattare una foto e condividerla con gli amici).

Bellissimi gli occhiali, originale lo stile preppy (sportivo, vintage ma comunque elegante) e molto simpatica l’applicazione facebook. Grazie Tommy!

Le lezioni di Schweppes per migliorare l’appeal della propria voce

Uno dei miei sogni nel cassetto è quello di diventare un doppiatore. Ho sempre pensato che doppiare un film fosse, facendolo bene, in fondo come recitare. Solo, dietro un microfono. Certo dovrei seguire un po’ di lezioni di dizione, ad oggi forse mi potrei proporre solo per il ruolo di voce di Carl Carlson dei Simpons.
Ma fortunatamente ho trovato online qualcosa che può aiutarmi a fare un po’ di pratica. Si tratta dell’applicazione facebook Improve your Schweppes appeal. Una divertente serie di lezioni per migliorare il fascino della propria voce e attirare le persone come “api al miele”.
Accesa la webcam e attivato il microfono bisognerà dimostrare passione e tecnica per superare brillantemente i tre livelli (oltre il test iniziale) che portano al fatidico punteggio finale. Le prove sono più complicate di quanto sembrino all’apparenza. Per carità nulla di impossibile ma si vuole puntare ad una alta percentuale complessiva occorre porre molta attenzione a tono e ritmo della propria parlata.
Al countdown infatti dovremmo ripetere la frase il nostro “mentore” – Guy Gadbois – facendo in modo che la vostra voce segua quanto più possibile i grafici indicati.

La prima delle tre prove per quanto mi riguarda risulta la più ostica, quella che più pregiudica il mio risultato finale. Mi incarto sempre nella parte iniziale della frase e finisco per guadagnarmi un bel “deprimente” (non esattamente la sensualità del rumore dello stappo di una bottiglietta Schweppes).
Ma poi mi riprendo e nonostante tutto alla fine bene o male riesco comunque a diventare la secondo persona più Schweppesy del mondo. Almeno secondo il mio insegnate (mi pare quasi di dover doppiare Il discorso del re, ecco qui sotto il video introduttivo dell’iniziativa).

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=nFYyKyZ7Olo&w=440&h=390]

Un’applicazione simpatica con la quale giocare a sfidare i propri amici e scoprire in che misura la nostra voce possa essere considerata un’arma di seduzione. Personalmente al primo tentativo ho raggiunto quota 58%, vetta superata di pochissimo (59%) nonostante i successivi tentativi. E voi?

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Altra riflessione sulla teoria dei mille veri fan…

In occasione del Social Business Forum, nella sessione pomeridiana, è continuato un interessantissimo confronto iniziato dalla riflessione di minimarketing che, alla vigilia dell’incontro, si chiedeva se non fosse ancora valida la teoria secondo la quale sono sufficienti 1.000 fan “veri” piuttosto che cifre enormi di utenti inerti-inutili-indifferenti e se quindi la metrica “delle masse di spettatori” non venisse in qualche modo superata negli ambienti sociali a rete (spero di aver colto nel segno, ecco comunque qui il link dal quale leggere per intero il post di Gianluca).

Al Social Business Forum ero solo spettatore ma tenterò comunque di dare una mia risposta. E lo farò basandomi su due ricerche che ho recentemente letto che ben riassumono l’idea che in questi anni mi sono fatto.
Partiamo dal presupposto che avere 1000 fan tutti pronti a “fare qualcosa per noi” è indubbiamente un traguardo più che considerevole. Ma a mio modo di vedere per avere quella cifra di fan attivi occorre averne in realtà molto di più. Perchè? Perchè, banalmente, gli utenti non hanno tutti la stessa modalità di fruizione dei contenuti e perchè non tutti per dimostrare il loro interesse verso un contenuto interagiscono. E’ in qualche modo fisiologico che vi siano utenti attivi, meno attivi, per nulla attivi.

E qui mi viene in aiuto uno studio recentemente pubblicato dal WOMMA:

There is a 100/10/1 “rule of thumb” with socail services. 1% will create content, 10% will engage with it, and 100% will consume it” Fred Wilson

Ora, tralasciando per un attimo le percentuali, il concetto che mi sembra interessante è quello che la stragrande maggioranza di persone normalmente non partecipa attivamente alle conversazioni ma si limita a osservarle. Anche perchè ci sono strumenti – Twitter e Tumblr su tutti – che rendono possibile la fruizione dei contenuti senze necessità di log-in.
Quindi, in sostanza, se la teoria di sopra dovesse essere esatta, dati 1.000 fan che con un brand interagiscono, quelli totali dovrebbero essere 10.000 (una semplice proporzione: 100*1000/10).

Altra ricerca, stavolta decisamente più bizzarra ma che comunque può servire come spunto di riflessione. Una società chiamata Hitwise ha recentemente pubblicato uno studio in base al quale 1 fan di Facebook corrisponda a 20 visite addizionali al sito del brand:

The figure of 1 fan = 20 extra visits to a website uses a unique methodology that combines Hitwise data with data from social media experts Techlightenment. We took the top 100 retailers ranked in the Hitwise Shopping and Classifieds category and benchmarked visits to those website against the number of fans those brands had on their Facebook page. We then also looked at the propensity for people to search for those retail brands after a visit to Facebook using our Search Sequence tool…

Mi rendo conto di come la teoria, pur basata su “osservazioni empiriche” sia forse difficile da sostere ma anche in questo caso il punto focale mi pare un altro: e se anche i fan “latenti” (o almeno parte di essi) avessero una loro importanza strategica al di fuori del mondo social? Penso alla mia esperienza. Su facebook seguo pochi band e alcune celebrità. Una di queste è Kevin Spacey. In questa pagina, lo ammetto, sono all’apparenza forse “inutile” come direbbe Gianluca: non commento, non metto like, non faccio lo share. Ma leggo. E se qualcosa mi interessa – la partecipazione a un nuovo film o a una nuova opera teatrale – magari cerco di approfondire. E alle volte lo faccio fuori da facebook che mi serve solo come “spunto”.

I social media si basano su persone, su rapporti anche se virtuali. Ma come nella vita “reale” ognuno ha una propria inclinazione: chi sarà più propenso a proporre contenuti, chi a commentarli, chi a controbattere, chi semplicemente ad ascoltare. Anche perchè non si tratta di posizioni “assolute”: un “vero fan” dopo un disguido potrebbe oscurasi. O peggio smettere di essere fan. Così come un utente “passivo” potrebbe di colpo svegliarsi interagendo in maniera continuativa.

Concludo: il vero problema non è a mio parere il numero di fan (più alto il numero di fan, più alto il numero di “veri fan”, no?) che sicuramente non deve essere il solo e unico metro di giudizio. Occorre comprendere piuttosto quanto sia importante lavorare sul cosiddetto interaction rate e quanto possa essere proficuo impegnarsi perchè il rapporto utenti/utenti attivi sia sempre migliore. E’ lo scambio – a più livelli – che rende costruttive le conversazioni. La provocazione ci sta ma non mi scaglierei contro il miraggio dei milioni di fan. Brand come adidas, Vodafone, o Kia non possono accontentarsi di 1000 fan “veri”. Devono puntare a numeri ben più grandi mettendosi in gioco e utilizzando gli strumenti per fare in modo che tutti partecipino attivamente. Con un unico obiettivo: che tutti i consumatori diventino “veri fan”.

Il fenomeno Facebook, dal libro alle sale

Appena saputo dell’uscita anche in Italia del film The Social Network sono corso in libreria ad acquistare il testo di Ben Mezrich alla base della pellicola. Si tratta di Miliardari per caso opera che tenta di ricostruire la genesi di Facebook, dalla stanzetta di uno studentato ad Harvard al successo planetario di una piattaforma – quella ideata da Mark Zuckerberg – che ha cambiato il concetto stesso di Internet. Il libro è una lettura appassionante (finito in poco più di una settimana), una via di mezzo tra una biografia non autorizzata, un romanzo di appendice e un favola che racconta la consacrazione di Mark a un nuovo eroe “digitale”. Una storia che in poche pagine affronta – con un ritmo incalzante – temi quali amicizia, ambizione, genio, sregolatezza, invidia, tradimento e successo, sintetizzando perfettamente molti dei “lati” che contraddistinguono i nostri comportamenti sociali e quindi, in ultimo analisi, noi stessi.
Per capire da dove nasca la rivoluzione forse occorre però fare un passo indietro e spendere due parole sull’organizzazione della vita dei college: al mattino gli studenti seguono le lezioni (il percorso di studi può variare moltissimo da studente a studente, difficile conoscere tutti i compagni dei diversi corsi) e, una volta terminate le lezioni, possono tornare nei loro alloggi, vedersi con gli amici o partecipare agli eventi che offrono i vari “circoli” dei quali fanno parte, gruppi di studenti i più famosi dei quali molto esclusivi (i membri vengono selezionati con “cura” e devono poi superare varie prove per essere ammessi in maniera definitiva) che garantiscono agli “associati” feste, ragazze, fama e aiuto in caso di bisogno. Ma perché non dare a tutti la possibilità di conoscere con immediatezza le persone con le quali si entra in contatto, condividendo con loro i propri gusti, piuttosto che il proprio stato sentimentale, semplificando così di molto la costruzione di una rete sociale e sintetizzandola in un click? Fine dell’oligarchia.
Il libro racconta tutto questo attraverso l’epopea di Zuckerberg che, da nerd in felpa a cappuccio e infradito si trasforma nel CEO di una delle più grosse società del web diventando, nel giro di pochissimi anni, il più giovane miliardario del pianeta.
La versione cinematografica prende spunto dal libro ma in parte trasforma le vicende adattandole al linguaggio tipico dei film: rispetto al testo si punta quasi esclusivamente sulla figura di Mark (Mark vs resto del mondo potrebbe essere il sottotitolo della pellicola) e sul suo egoismo che lo identifica come un ragazzo scaltro quanto “stronzo”. E solo, quasi incapace di mantenere dei rapporti con le altre persone (pare sentirsi a proprio agio solo di fronte allo schermo di un computer). Un ragazzo al quale forse viene chiesto di crescere troppo in fretta ma verso il quale però non si può non provare – almeno guardando il film – simpatia e tenerezza.
Libro e film mi sono entrambi piaciuti ma se dovessi fare il gioco della Torre, sceglierei il testo rispetto alla pellicola, più verosimile (e forse per questo meno “leggero”) e maggiormente in grado di dare un’idea di come siano andate le cose (anche se, non esseondo un ricostruzione ufficiale, molti punti restano al meno in parte oscuri). Attori comunque bravi a calarsi nei diversi ruoli, regia – quella di David Fincher – e sceneggiatura – di Aaron Sorkin – che sono una garanzia e musiche di Trent Raznor che fanno da sfondo a una pellicola che ripercorre, con simpatia (strizzando l’occhio al mondo teen), i retroscena della nascita di Facebook, ormai sdoganato a “fenomeno di massa”.

Lista dei desideri 2009: Save this post

Con l’avvicinarsi del Natale torno a proporre – come lo scorso anno – la Lista dei Desideri by Save the Children, l’innovativa soluzione di regalo virtuale e solidale con la quale dare il proprio piccolo-grande contributo per garantire educazione di qualità, per costruire asili comunitari e per migliorare la salute e la nutrizione di bambini dei paesi nei quali di certo le festività non fanno rima con la parola consumismo (qui di fianco l’immagine del nuovo simpatico video circa l’iniziativa).
Come reagirebbero le persone a noi più vicine se ricevessero davvero in regalo uno Yak, 40 polli o magari 100 vaccini? Forse non ne sarebbero entusiaste, l’esatto contrario di quello che proverebbero i bambini che vivono in paesi poveri o in via di sviluppo per i quali questi regali significano la vita stessa.
Nella Lista dei Desideri – per chi ancora non la conoscesse – ci sono regali per tutte le tasche, da 10 a oltre 1.000 euro: da un cesto di cibo (14 euro) a una bicicletta (43 euro), da un vaccino (15 euro) a dei filtri per l’acqua (57 euro). Un modo utile e intelligente per trasformare i regali da futili a utili, aiutando realmente a migliorare la vita di migliaia di bambini. Doni che rendono felici noi, i nostri cari a cui sono rivolti e soprattutto i bambini nei paesi in via di sviluppo.
Per tutti i donatori che acquisteranno un regalo sulla Lista dei Desideri, tra le altre cose, c’è la possibilità di accedere ad un’applicazione che permetterà di prestare il proprio volto e posare insieme al simbolo nonché primo testimonial della campagna, lo Yak, di stampare lo scatto o di condividerlo su Facebook.
Sempre su Facebook è anche possibile compilare un test a cura di Save the Children dal titolo “Scopri il regalo che fa per te”.

Per maggiori info:

http://desideri.savethechildren.it
http://www.facebook.com/savethechildrenitalia
http://twitter.com/SaveChildrenIT
http://www.youtube.com/user/savethechildrenIT

Io, Gavin, i Fiberoctopus e il web 2.0

fiberoctopus[Avviso ai lettori, questo post è autocelebrativo]

Tempo fa – ormai più di tre anni orsono – mi sono imbattuto nel sito di un gruppo di San Diego mai sentito prima di allora, i Fiberoctopus. Mi sono piaciuti da subito, il loro sound malinco-elettronico è stato capace di rapirmi sin dalle prime note e così, in pochi giorni canzoni come Wet Match, She was my hostage, Waiting in heaven e When you dream sono diventati i miei personali tormentoni, canzoni che ascoltavo in loop per ore. Tanto mi ero appassionato alla band che ho (ben) pensato di creare un gruppo su Facebook per tentare di farli conoscere anche ai miei contatti diffondendo così il loro indie-pensiero. Dopo alcuni mesi il gruppo continuava però ad essere formato da pochissime persone (che avevo “pressato”) e così, non senza sconforto, in qualità di ammistratore, decisi di cancellarlo optando per una più pagina più sobria pagina “diventa fan”.
Pochi giorni fa, con mia somma sorpresa/orgoglio, ho ricevuto un messaggio dal frontman della band – Gavin – nel quale mi ringrazia per aver cercato di diffondere la musica dei Fiberoctopus e mi chiede di poter diventare anch’egli amministatore per poter così aggiornare e rendere più accattivante il frutto della mia passione. Pazzesco no? Il leader della band che chiede al sottoscritto di diventare amministratore della sezione fan su Facebook relativa al proprio gruppo, surreale, hi hi.
Dopo due giori di suspance (non potevo dargliela vinta subito, l’occasione era troppo ghiotta), l’ho accettato a bordo, convincendolo anche ad aprire un account su Twitter (oltre a Myspace già attivo) con il quale restare in costante contatto con la band.
Per la serie: “Dio benedica i social network”. E ovviamete anche la musica dei Fiberoctopus.