Il Los Angeles Times e il mobile first design

Img: digiday.com

Lo scorso 6 maggio la versione online del Los Angeles Times ha cambiato pelle. Non si è trattato di un semplice aggiustamento grafico (l’ultimo sostanzioso restyling risaliva al 2009) quanto di un vero e proprio cambiamento di prospettiva. Il nuovo spazio del quotidiano del gruppo Tribune & Co., infatti, ha deciso di scommettere sul mobile, ripensando il proprio spazio web per fare in modo che le informazioni veicolate possano essere fruite in maniera semplice e completa da ogni piattaforma, con un particolare riguardo per coloro i quali si informano tramite smartphone e tablet.
Se ad oggi questi utenti non rappresentano ancora la maggioranza dei lettori, è pur vero che la percentuale di chi consuma news da dispositivi mobili è in crescita costante. Che il mobile first rappresenti il passo successivo al digital first già adottato da alcune testate giornalistiche? Sicuramente si tratta di una scelta lungimirante che però comporta un quasi totale ripensamento dell’esperienza informativa. In realtà, nel caso del latimes.com, non si tratta di un cambiamento radicale quanto dell’inizio di un percorso di sviluppo che mette al centro la dinamicità dei nuovi device (sempre in evoluzione) piuttosto che la maturità forse ormai acquisita del classico personal computer.

In questo senso, esemplificativo del nuovo approccio della testata, è la possibilità di navigazione “visuale” (basta cliccare, in alto a sinistra, su “Visual Browse”) dei contenuti pensata appositamente per dispositivi in mobilità: i titoli quasi spariscono lasciando spazio alle immagini che sintetizzano i diversi contenuti navigabili – sullo stile di Flipboard – sia scorrendo la pagina che spostandosi orizzontalmente tra i contenuti.

Anche la scelta di optare per un menu laterale sempre visibile e che, cliccata una voce, mostra le relative sottosezioni, rende l’accesso alle notizie molto veloce e intuitivo. Da segnalare anche la sintesi (alle volte disponibile anche in più versioni) di ogni articolo che consente la condivisione – su Twitter o Facebook – davvero rapidissima: non si tratta della banale ripetizione del titolo, quanto piuttosto di un sunto di pochi caratteri che rappresenta una valida alternativa agli improbabili status con link lunghissimi che contengono simboli non di uso comune, che alle volte vengono proposti in alcuni siti informativi.

Altri due aspetti di sicuro interesse sono: l’unico scroll che non presenta più un solo articolo anche ma anche tanti altri contenuti (in sostanza non esiste più la paginetta contenente una sola notizia) in un unico flusso informativo e, in secondo luogo, “Neighborhoods”, la voce che, dalla sezione “Local” della homepage, permette di visualizzare una mappa dei diversi quartieri di Los Angeles cliccando i quali è possibile scegliere una particolare comunità non solo per leggerne le notizie correlate (dalle breaking news alle recensioni dei ristoranti, un’opportunità per lettori e inserzionisti) ma anche per verificare lo status della zona selezionata sulla base di 3 parametri (2 legati al crimine e 1 al ranking delle scuole) identificati come unità di misura.

Per i primi tre giorni dalla messa online, il sito è stato visibile completamente e senza limiti (anche il Los Angeles Times adotta la formula del paywall) di modo che chiunque potesse visionare le novità del giornale. Questa sorta di anteprima “trasversale” è stata possibile grazie alla sponsorizzazione della compagnia aerea Etihad Airways.

I pareri sulla nuova versione del Los Angeles Times sono piuttosto contrastanti (molte le critiche soprattutto per la parte dedicata ai commenti, non visibilissima di lato a metà articolo che non permette di scrivere avendo la notizia sotto gli occhi e che, quindi, pare disincentivare l’interazione piuttosto che promuoverla) ma la scommessa del puntare sul mobile non sembra del tutto azzardata. Resta da capire se nel breve questa sia la scelta più azzeccata.

Il sito, secondo gli ultimi dati di ComScore, a marzo ha incrementato il proprio numero di visitatori online del 30% rispetto allo stesso mese dello scorso anno ma la redazione cartacea continua a soffrire e si prospettano nuovi tagli al personale dopo i licenziamenti della scorsa estate.

Camparisoda “vola” sul Fuorisalone

Anche quest’anno ho risposto con molto entusiasmo all’invito di Campari per quella che è ormai la classica anteprima al Fuorisalone: il Camparitivo in Triennale. Appuntamento reso ancora più sentito visti gli 80 anni che Camparisoda festeggia: l’esordio nel mercato italiano del primo prodotto monodose, perfetto mix di Campari e seltz, dalla bottiglietta a calice rovesciato by Depero risale infatti al 1932.
E oggi come allora Campari è sinonimo di un interessantissimo connubio tra arte e largo consumo. Dalla Design Week milanese del 2009 prosegue infatti la collaborazione tra il brand e Matteo Ragni che quest’anno si articola – giusto per mantenere un linguaggio vicino all’architettura – secondo tre diversi assi. Il primo è quello legato alla reinterpretazione della bottiglietta Camparisoda che il giovane architetto e designer milanese ha “vestito di un elegante abito”, una texture a decoro geometrico che si può toccare con mano nella special edition disponibile per bar e grande distribuzione della scorso mese di marzo.
Il secondo asse è Learn to Fly, la nuova installazione del Camparitivo in Triennale con la quale Ragni ha lanciato il suo “augurio verso chi si sta affacciando alla vita e al mondo del lavoro”; il terzo asse è per me quello forse più accattivante: GATE3 Temporary Studio. Di cosa si tratta? Di una sorta di officina creativa nella quale chi possiede talento può, affacciandosi al mondo del lavoro, mettersi alla prova nello spazio che ha l’ambizione di diventare uno studio temporaneo gestito da Matteo Ragni. Un luogo – a sentire le parole dello stesso Ragni – vivo, che ospiterà workshop di ricerca per grandi brand e nel quale far nascere idee, spunti, riflessioni capaci di innovare. Il primo marchio ad accettare la “sfida” è stato proprio Campari che lancerà a breve il primo workshop i cui risultati poi saranno ospitati all’interno della Galleria del gruppo.

Non resta che stappare una bottiglietta Camparisoda e brindare insieme a questa serie di stupende iniziative legate alla cultura e al mondo dei giovani: cincin e… in bocca al lupo!

Happy Pills, gli antitodi zuccherosi alla vita

Un vecchio proverbio recita: “l’Epifania tutte le feste si porta via“. Amara verità. Per fortuna però quest’anno avrò modo di addolcire un po’ il rietro al lavoro e alla vita di tutti i giorni. Come? Niente calza della befana ma un piccolo barattolino trasparente – che vagamente ricorda quello utilizzato per analisi mediche – con una precisa indicazione: “to relieve boredom“.
Tutto si deve far risalire a quando, camminando per le viuzze del centro di Barcellona (vicino alla fermata della metro Jaume I se non ricordo male), mi sono imbattuto in un negozietto alquanto singolare nel quale campeggiava la scritta: Happy Pills.
Non ho saputo resistere, la curiosità è stata troppa e così sono entrato per cercare di capire di cosa si trattasse. Di primo acchito mi è sembrato un negozio di caramelle solo un po’ particolare, ben presto mi sono reso conto che definirlo così sarebbe stato riduttivo: in piena esaltazione zuccherina, ho preso un contenitore (ho scelto quello “basic” da 3 euro) e con frenesia ho iniziato a riempirlo con le caramelle mi varie, da quelle a forma di dentiera “vampiresca” a quelle a forma di cervello, dalle classiche bottigliette gommose alle liquerizie colorate. Mi sono poi avvicinato alle etichette e ho scelto quella “against monday“, mi sono recato alla cassa e una ragazza, con tanto di camice bianco, ha chiuso il mio flaconcino come fosse un vero e proprio medicinale, attaccandoci l’etichetta che avevo scelto. Una volta gustate le buonissime caramelle ho cercato maggiori informazioni circa la brillante idea che sottende Happy Pills: ho così scoperto che l’ispirazione è frutto dei designer dello Studio MM di Barcellona (l’immagine sopra è presa proprio dalla sezione “proyectos” del sito di grafica, design e architettura), una moderna quanto esilarante versione di farmacia senza controindicazioni, dove ai soliti toni rossi e un po’ cupi si sostituiscono scaffali di colorate “compresse” golose e scritte rosa shocking. Design da leccarsi le dita.

Sono pigr e post for money

immagine-5Nei giorni di festa del Fuorisalone, camminando per via Tortona mi è capitato tra le mani un sottobicchiere sul quale campeggiava la scritta “Post for money?”. Incuriosito ho prontamente intascato il cartoncino ripromettendomi di visitare quanto prima lo spazio ufficiale legato all’iniziativa. Finalmente ho trovato del tempo per visitare il sito: Sono pigr risulta “minimal”, una struttura molto semplice nella quale campeggia la scritta “il primo blog/post for money dedicato al design che premia chi ne parla bene“. In estrema sintesi ogni mese viene lanciata una tematica sulla quale dire la propria. Gli utenti registrati alla community possono inserire i loro contributi circa l’oggetto del “dibattito” del mese (es. “cos’è vecchio, cos’è nuovo?), il miglior “post” si aggiudica 250 euro e le royalty della pubblicazione annuale che premierà i 12 migliori testi (peccato non poter leggere il regolamento completo prima di registrarsi!). L’idea sembra carina anche se in realtà lo slogan “post for money” è un po’ forviante: si tratta infatti, da quanto mi è parso di capire, di una sorta di contest che premia la migliore riflessione non tutti testi pubblicati dagli utenti. Comunque sia ben venga qualsiasi tipo di confronto (costruttivo) sul design non limitato ai soli “adetti ai lavori”, capace di appassionare anche semplice “simpatizzate” come il sottoscritto (tra l’altro carina l’idea che i contributi possano essere non solo testuali ma legati a concept o artwork).

Loghi d’Italia a Castel Sant’Angelo

loghi_italiaUn logo è il modo con il quale una brand comunica a noi potenziali consumatori la propria essenza, il proprio stile, la propria visione del mondo, le proprie qualità e peculiarità. E’ in qualche modo un occhio, uno spettro dell’anima che ci ammicca e che noi, lasciandoci sedurre, non solo siamo in grado di riconoscere con facilità, ma identifichiamo come sintesi di valori che condiviamo e che vogliamo esternare a chi ci circonda. Per questi motivi, appena ho avuto un momento libero, mi sono precipitato a visitare la mostra Loghi d’Italia – storie nell’arte di eccellere, in quell’incantevole cornice sospesa nel tempo che è Castel Sant’Angelo. Il percorso interattivo è un viaggio artistico-culturale nella creatività imprenditoriale italiana, da alcune delle più antiche aziende nostrane (Peroni, Perugina e Lagostina) ai giorni nostri (Benetton, Guzzini). Tra caroselli e oggetti di design, la mostra fotografa l’evoluzione del messaggio pubblicitario nel corso degli anni. Proprio nei loghi è infatti possibile apprezzare la fusione di arte e cultura, specchio sempre nuovo di una società in continuo mutare. E vedendo le sorpresine del Mulino Bianco, le vecchie trafile della Pasta Barilla, gli episodi con protagonisti La linea, i Caroselli del Caffé Paulista o le prime pubblicità della Vespa, una certa nostalgia non può non affiorare. Il costo per l’accesso al museo potrebbe spaventare ma in fondo la mostra e il luogo nel quale è possibile visitarla appagano appieno il prezzo del biglietto.