L’importanza crescente dei nativi digitali del giornalismo

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Da alcuni giorni è disponibile State of the News Media 2014, l’annuale report del Pew Research Center che analizza il panorama informativo statunitense.
Delle tante osservazioni interessanti che i documenti presentano, la mia attenzione si è focalizzata soprattutto sui cosiddetti nativi digitali del giornalismo americano, le redazioni cioè nate nella Rete che nel corso degli anni hanno saputo ritagliarsi un ruolo sempre più importante nell’ecosistema editoriale a stelle e strisce. Un comparto, quello delle realtà informative online, in crescita nonostante la crisi della stampa: non solo BuzzFeed, Huffington Post, ProPublica, Politico, il panorama statunitense offre ai lettori una miriade di spazi diversi su web ai quali rivolgersi per leggere notizie. La cospicua “migrazione” di grandi firme dal giornalismo “tradizionale” legato alla carta a quello pensato e realizzato unicamente su web – due su tutte, Bill Keller lascia New York Times per l’iniziativa nonprofit The Marshall Project, Jim Roberts dal NYT passa a Mashable – contribuisce a suggellare l’importanza ormai acquisita dell’universo delle news online, non più considerato alla stregua di un “campionato di seconda divisone”.

Un mondo fatto di molte realtà “giovani” (il report analizza i 30 più grandi siti informativi all digital e altre 438 piccole redazioni del web), nate negli ultimi 10 anni, che si occupano di notizie locali o iperlocali, che puntano sull’inchiesta, che spesso devono far fronte a bilanci in rosso – se crescono gli investimenti nel comparto informativo digitale ciò non significa che l’industria delle news online abbia trovato la formula per monetizzare questo crescente interesse verso le notizie – e che, con il loro approccio innovativo alla Rete, stanno tentando di adattarsi a un panorama in rapida e costante evoluzione.

Adottando modalità differenti di raccontare e proporre le news rispetto a quelle dei media classici, molto più focalizzate su formati e strumenti in grado di sfruttare appieno le peculiarità della Rete, i siti informativi nativi digitali riescono a coinvolgere maggiormente i lettori che spesso, da semplici cittadini, diventano “volontari” in grado di supportare le redazioni con testimonianze dirette su ciò che succede loro. Forse anche per questo motivo, i siti informativi digitali risultano più accattivanti per il pubblico giovane generalmente poco incline al formato giornale.

Al di là del successo imprenditoriale di alcuni “esperimenti”, le realtà nate nella Rete svolgono una funzione sociale non di poco conto andando a riempire e a ampliare l’orizzonte che nella stampa cartacea (soprattutto per quel che riguarda i magazine), invece, si sta via via riducendo. Non solo dal punto di vista strettamente legato al numero e alla tipologia di notizie proposte ma anche da quello delle professionalità che nell’editoria lavorano: se nelle newsroom tradizionali continuano i tagli al personale, per ciò che concerne le redazioni online, almeno per quelle di maggior successo (delle 438 piccole realtà analizzate, più della metà sono formate da uno staff full-time di 3 persone o meno), si assistente invece a una notevole crescita. Solo due anni fa il team di BuzzFeed era formato da una mezza dozzina di persone, oggi può contare su 170 professionisti. Analogo discorso per Vice Media che solo nell’ultimo anno ha allargato il proprio staff a 48 new entry. O per Quarz, testata nata nel 2012 ma che può già contare su una rete di reporter a Londra, Bangkok e Hong Kong. E se l’HuffPost punta ad ampliare ancora il bacino delle proprie edizioni facendo salire da 11 a 14 i Paesi nei quali essere presente, Business Insider è attualmente alla ricerca di altre 25 nuove figure per il allargare la propria squadra.

Difficile prevedere gli sviluppi di ciò che sta accadendo. Di certo, l’industria dell’editoria “tradizionale” che aveva inizialmente snobbato la Rete deve oggi affontare una duplice sfida tutt’altro che semplice: da un lato il calo dei lettori e dei guadagni derivanti dalla pubblicità, dall’altro concorrenti digitali sempre più agguerriti.

L’innovazione? A Boston è di casa

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Il mercato dell’editoria sta vivendo un momento molto difficile. Il termine innovazione è ormai sulla bocca di quasi tutti gli addetti ai lavori, concentrati nel capire quale sia la strada più sicura sulla quale affrontare i cambiamenti in atto. Mettere in pratica processi che portino a risultati migliori è però molto complicato: in un contesto nel quale, a fronte di investimenti, l’obiettivo risulta ottenere effetti pressoché immediati, ragionare in termini di lungo periodo, vista la rapida evoluzione della Rete, è quasi impossibile.

Nonostante tutto, alcune testate, continuano a provare nuovi approcci al web. Non si tratta esclusivamente di redazioni arcinote, esiste un “sottobosco” di quotidiani a carattere locale che, come avvenne agli esordi di internet con il Chicago Tribune e il Nando Times (in Italia con l’Unione Sarda), per tentare di allargare il proprio pubblico di riferimento o per offrire un’alternativa al mainstream, continuano a proporre nuovi strumenti e nuove modalità di approccio all’informazione.

Uno dei casi di maggior successo in questo senso (successo misurato non esclusivamente in termini di parametri numerici quanto di capacità di rinnovare la propria identità adattandola agli sviluppi della Rete) è il Boston Globe. La testata – come citato anche in News(paper) Revolution – possiede due declinazioni: una, a pagamento, propria del giornale cartaceo, un’altra gratuitamente fruibile – Boston.com – molto più focalizzata sulle notizie locali e indirizzata a un pubblico più trasversale.

Di questi giorni è la notizia che, proprio lo spazio informativo Boston.com, dal prossimo anno, offrirà una maggiore flessibilità ai propri lettori. Non sono trapelate moltissime informazioni a proposito ma sulla base di quanto dichiarato da Jeff Moriarty – Vicepresidente del Boston Globe e General Manager di Boston.com – il sito proseguirà lo sviluppo della sua costruzione “responsive” anche in ottica utente. Nel 2011 il quotidiano di Boston è stato tra i primi a implementare un sito in grado di adattarsi al device utilizzato. Il giornale, in altre parole, fermo restando i contenuti, è in grado di modificare il proprio aspetto in base al supporto con il quale viene fruito. In questo modo, ad esempio, l’impaginazione è differente se l’utente visita lo spazio informativo da computer, da tablet o da smartphone.
Dal 2014 però la testata farà un ulteriore passo modellandosi anche in base alle modalità di utilizzo del lettore: se l’utente preferirà leggere piuttosto che sfruttare il materiale multimediale a disposizione, il sito sarà in grado di proporre un più alto numero di testi. In qualche modo, quindi, sarà il comportamento stesso dell’utente a configurare la griglia informativa del quotidiano. Un progetto ambizioso che, sulla scia di quanto sta accadendo su Facebook, punta alla personalizzazione, al superamento del giornale indifferenziato, uguale per tutti.

Altro progetto da seguire, sempre a firma Boston Globe, è 61Fresh. E’ uno spazio informativo capace di captare i tweet locali di Boston e dintorni che richiamano le notizie di uno dei 500 siti di notizie della capitale del Massachusetts. Alla base un algoritmo in grado di vagliare la popolarità e la freschezza delle news per riproporre le notizie più chiacchierate dell’area metropolitana.

Complimenti ai responsabili della testata, anche un periodo di crisi può in fondo rappresentare un’opportunità. Per mettersi in gioco e vagliare nuove opzioni.

Italia2013, il racconto collettivo della prima campagna elettorale social

Italia2013 è un progetto nato sul finire del 2012 che si è poi concretizzato in una tag cloud, una “nuvola aggregativa” dei vari contributi degli utenti con la quale è stata raccontata, attraverso la voce degli elettori, la prima campagna social della storia italiana. Un esperimento online dal 25 gennaio (e realizzato in collaborazione con la Scuola Walter Tobagi) che, partendo dall’immenso flusso di informazioni, giudizi, commenti e immagini, è diventato la prima piattaforma indipendente capace di mostrare, in tempo reale, i flussi comunicativi dei social media traendone poi spunto per operazioni di content curation di stampo giornalistico. Il cambio di prospettiva non è da poco: niente agenzia di stampa né media classici, le uniche fonti sono gli utenti, le loro/nostre conversazioni.
Da quella interessantissima esperienza è nato Social Winner, un libro edito da Il Saggiatore (e scaricabile gratuitamente in versione ebook) che raccoglie alcuni degli spunti più originali emersi dal progetto. Dagli hashtag più in voga alla descrizione delle metodologie utilizzate per tentare di interpretare i nostri dialoghi online circa le elezioni, il libro, curato da Riccardo Luna e Marco Pratellesi, racconta di come la Rete abbia giocato un ruolo decisivo nelle elezioni 2013 e di come, forse, proprio una sua sottovalutazione, abbia poi portato a un risultato non preventivato da molti tra giornalisti, opinionisti e sondaggisti.
Da appassionato di comunicazione l’aspetto che ho trovato più interessante è quello relativo all’utilizzo da parte del web da parte ai principali rappresentanti politici: se è vero che proprio grazie alla Rete Grillo e Casaleggio hanno cambiato la partita elettore in Italia, è altrettanto vero che Silvio Berlusconi, nonostante non abbia utilizzato direttamente i social media, è praticamente stato sempre al centro del dibattito, in particolar modo su Twitter, strumento che anche fuori dai confini nazionali ha visto utilizzare hashtag ironici sul Cavaliere.
Se nutro ancora qualche dubbio sul fatto che il web possa ben rappresentare la totalità dell’elettorato italiano (ricordo, ad esempio, molti tweet del mio network con testimonianze di voto a favore di Fare per fermare il declino, forza politica che poi non è riuscita ad avere una propria rappresentanza in parlamento), la Rete è sicuramente (e probabilmente sempre più lo sarà) una cartina al tornasole della cui lettura non ci si può esimere. Esperimenti come quello di Italia2013 non possono che indicare la via e testimoniare, una volta di più, come il web possa essere un’opportunità e non una minaccia per il mondo del giornalismo, complimenti!

State of the News Media 2013, alcuni spunti di riflessione

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Da alcuni giorni è online la nuova versione di State of the News Media, lo studio che annualmente Pew Research Center pubblica sul monitoraggio dei principali mezzi di comunicazione statunitensi.

Tra i molti spunti proposti, alcuni relativi ai quotidiani, mi sembrano interessanti.

Gli introiti adv della stampa, nel suo complesso, continuano a decrescere: dal picco raggiunto nel 2005 con oltre 49 milioni di dollari, lo scorso anno, a distanza di 7 anni, il valore è sceso a poco più di 22,5 milioni di dollari, perdendo quindi più della metà delle revenue.

Gli introiti dell’advertising online crescono – del 3% nel solo 2012 – ma non sembrano al momento poter far fronte alla caduta dei ricavi pubblicitari della stampa tradizionale. Se nel 2011 ad ogni dollaro guadagnato dalla pubblicità dei quotidiani online ne corrispondevano 10 persi nell’adv della stampa su carta, nel 2012 il rapporto è peggiorato toccando la quota 1 a 16.

Il calo più vistoso, per quel che riguarda l’adv della stampa su carta, si è avuto tra il 2008 e il 2009 quando in un solo anno gli introiti sono scesi di quasi 10 milioni di dollari.

L’adv online, cresciuto con una buona costanza tra il 2004 e il 2007, sembra aver appiattito la salita degli investimenti, dal 2010 ormai ancorati a quota 3 milioni di dollari.

Tra le voci storicamente più redditizie per i giornali, i cosiddetti “classified ad” (gli annunci a pagamento) sono passati in una dozzina di anni dal garantire alla stampa 20 miliardi di dollari a poco meno di 5 miliardi di dollari nel 2012. In particolare gli introiti legati agli annunci legati al recruitment sono crollati: da soli nel 2000 garantivano alla stampa più di 8 miliardi di dollari che nel 2012 sono diventati poco più di 0,7 (d’altra parte servizi come LinkedIn hanno reso la ricerca di candidati idonei a una determinata posizione lavorativa molto più semplice).

Gli introiti derivanti dalla distribuzione dei quotidiani, contrariamente a quanto forse ci si potrebbe aspettare, sono rimasti bene o male abbastanza costanti nel corso degli ultimi vent’anni. La perdita dei guadagni dalla pubblicità finisce tuttavia per rendere questo “contenimento” non sufficiente a contrastare i segni negativi dell’adv tradizionale.

Osservando i dati aggregati legati all’audience dei siti dei quotidiani statunitensi online, se è vero che crescono i visitatori totali mese (e quindi anche la reach), le loro visite e il tempo che questi trascorrono in media nei siti supera ormai i 4 minuti, è altrettanto vero che il numero di visitatori al giorno registra un calo rispetto al novembre 2011.

Il podio delle testate online più visitate al mondo – in termini di visitatori unici – vede al primo posto il Mail Online, al secondo il New York Times, al terzo il Guardian. La crescita del New York Times è dovuta anche ai 600.000 abbonamenti digitali al quotidiano. Non sorprende, quindi, che proprio il New York Times sia in prima posizione in termini di copie digitali pagate, seguito, negli Stati Uniti, dal Wall Street Journal e dal New York Post. La quota di digital edition di quest’ultima testata è però 5 volte inferiore al quotidiano primo in classifica, un distacco nettissimo tra le prime due posizioni e gli altri giornali.

Gli occupati nelle redazioni, dopo il picco a cavallo degli anni ‘90, dal 2006 al 2009 sono diminuiti di 15.000 unità e anche lo scorso anno, dopo una fase di stabilità, hanno ricominciato a scendere.

Tutte le percentuali di lettura dei quotidiani (del giorno giorno precedente) delle differenti fasce di età nel corso degli anni si sono ridimensionate. In particolare, gli adulti tra i 35-44 anni, dal 2009, hanno subito un notevole diminuzione (ma in generale, negli ultimi 5 anni decrescono meno lentamente solo i giovani 18-34 e gli over 65).

Orizzonte nero? Sicuramente siamo vivendo un periodo di forti cambiamenti ma, come ribadito nelle conclusioni dello studio, nonostante i dati, i quotidiani non sembrano considerati superati dai lettori-utenti, continuano a consevare la loro utilità di sintesi della realtà che circonda ognuno di noi. Una nuova generazione di “addetti ai lavori”, inoltre, sta tentando di utilizzare al meglio le piattaforme digitali facendone parte integrante delle proprie strategie. Resto convinto che internet – e in generale le tutte le nuove piattaforme attraverso le quali oggi le informazioni possono essere veicolate – rappresenti (come spesso ribadisco) un’opportunità più che una minaccia per un comparto rimasto per troppo tempo ancorato a certezze che oggi sembrano quantomai scricchiolanti.