L’ascesa di TikTok sulla scia di Snapchat

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L’applicazione del momento, la più chiacchierata, è senza alcun dubbio TikTok.
Lanciata nel 2017 – anno nel quale acquisisce Musical.ly – la social-video-app made in China sta riscontrando un notevole successo soprattutto tra i giovanissimi. Ad oggi è presente in 150 Paesi, è tradotta in 75 lingue ed è diventata una delle piattaforme preferite per esprimersi creando e condividendo contenuti direttamente dal proprio smartphone (in Italia l’arrivo della app è datato novembre 2018). Lo strumento di editing è infatti davvero semplice e consente a chiunque, con immediatezza, di dare sfogo alla propria creatività (creatività stimolata dalle cosiddette challenge, sfide interattive che invitano la community ad esprimersi, ecco un esempio nostrano firmato Condé Nast).

L’ascesa di TikTok per molti versi ricorda quella di Snapchat. Benché, come più di qualcuno ha fatto notare, sia forse da considerare Vine il vero precursore di TikTok, molto probabilmente la social-video-app si appresta a diventare uno dei canali utilizzati dai candidati alle presidenziali USA per strizzare l’occhio all’elettorato più giovane, esattamente come fece dal 2015 Snapchat (anche se, è bene sottolinearlo, ad oggi gran parte del pubblico di riferimento di TikTok non è in età per il voto).
Non è un caso, quindi, che il Washingtong Post, una delle testate più propense alla sperimentazione, lo scorso maggio abbia lanciato il proprio profilo nella app per raccontare con stile personalissimo  la politica e, in generale, la quotidianità della redazione (la bio del profilo racconta già molto dell’approccio del giornale: newspapers are like ipads but on paper).

I follower, in pochi mesi, hanno già superato i 300mila facendo registrare otlre 15milioni di like.

A differenza del Discover di Snapchat, però, il lato informativo su TikTok è al momento davvero residuale. I contenuti sono pensati per intrattenere il giovane pubblico – con lo stile che richiama quello delle sitcom per teenager – più che per fornirgli le chiavi di lettura del mondo. Sono ideati per trasmettere l’autorevolezza del WaPo umanizzandolo, rendendolo meno austero – grazie alla musica che accompagna gran parte dei clip – e al contempo più trasparente, più che per strappare nell’immediato nuovi lettori.

In un’interessante intervista a Dave Jorgenson, a “capo” per il Washington Post del progetto TikTok ha raccontato come per lui (28enne) siano stati necessari 2 mesi di studio della piattaforma per capirne le peculiarità, il linguaggio, le aspettative degli utenti e l’uso che questi ne fanno.
Ha spiegato poi come in media siano necessarie quattro ore per produrre un contenuto destinato alla social-video-app, considerando anche i 30 minuti post pubblicazione dedicati dal team TikTok WaPo all’interazione con gli utenti mediante la risposta ai loro commenti.

Quali saranno gli sviluppi di TikTok difficile dirlo. La notizia della sperimentazione in Brasile di Reels, la risposta di Instagram ai video-mixati della app cinese è però misura del successo del “formato” TikTok ed ennesima conferma dell’interesse di Zuckerberg per le nuov(issim)e generazioni di utenti.

Progressive Web App, la risposta di Google agli Instant Articles di Facebook

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Catturare l’attenzione degli utenti, questa la primaria sfida di chi online si occupa di informazione (ma non solo).

Nel tentativo di aiutare le media company a centrale l’obiettivo, dopo un periodo di test con alcune selezionate testate, Facebook da aprile dello scorso ha iniziato a proporre gli Istant Articles, uno strumento che le testate, anche in Italia, hanno subito cominciato ad utilizzare con l’ambizione di sfruttare al meglio l’enorme bacino di potenziali lettori del social network di Zuckerberg.

Pubblicando le notizie direttamente su Facebook piuttosto che rimandare i lettori al proprio sito, gli editori hanno deciso di puntare in particolare sull’aspetto legato alla velocità che, secondo fonti interne al social network, risulta di ben 10 volte superiore alla “normale” navigazione web da mobile.

Con gli Instant Articles a migliorare in realtà è l’intera fruizione delle notizie – più interazione e una più intelligente multimedialità – ma è indubbio che proprio la rapidità sia l’aspetto dell’esperienza ad appagare maggiormente l’utente, predisponendolo in maniere più decisa non solo alla lettura del contenuto, ma anche alla sua condivisione.

Ai progetti di Facebook in termini di distribuzione dei contenuti non poteva non rispondere l’altro gigante del web, Google. Forte della propria esperienza con le Accelerated mobile pages (Amp), un protocollo aperto fatto testare a 30 editori (tra i quali la Stampa) che consente di realizzare pagine molto più “leggere” da caricare, l’azienda di Mountain View ha deciso di puntare sulle cosiddette Progressive Web App. Senza entrare troppo nel tecnico, si tratta di una nuova tecnologia che combina i lati positivi del web con quelli delle mobile app. Due degli esempi più noti sono da una parte il canale e-commerce Flipkart, dall’altra la compagnia aerea Air Berlin. Con il nuovo linguaggio è stato possibile per entrambe le realtà non solo velocizzare l’esperienza degli utenti rendendola più piacevole – e, quindi, più proficua in termini di engagement – ma anche offrire una navigazione più flessibile con notifiche e contenuti disponibili anche senza una connessione internet.

Pioniere per quel che concerne il settore media è il Washington Post che proprio sulla tecnologia di Google sta da mesi testando una versione beta del proprio spazio online. Per renderne più veloce la consultazione e per dare modo agli utenti, in caso di perdita temporanea del segnale, di continuare a fruire dei propri contenuti (il sistema in automatico scarica tutti gli articoli della sezione visitata in un preciso momento da un utente, come anche le pagine a cui i collegamenti del pezzo rimandano).

Anche il britannico Guardian ha voluto mettere alla prova la nuova tecnologia firmata Google: in occasione delle olimpiadi, il team USA del quotidiano, ha lanciato Rio Run, un podcast interattivo – ricco di contenuti giornalistici ma dal lato anche ludico oltre che informativo, con badge da sbloccare e medaglie virtuali da aggiudicarsi – per seguire il percorso della torcia olimpica in Brasile.

Se è vero che resta ancora qualcosa da migliorare in termini di compatibilità – come è lecito aspettarsi, le PWA funzionano molto bene su Chrome in ambiente Android, meno su iOS – in molti tra gli addetti ai lavori sono pronti a scommettere che le PWA, spostando l’attenzione ancor di più sull’ottimizzazione dei contenuti per il mobile, possano rappresentare una valida soluzione per proseguire l’innovazione del comparto legato al mondo dell’informazione.

Snapchat rinnova Discover. E diventa editore.

Snapchat continua il suo sviluppo e, con la nuova versione della app (9.32) rilasciata alcuni giorni orsono, ha rinnovato Discover (“Storie” in italiano), la parte dedicata ai contenuti editoriali delle testate che con il social network hanno deciso di sperimentare.

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L’aspetto della sezione è completamente cambiato: nella parte alta della schermata le notizie si possono scorrere con un menu orizzontale che mostra le anteprime dei contributi delle redazioni. Visualizzata tutta la galleria delle notizie disponibili, i vari pezzi vengono disposti, in stile Flipboard, in riquadri di differenti dimensioni che si possono navigare dall’alto verso il basso.

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Altre rilevanti novità che palesano l’interesse del social network verso il mondo dell’editoria sono da una parte la possibilità data agli utenti di potersi iscriversi ai diversi canali di modo da non perdersi nemmeno un aggiornamento, dall’altra la modalità di condivisione – tramite iMessage o mail – dei vari contributi di Discover.

L’ultimo tassello resta quello di consentire la misurazione dell’effettivo impatto dei contenuti sugli utenti. Come è lecito attendersi pare che anche da questo versante Snapchat si stia adoperando. Il social network sta lavorando, secondo indiscrezioni, ad un proprio sistema di monitoraggio che consenta a editori e inserzionisti di valutare il seguito generato dai propri contenuti. Inoltre pare che i vertici di Snapchat, in questi ultimi mesi, abbiamo avuto una fitta serie di incontri con comScore, realtà specializzata nella misurazione online, partner anche di Facebook per quel che concerne gli Instant Articles.

Tornando alla rinnovata schermata di Discover, se la parte alta è dedicata ai contenuti editoriali, la seconda metà dello schermo è riservata a contributi in tempo reale degli avvenimenti più partecipati. Anche sul fronte “live”, Snapchat non ha lesinato investimenti per continuare a far crescere il proprio bacino di utenti. Il social network ha infatti siglato un accordo di 3 anni con la direzione di Wimbledon per poter così proporre alla propria community contributi legati al torneo di tennis durante gli incontri (Snapchat ha raggiunto analoghi accordi con la MLB statunitense, per quel che concerne il baseball e la Ligue 1 per quel che riguarda il calcio).

Ultima, ma non meno interessante notizia legata a Snapchat, fa riferimento al fatto che il social network si appresta a diventare anche editore. Il prossimo 27 giugno, infatti, sarà lanciato Real Life, il magazine dedicato alla tecnologia (e al modo di viverla) che, pur promettendo di mantenere una linea editoria indipendente, sarà riconducibile in tutto e per tutto al social network con sede a Los Angeles.

Piccoli fantasmini continuano a crescere. E iniziano a fare paura.

Quartz, la app di notizie in stile chat

Img: theverge.com

Da alcune settimane sto provando Quartz, applicazione per iOS (la versione per Android è in fase di realizzazione) proposta dallo scorso febbraio dall’omonimo sito di notizie del gruppo Atlantic Media. Avevo letto qualche tweet a riguardo, ma non avendo approfondito, il primo utilizzo mi ha davvero spiazzato. Il progetto, infatti, a differenza di altri applicativi per mobile, fa proprio l’approccio comunicativo degli smartphone proponendo le notizie sottoforma di (brevi) messaggi di una chat. Una volta ricevuto il saluto di benvenuto, viene mostrata la sintesi di una notizia, una sorta di strillo di due righe di testo, sotto la quale due pulsanti blu permettono all’utente di interagire: quello di destra consente di passare alla notizie successiva, quello di sinistra permette invece di approfondire quanto sintetizzato in precedenza. Appaiono così dei messaggi di testo (un po’ più corposi) che sviscerano la notizia ed eventualmente rimandano per ulteriori approfondimenti ad un sito esterno alla app (e talvolta anche alla redazione). Letti i contenuti, si passa alla notizia successiva che, come la precedente, si può decidere di approfondire o di saltare.
L’aspetto singolare non sta solo nella modalità conversazionale di proporre al pubblico delle notizie su temi non necessariamente leggeri – ad esempio, su politica ed economia – ma di farlo utilizzando, oltre che un numero ristretto di caratteri, un linguaggio tanto sintetico quanto efficace ben supportato dall’uso di emoticon, grafici e gif animate che rendono ancora più immediata e accattivante la fruizione delle news.
Terminata la sessione – di solito dopo sei notizie – la app invita a tornare in un secondo momento per altre news (configurando la app è possibile attivare le notifiche automatiche rispetto a nuove news da leggere).
A margine di una news può capitare di imbattersi in un messaggio pubblicitario (Mini è la prima azienda ad aver creduto nel progetto): un piccolo banner che in piena ottica native adv si “mimetizza” tra le notizie ma che non risulta invasivo né mina l’usabilità della app.

Le notizie, scritte ad hoc da redattori capitanati da Adam Pasick (i “messaggi informativi” non risultano copia-e-incolla del materiale di qz.com), sono veicolate sottoforma di chat da un bot (un software che gestisce l’interazione con l’utente) e hanno l’obiettivo di informare e al contempo intrattenere. La app può essere consultata in treno, in metro, aspettando in fila al supermercato: i contenuti sono fruibili con una velocità e con una facilità davvero notevoli.

Se per stessa ammissione dell’executive editor Zach Seward, gli sviluppi di Quartz al momento sono difficilmente prevedibili perché ad oggi l’aspetto interessante è quello legato alla studio del comportamento degli utenti, sono pronto a scommettere che la app sarà in grado di fornire indicazioni utili alle testate giornalistiche, sempre più interessate al traffico da mobile e a raggiungere i lettori attraverso applicativi di messaggistica quali (multi)chat e social network.

Rinnovato il sito, parte una delle settimane più lunghe per il Corriere (ma forse anche per l’editoria italiana)

Ad inaugurare una settimana che si preannuncia storica per il Corriere della Sera – in particolar modo per il reparto digital della testata – da ieri, lunedì 25 gennaio, è online la rinnovata veste grafica del sito del quotidiano RCS Mediagroup.

Con molta curiosità, appena appreso del “lancio” dal tweet del direttore del quotidiano, mi sono precipitato a visitare – prima da smartphone e poi in maniera più approfondita da notebook – la nuova homepage del giornale. E, devo riconoscerlo, l’impatto è stato positivo: lo stile, che mi ricorda quello del New York Times, fatto sottili linee nere a separare i diversi contenuti su sfondo bianco risulta semplice, essenziale e quindi a mio parere leggero “quanto basta” da fruire.

Dopo una sintetica panoramica sulla homepage mi sono annotato gli aspetti che invece mi convincono meno, quelli che, a puro giudizio personale, se avessi potuto partecipare in maniera costruttiva al progetto – seguire il quale immagino sia stato tutt’altro che semplice, complimenti al team coinvolto – avrei consigliato di realizzare diversamente.

Img: corriere.it

Img: corriere.it

Le icone dei social network sotto ogni articolo

Trovo che siano ridondanti e che possano inconsapevolmente incentivare la condivisione da hp più che la lettura dell’articolo. Sarò fissato con nyt.com ma avrei lasciato la sola indicazione dei commenti, quella che a differenza delle altre icone non si esaurisce nel click ma che, almeno potenzialmente, porta l’utente a cliccare sullo strillo e a leggere il pezzo prima di condividere il contenuto e/o interagire con la redazione/gli altri utenti.

Ultimo inciso di natura strettamente tecnica: i link di condivisione degli articoli su Twitter sono lunghissimi, urge sintesi anche in quell’aspetto!

Il logo delle testata

Il logo della testata, allo scroll, sparisce. A ben vedere, nel menu in alto fisso, se si scende con la pagina, compare una “C” nella parte iniziale a sinistra. Ma mi pare pochino, il simbolo del giornale si perde di vista e si ha quasi l’impressione di essersi dimenticati dove ci si trovi. Avrei fatto in modo che, come per la homepage di altre testate (es. guardian e wsj), il logo accompagnasse il lettore sino alla fine, restando sempre ben visibile (anche se graficamente di dimensioni minori) di modo da contribuire a mantenere ben chiara l’identità della testata, valore questo che mi pare molto importante per il quotidiano milanese.

Scroll eccessivo

La mancanza del logo della testata si sente anche perché, iniziato lo scroll, si ritrova l’immagine alla fine della pagina, quando tutti i contenuti della home sono stati mostrati. Il fatto è che per giungere nella parte più bassa della home le schermate sono davvero molte, per i miei gusti personali decisamente troppe. La percezione che la testata copra uno svariato numero di notizie si ha netta ma, nel mio caso, ciò non necessariamente corrisponde ad un valore positivo. Insomma, vista la quantità di notizie oggi disponibili mi aspetto ancora di più che il giornale funga da “filtro” per ciò che effettivamente merito di conoscere. Da questo punto di vista, promuovo a pieni voti il nyt e il guardian, rimando corriere e wsj: una homepage meno articolata senza essere più povera mi “spaventa” di meno e può essere un viatico a una “pagina di ingresso” che si rinnova di più e in un arco temporale minore.

Disposizione articoli colonna di destra

Se apprezzo la disposizione a colonne, trovo talvolta confusionaria l’organizzazione dei contenuti, in particolare per ciò che concerne la colonna di destra posizionata sotto la parte degli editoriali. Sarà il fatto di non essere un nativo digitale quanto piuttosto uno di quelli che il giornale di carta, almeno la domenica, lo sfoglia ancora ma per il sottoscritto la gerarchia delle notizie ha un valore. E le notizie della colonna di destra – quella che forse si aggiorna più spesso – mi paiono di un piano decisamente differente rispetto alle “vicine” news che, anche visivamente, rappresentano il centro della pagina e i pezzi più importanti. Calciomercato, tecnologia, televisione, di nuovo calcio, Roma, proteste in Rete… non intravedo un filo logico e le notizie, apparentemente senza un comune denominatore, a differenze delle inchieste della colonna di sinistra, paiono susseguirsi senza un ordine né in termini di rilevanza né di tematica.

Avrei studiato la disposizione a colonne in maniera diversa per distinguere, ad esempio, in maniera più netta le breaking news, evidenziando gli ultimi aggiornamenti dagli altri approfondimenti.

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Img: corriere.it

Link “spezzati” nei titoli

Alcuni titoli, nell’essere disposti su due righe, presentano link spezzati. Per capirci, se un titolo è formato da due frasi, la prima frase sembra rimandare a un link differente rispetto alla seconda in quanto, pur facendo parte del medesimo titolo, non c’è continuità nel tag a href. Il collegamento è lo stesso e per questo motivo (in realtà non peculiarità della nuova versione) trovo la cosa inutile e confusionaria. “Tutto il Corriere: dove, come e quando volete”: Tutto il – Corriere: – dove e quando volete, tre parti del testo cliccabili che puntano però allo stesso articolo. La cosa non sarà mica voluta per aumentare il numero dei click, vero?

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Img: corriere.it

Blog del Corriere

I blog delle singole firme – tra i quali Italians di Servegnini – sono relegati propria alla fine della homepage, distanti un bel po’ anche dagli spazi multiautore. Questi ultimi, tra l’altro, mostrano in home l’autore dell’ultimo pezzo sotto il nome del blog non a margine dell’articolo e quindi possono a mio avviso dare adito a fraintendimenti in chi non visita il sito con la frequenza necessaria per notare i differenti giornalisti che contribuiscono (eccezion fatta per Piazza Digitale sempre a cura di admin, nonostante all’interno poi le firme sia varie).
In ogni caso, i blog non mi sembrano sfruttati a dovere, quasi nascosti, difficili da trovare anche perchè li conosce e sa per certo che da qualche parte devono pur essere stati posizionati (serendipity ai valori minimi).

Queste alcune delle mie impressioni a caldo, l’analisi del sito sicuramente proseguirà nei prossimi giorni, ben vengano nel frattempo pareri e valutazioni da parte di chi desidera offrire, con un commento, una mail, un tweet, nuovi spunti di riflessione.

Il Wall Street Journal sbarca Snapchat alla caccia dei giovanissimi

Lo scorso 6 gennaio il prestigioso Wall Street Journal ha ufficializzato, dopo mesi di voci a riguardo, la propria presenza su Snapchat Discover. Si tratta del primo quotidiano statunitense a testare il social network, molto utilizzato dai cosiddetti millennials – un pubblico giovane avvezzo agli strumenti digitali – che ha sin da subito ha trovato interessante la possibilità di scambiare foto e video disponibili per un tempo limitato.

I contenuti della testata non sono visibili al di fuori degli Stati Uniti per cui, per un’idea della comunicazione dei giornali su Snapchat, non posso che fare riferimento al Daily Mail, il primo quotidiano ad essere presente su Discover e il cui canale è visibile anche oltre i confini del Regno Unito.

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Img: Daily Mail on Snapchat

Gli articoli, visibili per 24 ore, sono introdotti da una sorta di anteprima animata – ottimizzata per il mobile – che punta a catturare l’attenzione e che strizza l’occhio alle “gif”. Le notizie sono sfogliabili, se si decide di approfondirle è sufficiente cliccare “leggi” o “guarda” nella parte bassa della schermata (in alcuni casi infatti la notizia è in realtà un contributo video). Per quel che riguarda il giornale inglese, il materiale proposto concerne soprattutto notizie tra gossip, showbiz e “strano ma vero”, ma ho trovato anche news un po’ più seriose circa, ad esempio, il lancio di un nuovo razzo della Blue Origin di Jeff Bezos o le (scioccanti) immagini di alcuni cittadini britannici che, simpatizzanti dell’Isis, hanno fatto impersonare ai loro piccoli figli dei terroristi. Se decido di leggere l’articolo, posso scorrere il pezzo sino alla fine (l’articolo può presentare immagini ma, da quanto ho visto sinora, non link esterni), posso salvarlo o condividerlo con qualche contatto della mia rubrica (prima di fare ciò posso personalizzare il messaggio inserendo emoticon e un testo).

La sfida intrapresa dal WSJ è quella di sperimentare nuovi modi di veicolare notizie con l’obiettivo di analizzare il comportamento degli utenti e di intercettare giovani lettori da trasformare se possibile in nuovi potenziali abbonati. Sulla base delle parole di Carla Zanoni – responsabile emerging media team del quotidiano – il gruppo di lavoro del WSJ dedicato a Snapchat è formato da cinque persone che pubblicano 8 contenuti al giorno, 5 giorni su 7.

Sarà interessante verificare l’appeal dei contenuti economico-finanziari della testata sugli utenti di Snapchat (il primo articolo della redazione, ad esempio, ha approfondito l’aumento degli affitti degli appartamenti in US) per capire se e in che misura siano compatibili con uno strumento piuttosto “scanzonato” di utilizzo prettamente ludico (i selfie caricaturali realizzati attraverso l’utilizzo dei lenses di Snapchat sono affini all’analisi dei dati di Wall Street?).

Il successo dell’iniziativa, infatti, non è scontato. E, come dimostrato la scorsa estate con i canali di Yahoo e Warner Music, Snapchat, per salvaguardare la propria reputazione e continuare nella crescita del numero di utenti attivi, non ha esitato a interrompere il rapporto con questi partner i cui contributi pare non abbiano fatto registrare un grande impatto nella community (per inciso, i due canali sono stati sostituiti da BuzzFeed e iHeartRadio).

L’esperimento delle testate su Snapchat, oltre che dal punto di vista delle redazioni e dei contenuti giornalistici, è da seguire anche in termini prettamente pubblicitari. Le realtà presenti su Discover possono infatti proporre ai loro inserzionisti video pubblicitari su Snapchat (venduti a CPM) nella innovativa forma del native advertising.

La speranza di Snapchat è quella che i media possano contribuire a fare in modo che il social network riesca ad individuare le modalità per generare guadagni senza infastidire (troppo) gli utenti.

Facebook Instant Articles: l’immediatezza che genera valore?

Img: media.fb.com

Lo scorso 16 dicembre, a poco meno di una decina di giorni dal Natale, Facebook ha comunicato di aver esteso anche agli smartphone Android la visualizzazione degli Instant Articles. La fase di test, iniziata lo scorso ottobre con i dispositivi iPhone si è dunque conclusa con successo: sulla base di quanto comunicato sono salite a 350 le testate che lavorano con Facebook al progetto (poco meno di una 10ina le italiane), più di 100 delle quali pubblicano quotidianamente i loro articoli con questo nuovo strumento messo a punto dall’azienda californiana per venire incontro alle esigenze dei media.

La collaborazione tra le redazioni e Facebook, iniziata a metà degli anni Duemila con grandi investimenti, nel corso del tempo, con le evoluzioni del newsfeed e il conseguente ridimensionamento della visibilità degli utenti rispetto ai contenuti pubblicati, ha deluso parte delle aspettative riposte dai giornali nel social network.
Molte testate hanno infatti nel corso del tempo visto scendere il traffico ai loro siti e Facebook, considerato talvolta, in un eccesso di ottimismo, una panacea per i giornali, ha finito per diventare uno strumento di routine ma non efficace quanto auspicato nel risollevare le sorti delle testate.
Facebook ha tuttavia sempre strizzato l’occhio al comparto media, le news rappresentano “risorse” ideali da condividere, contenuti che possono contribuire ad aumentare il tempo speso dagli utenti nel social network.
Ecco perché i vertici dell’azienda hanno deciso, nei confronti dei giornali, di porsi in una rinnovata veste, più come piattaforma che come “rete di profili”: caricando i contributi direttamente su Facebook, senza rimandare a spazi esterni, e seguendo le direttive per ciò che concerne gli aspetti grafici degli articoli, la fruizione dei contenuti risulta più veloce – fattore questo discriminante nella navigazione da mobile – e decisamente più appagante in termini di interazione e di gestione di testi ed elementi multimediali che risultano ottimizzati per rendere al meglio (vedi video ufficiale).

Se uno studio di NewsWhip su 19 articoli istantanei del New York Times pare dimostrare l’efficacia dello strumento nel moltiplicare condivisioni, “mi piace” e, soprattutto, commenti rispetto ai “tradizionali” link ai pezzi diffusi nelle pagine, resta ancora da capire se gli Instant Articles funzionino anche in termini di ad revenue, se in altre parole possano aiutare le testate a fare in modo che gli articoli non solo generino un maggiore tasso di interazione dei lettori ma siano anche in grado di incrementare gli introiti dei messaggi pubblicitari che negli Istant Articles trovano spazio.
Questa credo sia per Facebook una delle sfide da vincere nell’anno appena iniziato.
Anche perché alcune delle testate che sin da subito hanno appoggiato il progetto hanno invitato il social network a rivedere parte delle proprie posizioni giudicando troppo restrittive le linee guida che regolano il rapporto tra redazioni e social network nell’ambito pubblicitario. Un primo momento, ad esempio, non erano previsti “rich media” (inserzioni multimediali) ma solo banner 320 x 500 pixel ogni 500 parole di testo.

Come indicato nella bella intervista di NiemanLab a Michael Reckhow, product manager Instant Articles, resta ancora molto da fare per definire nel migliore dei modi la “forma” più adatta per venire incontro alla esigenze degli editori supportandoli nel costruire strumenti sempre più efficaci nel catturare l’attenzione dei lettori di Facebook. Ma la strada intrapresa sembra quella buona.