Tommy Hilfiger: in preppy we trust

Lo scorso lunedì ho avuto il piacere di partecipare all’evento Find your Preppy Pin with Tommy Hilfiger TH 1090/S, serata nella quale sono stati presentati i nuovi occhiali unisex, geometrici, di “tendenza Eighties”, realizzati per la griffe da Safilo.

La particolarità degli occhiali – oltre la leggerezza e la struttura su aste iniettate senza anima metallica che se scaldate si possono piegare per farle aderire meglio alle nostre forme – sono appunto delle pin, una sorta di spillette magnetiche che, posizionate sul simbolino Tommy nell’asticella vicino alle lenti, consentono di rendere personalizzare l’occhiale. Quattro le varianti: il fenicottero rosa per uno stile glamour, lo stemma Hilfiger per stile sport-chic, i mini occhiali da sole per uno stile scanzonatamente ironico e il teschio (da subito la mia pin preferita) per uno stile rock anticonformista.

Ma esattamente cos’è lo stile preppy? Il termine (letteralmente: figlio di papà) nasce in America negli anni Cinquanta e viene associato ai giovani che frequentano i college privati. La cultura preppy nel corso degli anni è diventata sinonimo di uniformi, pantaloni e camicie a strisce, stemmi, motti latini, scherzi goliardici, Country Club e feste in piscina, un’identità che ancora oggi continua a ispirare la moda. Anche online.

Sì perché andando nella pagina facebook di Tommy Hilfiger e cliccando sull’applicazione The preppy point of view si possono indossare virtualmente gli occhiali grazie alla realtà aumentata. Come? Semplicissimo! Basta diventare fan del brand (mettendo like alla pagina), scaricare un plug-in, accendere la webcam, centrare il proprio volto e poi scegliere gli occhiali preferiti che appariranno sull’immagine riflessa sullo schermo (sarà poi possibile scattare una foto e condividerla con gli amici).

Bellissimi gli occhiali, originale lo stile preppy (sportivo, vintage ma comunque elegante) e molto simpatica l’applicazione facebook. Grazie Tommy!

Videogiochi e informazione: in Italia a che punto siamo?

Lo scorso sabato, da appassionato di videogiochi, ho fatto una capatina al Games Week occasione nella quale sono anche riuscito a partecipare a un interessante dibattito attorno al tema della (dis)informazione sui videogiochi in Italia.
Promotore dell’incontro, il movimento contro la disinformazione sui videogiochi, gruppo nato spontaneamente (ma che nel giro di breve tempo ha saputo riunire oltre 13mila fan su facebook) in seguito ad alcuni servizi giornalistici che hanno messo in relazione – con troppa sufficienza – fatti di cronaca ai videogames.
Il videogioco, come ricordato nel corso della tavola rotonda che ha visto partecipare professionisti appartenenti a diverse realtà (da Multiplayer.it a Wired, da Evereye.it a TgCom), si può a tutti gli effetti definire come un medium. Che non è certo (l’unica) causa dei mali della società. Capita però spesso che i media tradizionali spinti dal sensazionalismo più che da spunti di riflessione costruttiva, spolverino il binomio violenza-videogioco. Ecco quindi i telespettatori imbattersi in un servizio, come quello mandato in onda dal TG1, nel quale si sottolinea la vicinanza tra Andres Breivik – tristemente famoso per gli attentati a Oslo – e il mondo dei videogiochi violenti (mettendo tra le altre cose in un unico calderone sparatutto e RPG).
Ecco allora più che azzeccata la provocazione di Matteo Bordone: “La stragrande maggioranza degli assassini – almeno in Italia – è battezzata ma non si innesca in noi certo un rapporto di causa e effetto tra questo e il loro crimine”.
Verso il mondo dei videogiochi, tuttavia, permangono molti pregiudizi nonostante il mercato del gaming sia in notevole crescita (nel 2010 sono stati venduti 33 videogiochi e 5 console al minuto secondo AESVI). Questo – almeno secondo quanto è emerso nelle conferenza – in parte perchè nelle redazioni, nelle testate giornalistiche, manca un “esperto di videogiochi” che abbia esperienza per informare in maniera corretta (come invece esiste l’esperto di cinema). Vuoi perchè non esiste nel nostro Paese un organo come Gamers’ Voice che in UK difende i diritti dei giocatori dando il proprio concreto contributo a media e istituzioni. O perchè si crede che il mondo dei videogiochi sia “qualcosa per bambini” quando – almeno negli USA, come ha ricordato Antonio Dini de IlSole24Ore – l’età media del giocatore è di 37 anni.
E infine forse anche perchè mentre in altre espressione della creatività la violenza non è deprecata (anzi ormai nel cinema, per esempio, sembra quasi del tutto sdoganata), in un mezzo giovane come quello dei videogiochi, non è ancora accettata.
Il movimento insomma avrà il suo bel da fare, non posso che fare un caloroso in bocca al lupo a tutti coloro che si stanno occupando della crescita del gruppo e della contemporanea sensibilizzazione dei consumatori (oltre chiaramente ai complimenti per l’idea).
Mi piacerebbe però non fosse un qualcosa di legato solo alla denuncia di enventuali atti di disinformazione ma che potesse fungere da osservatorio permanente sul mondo dei videogiochi e contemporaneamente punto di riferimento per tutti coloro che, affascinati dal gaming, vogliano scoprire qualcosa di più della semplice lista circa le ultime imperdibili uscite.

Cloud e condivisione, due concetti per il futuro del web

Lo scorso 18 ottobre ho partecipato, a Casa Kinect presso le Officine Stendhal, alla presentazione di un’interessante ricerca attorno al mondo del cloud e della condivisione (Il futuro degli italiani su Internet è all’insegna di Cloud e Condivisione), temi diventati di ordinaria quotidianità per quel che concerne Internet. Anche se, come mette in risalto l’indagine condatta da Nextplora, non per tutti in maniera consapevole: la stragrande maggioranza degli utenti (81%) infatti utilizza i servizi a “nuvola” senza rendersene conto. Abituati a supporti fisici, materiali, non associamo ancora con immediatezza un servizio, ad esempio, come quello dello storage online, dell’archiviazione cloud. Ma, volenti o nolenti, come ha sottolineato Alessandra Costa – Direttore Ricerche e Partner Nextplora – siamo ormai passati dalla società dell’informazione a quella della condivisione: le idee di cloud e condivisione non sono solo dei comportamenti utilizzati al lavoro o nello studio, diventano aspetti della nostra identità sempre più “collettiva”, servizi sempre più utilizzati anche nel mondo “consumer” grazie a spazi illimitati, accessibilità da diversi luoghi/device e possibilità di partecipazione allargata.

La seconda parte dell’incontro si è invece focalizzata sulle novità di Windows Live Hotmail, il servizio di posta nato ben 15 anni fa. Hotmail – anche in virtù di MSN – è stata la mia prima casella di posta, ricordo che ancora non era disponibile la versione .it.
Da allora il web è cambiato moltissimo e anche la versione di Hotmail si è rinnovata parecchio puntando, con la nuova release, su velocità, riduzione dello spam, sicurezza, usabilità e spazio di archiviazione praticamente illimitato.
Con una prova pratica ci hanno presentato il muovo modo di organizzare le nostre mail, di creare regole che ci permettano di rendere più pulita la casella o di creare un alias nel momento in cui ci serva un indirizzo alternativo da comunicare in maniera pubblica.
Per finire è stata mostrata la possibilità di sincronizzazione tra la casella di posta e un Windows Phone che, con estrema semplicità, rende disponibili sullo smartphone e su pc, messaggi, calendari e contatti (mi ha incuriosito molto la navigazione orizzontale delle mail da smartphone). E chiaramente anche documenti che, in ottica di cloud, tramite SkyDrive, possono essere archiviati online e condivisi con un click. Il futuro, insomma, è già presente.

A Milano torna la Social Media Week!

A partire dal prossimo lunedì, a Milano tornerà a pulsare il cuore del mondo digital&web italiano e internazionale. E’ infatti ormai imminente la partenza dell’e-festival che, in occasione della Social Media Week (evento che connette non solo virtualmente in contemporanea 11 metropoli del mondo), dal 19 al 23 settembre, proporrà una serie di appuntamenti l’obiettivo di diffondere e divulgare la cultura digitale. Occasione di confronto quanto mai importante in un Paese come il nostro che ha la necessità colmare il cosiddetto digital divide e di investire in tecnologia per tentare di uscire dalla attuale crisi.

Democratizing Technology è il concetto scelto per riassumere le iniziative legate al “Festival della Rete”: la tecnologia per tutti. Quattro i focus nei quali sono stati raggruppati gli oltre 130 tra convegni, seminiari e incontri: green, safe, smart, qualità (vedi il programma completo).

All’interno dell’ampia agenda dell’e-festival trova spazio anche la prima edizione dello StartUp Festival, un’opportunità unica per presentare la propria startup entrando in contatto con investitori e potenziali partner.

Centro informativo della manifestazione sono i Chiostri dell’Umanitaria in via San Barnaba che, oltre ad essere il centro di coordinamento degli eventi presso le altre location, sarà la sede di molte delle attività in programma.

E proprio di fianco al quartier generale, nei chiostri di San Barbaba (via San Barbana 48), il prossimo 21 settembre dalle 19, sarò sicuramente presente al Late summer social party, aperitivo con dj set. Ci vediamo là, giusto?

Interno Rosso, una sitcom in casa Ducati

La scorsa settimana ha avuto il piacere di essere sul set di Interno Rosso, la fiction nata per il web dalla collaborazione tra Ducati e Tim. Un’emozione davvero grande: vuoi perchè la sede è proprio quella di Borgo Panigale, storica roccaforte Ducati (con tanto di museo che anche se di fretta sono riuscito a visitare), vuoi perchè mi sono sentito come dentro Boris, fianco a fianco ad attori, tecnici della luce, dell’audio, del regista, dello sceneggiatore, della ragazza del trucco. Vivendo non solo il momento sucessivo al ciak ma anche tutte quelle operazioni che poi consentono di far partire le riprese, dal buffet alla revisione sul set del copione (ho tentato di fare una cronaca su twitter della giornata utilizzando #internorosso ma sul set il cellulare non era permesso).

Dopo la pausa pranzo, prima dell’inizio delle riprese, ho strappato anche una piaccola intervista…

Mi chiamo Angelo Camba, sono il regista di Interno Rosso la sitcom a camera fissa fatta di sketch che ha per protagonisti due meccanici burloni, cognati, che lavorano nelle ufficine Ducati e che fanno dei pasticci tutto il giorno. Uno – Bob – sogna di essere uno dei meccanici della squadra corse e l’altro – Marco – lo riporta, invece, sempre con i piedi per terra.

Interno Rosso nasce all’interno di un programma di sponsorizzazione della Ducati da parte di Telecom ed ha l’obiettivo di raccontare in chiave ironica il mondo di casa Borgo Panigale. Nonostante il momento non brillantissimo del reparto corse, la casa motociclistica vuole comuque tenere alto l’umore dei propri fan.

I video vengono pubblicati su tutti i canali social di Tim con una buona risposta di pubblico anche se non ancora di “massa” ma legata soprattutto agli appassionati di moto in generale e a ducatisti in particolare.

…e ho “rubato” anche un brevissima anteprima del nuovo episosio 8…

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=dNjVr2M_zm0&w=440&h=390]

Un ringraziamento a tutto lo staff di professionisti (nonostante si rida spesso sul set, il lavoro è realizzato con estrema cura e dedizione) che ho incontrato, gentilissimo e disponibile anche quando forse sono stato un po’ di intrancio. E a Ducati e Tim per l’ospitalità.

Un grossissimo in bocca al lupo al progetto, non posso che attendere con trepidazione la messa online dei nuoi capitoli (un saluto anche ai miei compagni di ventura sportzoo e npmagazine).

 

Altra riflessione sulla teoria dei mille veri fan…

In occasione del Social Business Forum, nella sessione pomeridiana, è continuato un interessantissimo confronto iniziato dalla riflessione di minimarketing che, alla vigilia dell’incontro, si chiedeva se non fosse ancora valida la teoria secondo la quale sono sufficienti 1.000 fan “veri” piuttosto che cifre enormi di utenti inerti-inutili-indifferenti e se quindi la metrica “delle masse di spettatori” non venisse in qualche modo superata negli ambienti sociali a rete (spero di aver colto nel segno, ecco comunque qui il link dal quale leggere per intero il post di Gianluca).

Al Social Business Forum ero solo spettatore ma tenterò comunque di dare una mia risposta. E lo farò basandomi su due ricerche che ho recentemente letto che ben riassumono l’idea che in questi anni mi sono fatto.
Partiamo dal presupposto che avere 1000 fan tutti pronti a “fare qualcosa per noi” è indubbiamente un traguardo più che considerevole. Ma a mio modo di vedere per avere quella cifra di fan attivi occorre averne in realtà molto di più. Perchè? Perchè, banalmente, gli utenti non hanno tutti la stessa modalità di fruizione dei contenuti e perchè non tutti per dimostrare il loro interesse verso un contenuto interagiscono. E’ in qualche modo fisiologico che vi siano utenti attivi, meno attivi, per nulla attivi.

E qui mi viene in aiuto uno studio recentemente pubblicato dal WOMMA:

There is a 100/10/1 “rule of thumb” with socail services. 1% will create content, 10% will engage with it, and 100% will consume it” Fred Wilson

Ora, tralasciando per un attimo le percentuali, il concetto che mi sembra interessante è quello che la stragrande maggioranza di persone normalmente non partecipa attivamente alle conversazioni ma si limita a osservarle. Anche perchè ci sono strumenti – Twitter e Tumblr su tutti – che rendono possibile la fruizione dei contenuti senze necessità di log-in.
Quindi, in sostanza, se la teoria di sopra dovesse essere esatta, dati 1.000 fan che con un brand interagiscono, quelli totali dovrebbero essere 10.000 (una semplice proporzione: 100*1000/10).

Altra ricerca, stavolta decisamente più bizzarra ma che comunque può servire come spunto di riflessione. Una società chiamata Hitwise ha recentemente pubblicato uno studio in base al quale 1 fan di Facebook corrisponda a 20 visite addizionali al sito del brand:

The figure of 1 fan = 20 extra visits to a website uses a unique methodology that combines Hitwise data with data from social media experts Techlightenment. We took the top 100 retailers ranked in the Hitwise Shopping and Classifieds category and benchmarked visits to those website against the number of fans those brands had on their Facebook page. We then also looked at the propensity for people to search for those retail brands after a visit to Facebook using our Search Sequence tool…

Mi rendo conto di come la teoria, pur basata su “osservazioni empiriche” sia forse difficile da sostere ma anche in questo caso il punto focale mi pare un altro: e se anche i fan “latenti” (o almeno parte di essi) avessero una loro importanza strategica al di fuori del mondo social? Penso alla mia esperienza. Su facebook seguo pochi band e alcune celebrità. Una di queste è Kevin Spacey. In questa pagina, lo ammetto, sono all’apparenza forse “inutile” come direbbe Gianluca: non commento, non metto like, non faccio lo share. Ma leggo. E se qualcosa mi interessa – la partecipazione a un nuovo film o a una nuova opera teatrale – magari cerco di approfondire. E alle volte lo faccio fuori da facebook che mi serve solo come “spunto”.

I social media si basano su persone, su rapporti anche se virtuali. Ma come nella vita “reale” ognuno ha una propria inclinazione: chi sarà più propenso a proporre contenuti, chi a commentarli, chi a controbattere, chi semplicemente ad ascoltare. Anche perchè non si tratta di posizioni “assolute”: un “vero fan” dopo un disguido potrebbe oscurasi. O peggio smettere di essere fan. Così come un utente “passivo” potrebbe di colpo svegliarsi interagendo in maniera continuativa.

Concludo: il vero problema non è a mio parere il numero di fan (più alto il numero di fan, più alto il numero di “veri fan”, no?) che sicuramente non deve essere il solo e unico metro di giudizio. Occorre comprendere piuttosto quanto sia importante lavorare sul cosiddetto interaction rate e quanto possa essere proficuo impegnarsi perchè il rapporto utenti/utenti attivi sia sempre migliore. E’ lo scambio – a più livelli – che rende costruttive le conversazioni. La provocazione ci sta ma non mi scaglierei contro il miraggio dei milioni di fan. Brand come adidas, Vodafone, o Kia non possono accontentarsi di 1000 fan “veri”. Devono puntare a numeri ben più grandi mettendosi in gioco e utilizzando gli strumenti per fare in modo che tutti partecipino attivamente. Con un unico obiettivo: che tutti i consumatori diventino “veri fan”.

Le Gru, tra shopping e musica

Dopo il risultato delle elezioni amministrative e dei referendum in molti centri abitati si è (finalmente) tornati a discutere dello sviluppo del territorio e di come sia possibile armonizzare ambiente e urbanizzazione. Da questo punto di vista un esempio costruttivo arriva dalla provincia di Torino: shopville LE GRU. La realtà di Grugliasco non è solo un centro commerciale (con personal shopping, styling e gifting). E’ infatti uno spazio che comprende 180 esercizi commerciali (tra i quali anche un benzinaio!) e 24 fra bar, ristoranti e fast food ma è anche un’area polifunzionale utilizzata per eventi culturali e di intrattenimento. Iniziative a sfondo sociale, incontri con le scuole e gli enti locali, laboratori per bambini (Grulandia, il parco di divertimenti per i più piccoli con tanto di sale nelle quali festeggiare il proprio compleanno con gli amichetti) trovano così un unico spazio nel quale aggregare persone di diverse età e passioni.

L’area eventi è però nota agli appassionati di musica soprattutto per GruVillage, il palcoscenico che ogni estate vede esibirsi artisti internazionali.

Quest’anno, per gli amanti dell’indie e del rock, da non perdere l’unica data italiana dei Ok Go (quelli del video tormentone sui tapis roulant) mercoledì 20 giugno. Anche la data del concerto di Peter Hook, bassista e colonna prima dei Joy Division poi dei New Order (ma anche dei forse meno noti Revenge e Monaco) mi intraga molto. Da poco è uscito il disco del progetto The Light dal titolo 1102/2011 un EP di cover della band inglese e non nascondo mi piacerebbe molto ascoltare le riletture di brani quali Atmosphere, New Dawn Fades e Insight.

Tornando al centro Le Gru – dodato anche di propria stazione radio disponibile anche in streaming – forse l’unico aspetto per rendere lo shopping center ancora più accattivante potrebbe essere quello di impegnarsi sul fronte del risparmio energetico e sull’utilizzo di tecnologie a basso impatto ambientale – come, ad esempio, dei pannelli solari – per così sensibilizzare i consumatori e diventare ancora di più un punto di riferimento per la comunità.

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Aperol, prosecco, soda. E un po’ di sociologia.

Lo scorso mercoledì ho partecipato a uno spritz party particolare per almeno due motivi. In primo luogo perchè ho potuto assaporare il nuovo Aperol Spritz Home Edition, l’ormai nota bottiglietta arancione (con tappo “easy open” facilissima da aprire) dal contenuto perfettamente dosato – 3 parti di Prosecco D.O.C., 2 parti di Aperol, 1 spruzzo di seltz – per assoporare il momento dello spritz anche tra le mura domestiche.
In seconda istanza perchè nell’occasione è stata presentata un’interessante ricerca che ha puntato i riflettori proprio sulla casa come nuova piazza cittadina. Lo studio – condotto da Francesco Morace di Future Concept Lab – analizzando usi e costumi, passioni e modi di interagire, ha individuato dodici profili, tre delle quali in perfetta sintonia con il nuovo prodotto Campari.
I Linkers, gli Unique Sons e le Sense Girls: tre “idealtipi” differenti per età e attitudini accomunati però dal considerare la casa come spazio per condivedere un’esperienza conviviale con un prodotto semplice, pratico e alla moda come quello dell’aperitivo Aperol.
Più che da apprezzare quindi lo sforzo del brand per capire quali siano i cambiamenti in atto dal punto di vista “sociologico”, quali possano essere le caratteristiche del target di riferimento per un prodotto come lo Spritz home edition e quindi in che modo lo si possa coinvolgere. Perchè, come ha ricordato Morace, “la costruzione dell’identità segue lo sviluppo sociale”, capire – partendo anche dall’analisi del rapporto degli individui con cibi e bevande – come con le nuove tecnologie stanno cambiando il mondo che ci circonda, significa in ultima analisi comprendere meglio come noi stessi stiamo “evolvendo”. Alla salute!

Groupalia, tutto un altro coupon

Lo scorso 7 giugno ho avuto il piacere e l’onore di partecipare al primo compleanno di Groupalia, il sito web specializzato nella vendita – tramite coupon che consentono sconti anche del 90% – di servizi per tempo libero e shopping, fondata in Spagna il 4 maggio 2010 e che oggi solo in Italia può contare su oltre 2 milioni di clienti, 2.000 partner in 19 città italiane e circa 400.000 coupon erogati. Numeri davvero impressionanti (come quelli del fatturato, 100 milioni di euro solo nel nostro Paese) se consideriamo la scarsa diffusione dell’e-commerce in Italia.

La serata è inziata con una sorta di bilancio tracciato da Andrea Gualtieri – Country Manager Groupalia – che ha delineato la realtà nostrana della società raccontando alcuni casi di successo e annunciando in anteprima alcune succose novità: due nuove partnership con B4 Hotels e Samsung Italia (i nuovi Galaxy Tab 10.1 avranno preinstallata l’applicazione di Groupalia per Android); un nuovo pay-off, “tutta un’altra vita” che ho richiamato nel titolo del post; Groupalia Care, un servizio gratuito che permette di ricevere rimborsi per i coupon non utilizzati.

Finita la parte più “istituzionale”, la serata è entrata nel vivo. All’arrivo, infatti, ero stato “perquisito” da degli “agenti” che domandami se avessi con me il passaporto, a mia risposta negativa, mi avevano invitato a registrarmi e a ritirare un press kit davvero particolare. Oltre alla cartella stampa, infatti, la borsa conteneva un passaporto firmato United Nations of Groupalia e una “mazzetta” di soldi anch’essi firmati Groupalia.

In un’altra stanza erano infatti presenti diversi angoli che riassumevano i “mondi imperdibili” nei quali opera Groupalia e che, tramite un timbro a mo’ di visto e un pagamento con il cash Groupalia, consentivano di vivere diverse esperienze: dai viaggi nella Garfagnana – una ragazza presentava tutte le varie occasioni di villeggiatura della zona – ai sushi/drink molecolari della ristorazione, dal benessere con tanto di massaggio con olio di mandorla alla mano al divertimento con Kinect per concludere con la sezione prodotti nella quale verdersi realizzare un carinissimo bouquet.

Davvero una bella serata, organizzatissima (come ho scritto su twitter, con wifi grautita, hashtag dell’evento, schermo con presenza social) e, nonostante la pioggia che ha permesso di godere solo per alcuni minuti la spendida visuale dalla terrazza, assolutamente ben riuscita. Ancora auguri, complimenti e mille di questi compleanni!

Maurizio Crozza in Italialand

“Perché andare sino a Disneyland?”: questa la domanda che apre Italialand il nuovo spettacolo teatrale di Maurizio Crozza, ieri al Teatro Nazionale (e stasera in prima serata su La7).

Una riflessione sull’Italia di oggi, sulla nostra classe politica e quindi in definitiva su noi stessi, sul nostro atteggiamento nei confronti dei vizi e caratterizzazioni di chi ci rappresenta (o almeno in teoria dovrebbe farlo).

La prima parte dello spettacolo non è altro che una serie di ironiche considerazioni sulla stretta attualità, in parte riprese dagli sketch con i quali Crozza apre le puntate di Ballarò: da “Pigiapia” a Gasparri, da Berlusconi a Scilipoti.

La seconda parte è invece una carrellata di irresistibili imitazioni che vedono Crozza destreggiarsi con parrucche e travestimenti: dal cavallo di battaglia Bersani (“siampazzi?”) alle new entry Marchionne, da Giacobbo con il suo Kazzinger a Napolitano, da Marzullo a Matteo Renzi, tutti rivisti con un’incredibile capacità di farne risaltare i tratti comici e una impareggiabile disinvoltura nel passare da un personaggio a un altro del quale vengono proposte la postura, i tick, l’accento e le espressioni celebri.

Ma Italialand non è uno spettacolo “statico” ma uno di quelli nei quali anche il pubblico partecipa cantando o accompagnando con le mani le performance di Crozza (che dimostra una voce da tenore!).

Insomma una serata trascorsa all’insegna delle risate e del divertimento. Anche se poi, lo ammetto, sulle note di Bella Ciao che chiudono lo spettacolo (o meglio il “bis”), affiora un po’ di malinconia per una parentesi chiusa troppo in fretta.