Le storie più che le notizie salveranno il giornalismo?

Alcune settimane orsono, il Washington Post ha lanciato Storyline, una nuova iniziativa editoriale che propone su web il giornalismo narrativo alla Truman Capote.
In estrema sintesi, si tratta di raccontare storie (spesso legate ad un singolo individuo) attraverso le quali semplificare temi complessi. Non necessariamente fatti legati alle breaking news, le analisi approfondiscono una questione di pubblico interesse con frasi semplici, tono accessibile e precise spiegazioni di tutti i concetti espressi. Pezzi che sin dal titolo si pongono come obiettivo quello di trovare la risposta a una precisa domanda, superando lo sterile dibattito della politica e della finanza e preferendo concentrarsi – anche grazie a materiale multimediale e tabelle di dati – sull’impatto di una determinata questione nella vita di tutti i giorni delle persone. Storie che non si esauriscono nella pubblicazione dell’articolo ma che, nel corso delle settimane, seguono gli sviluppi della vicenda segnalata.

Il progetto, annunciato lo scorso gennaio, ha avuto il via ufficiale a fine luglio sotto l’egida di Jim Tankersley, giornalista economico del giornale. Proseguendo la strada già intrapresa dal New York Times con The Upshot e da ESPN con Five Thirthy Eight, è stato dallo stesso Tankersley così presentato:

“We care about policy as experienced by people across America. About the problems in people’s lives that demand a shift from government policymakers and about the way policies from Washington are shifting how people live.”

La lunga genesi di Storyline è probabilmente dovuta in parte allo stato di crisi del giornale e i timori pre-Bezos della testata circa il lancio di nuove iniziative, in parte all’uscita di scena della redazione dal WaPo con direzione Vox.com di Ezra Klein, (giovane e brillante) giornalista che nel 2011 lanciò Wonkblog, il blog di maggior successo della testata, diventato punto di riferimento proprio per la sua capacità di affrontare in maniera diretta e con semplicità temi “caldi” per il grande pubblico americano quali l’assistenza sanitaria (suo è anche l’interessante esperimento Know More di cui ho scritto qui).

E se fosse proprio lo storytelling l’antidoto per contribuire a salvare il giornalismo?

In un mondo, quello delle Rete, nel quale sono moltissimi gli spazi che aggiornano su ciò che sta accadendo nel mondo, la vera differenza per gli utenti la fanno i siti che “formano” più che “informano”, che riescono cioè a sviscerare i fatti affrontandoli con semplicità, che consentono di “capire” oltre che di “conoscere”.
Il lancio di agenzia è certo utile, ma da solo non poi così costruttivo.

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